Diritto del Lavoro: Le emoticon possono salvare una lavoratrice dal licenziamento.
Con ricorso ex art. 414 del c.p.c una lavoratrice impugnava il licenziamento per giusta causa che le era stato intimato dalla società presso la quale lavorava e da cui era stata assunta a tempo indeterminato. La giusta causa del licenziamento, secondo il datore di lavoro, andava ricercata in pesanti offese personali che la lavoratrice aveva rivolto allo stesso in un gruppo Whatsapp, gruppo chiuso e formato da tre colleghe. Il Tribunale di prime cure dopo aver esaminato tutte le prove ha emesso una innovativa sentenza (Cfr. Sentenza Trib, Parma n. 327 del 2019). Infatti, secondo il Giudice, non è possibile ravvisare un atteggiamento diffamatorio da parte della lavoratrice, perché dal tenore della conversazione e dall’utilizzo delle emoticon dopo ogni frase, non è possibile comprendere se alcune frasi vengano dette seriamente in quanto il contesto in cui vengono pronunciate è deformalizzato e amichevole.
Altresì, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21965 del 2018, ha affermato che non è possibile configurare una condotta diffamatoria quando questa si svolga all’interno di un contesto privato, chiuso, come posso essere i gruppi Whatsapp o le mailing list.
La sentenza del Tribunale di Parma e l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione sono il frutto del cambiamento epocale portato dal web, cambiamento a cui i tribunali di merito e di legittimità per fortuna a volte non si sottraggono. In questa vicenda una faccina ha salvato un posto di lavoro.
Dott.ssa Roberta Mossuto