RIFORMA CARTABIA: POSSIBILITÀ DI ACCEDERE AI BENEFICI PENITENZIARI ANCHE IN ASSENZA DI COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA.
In tema di benefici penitenziari, la Riforma Cartabia ha modificato l’art. 4 bis co.1 bis ord. pen. prevedendo la possibilità di concederli anche in assenza di collaborazione con la giustizia da parte dei detenuti, “purché gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento”. In questo modo, ai fini della concessione di tali benefici, il giudice deve tener conto di specifici elementi volti ad escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità e del pericolo di un loro rispristino, indipendentemente dalla collaborazione con la giustizia del condannato.
Tale norma si è rivelata centrale in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la sent. n. 23556/2023, con cui la stessa ha annullato l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato la richiesta di permesso premio avanzata da un condannato.
La decisione annullata si basava sulla natura ostativa dei reati commessi, perpetrati, peraltro, in contesto di ndrangheta, e sull’assenza di una revisione critica del proprio operato da parte del condannato.
In particolare, il Tribunale aveva sottolineato come dalla perdurante proclamazione di innocenza e di estraneità ai fatti da parte del ricorrente, oltre che dalla mancata collaborazione con la giustizia, non potesse trarsi un’effettiva interruzione dei suoi legami con il tessuto criminale e, quindi, il superamento della presunzione di pericolosità sociale. Sulla base di questi presupposti, il Tribunale aveva negato la possibilità di accedere al beneficio.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso presentato dalla difesa, sottolineando come il Tribunale di Sorveglianza non avesse fatto buon governo dei principi in materia.
Infatti, in base al principio enunciato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, il Giudice di sorveglianza, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, è tenuto ad effettuare “un esame in concreto di elementi di fatto “individualizzanti”, circa il percorso rieducativo compiuto dal detenuto” e deve accordare la richiesta anche in caso di mancanza di elementi di prova che dimostrino l’assenza di legami con la criminalità organizzata, “essendo a tal fine sufficiente l’allegazione di elementi fattuali che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità sancita dalla legge”.
Secondo la Cassazione, risulta fondamentale il fatto che il condannato abbia tenuto una condotta inframuraria commendevole, aspetto non tenuto in considerazione dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo è chiamato, infatti, a compiere un “concreto bilanciamento fra gli elementi connotanti la caratura criminale dei fatti commessi ed il percorso rieducativo portato avanti”, coerentemente ai principi costituzionali in tema di funzione rieducativa della pena, a nulla rilevando la scelta della mancata collaborazione.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza