LA “NUOVA” RESPONSABILITÀ MEDICA NELLA LEGGE N. 24 DEL 2017
La IV sezione penale della Corte di Cassazione, con la notizia di decisione n. 3 del 2017, nell’udienza del 20 aprile scorso ha chiarito che, in materia di responsabilità medica, ai fatti verificatisi prima del 1° aprile, data di entrata in vigore della nuova disciplina (Legge n. 24 del 2017), si dovrà applicare la vecchia e più favorevole previsione della c.d. legge Balduzzi, la n. 189 del 2012.
Quest’ultima infatti aveva escluso, all’articolo 3, comma 1, la rilevanza penale delle condotte caratterizzate da colpa lieve, in tutte quelle situazioni nelle quali risultavano applicabili le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
In altre parole, con la nuova disciplina sulla colpa medica si sono “strette le maglie”, tanto da rendere applicabile un classico principio del diritto penale come il favor rei.
Si osserva che la Suprema Corte ha proceduto a un confronto tra le norme penali che si sono succedute nel tempo relative alla colpa medica.
Per i fatti anteriori alla legge 24 del 2017, potrà ancora applicarsi, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., la disposizione di cui all’abrogato art. 3, comma 1, della legge 189/2012, la quale era sicuramente più favorevole; mentre per i fatti successivi a tale data si applicherà la nuova legge.
Le conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione, con la precedente sentenza n. 16140 della medesima Sezione, possono così sintetizzarsi: «assume rilievo nell’ambito del giudizio di rinvio, posto che la Corte di appello, chiamata a riconsiderare il tema della responsabilità dell’imputato, dovrà verificare l’ambito applicativo della sopravvenuta normativa sostanziale di riferimento, disciplinante la responsabilità colposa per morte o lesioni personali provocate da parte del sanitario. E lo scrutinio dovrà specificamente riguardare l’individuazione della legge ritenuta più favorevole, tra quelle succedutesi nel tempo, da applicare al caso di giudizio, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2, comma 4, Codice penale, secondo gli alternativi criteri della irretroattività della modificazione sfavorevole ovvero della retroattività della nuova disciplina più favorevole».
Invero, la legge n. 24 del 2017, all’art. 6, ha introdotto un nuovo articolo, l’art. 590 sexies, cod. pen., il quale prevede che se l’evento dannoso si è «verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
Tale nuova formulazione sembra lasciare margini di discrezionalità più ampi all’autorità giudiziaria rispetto alla situazione precedente. Starà infatti al giudice valutare, situazione per situazione, l’adeguatezza delle linee guida al caso concreto. Si è poi circoscritta la limitazione di responsabilità alle sole condotte rispettose delle linee guida caratterizzate da imperizia.
Quest’ultima soluzione palesa però un forte rischio: per effetto infatti di un confine assai esile tra le varie ipotesi di colpa, la pubblica accusa potrebbe puntare a trasformare casi di imperizia in imputazioni per negligenza e imprudenza. Ipotesi nelle quali non scatterà dunque l’esenzione per aderenza alle linee guida.
Secondo quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 28187, depositata lo scorso 7 giugno, la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che per qualunque ragione non siano governati dalle linee guida; non trova neppure applicazione in quelle situazioni nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate. Peraltro, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo (per esemplificazione si richiama il caso di un errore di esecuzione di un atto chirurgico: un chirurgo che esegue l’atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria con effetto letale).
Dunque, secondo la Corte di Cassazione sopracitata “il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che nelle linee guida siano pertinente estrinsecazione”.
Inoltre, quelle situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o rese più difficoltose dall’urgenza implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo infatti può trovare applicazione, come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, il principio civilistico di cui all’art. 2236 c.c., il quale assegna rilevanza soltanto alla colpa grave.
Infine, altra novità prevista dalla legge 24/2017, è l’articolo 5, il quale ha ad oggetto un nuovo statuto disciplinare delle prestazioni sanitarie, governato dalle raccomandazioni espresse dalle linee guida accreditate e, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali.
Dott.ssa Mariagrazia Broccia