IL FALSO IN BILANCIO CHE DETERMINA LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA DEVE ESSERE VALUTATO AL MOMENTO DEL FALLIMENTO DELL’IMPRESA
Con la sentenza n.37264/2023 la Corte di Cassazione ha chiarito il rapporto tra il reato di falso in bilancio e quello di bancarotta fraudolenta impropria.
La questione giunta all’attenzione della Suprema Corte riguardava il momento in cui deve essere valutato il reato di falso in bilancio, quando questo sia presupposto di quello di bancarotta fraudolenta ex art. 223 L. Fall.; in particolare, se la realizzazione di tale illecito deve essere valutato in relazione al momento della presentazione del bilancio, con informazioni non veritiere, ancorché in tale momento l’illecito non costituisse reato, ovvero in relazione ai parametri vigenti al momento del fallimento dell’impresa.
La ricorrente, con unico motivo di ricorso, denunciava la violazione di legge in relazione alla normativa prevista per il falso in bilancio alla data di consumazione del reato di bancarotta fraudolenta. In particolare, la ricorrente lamentava il fatto che i giudici di merito, nel ritenere sussistente il reato di bancarotta fraudolenta, avessero fatto riferimento ai parametri di punibilità introdotti nel 2015, nonostante i fatti contabili risalissero al 2011, quando gli stessi non rientravano nell’area di punibilità del reato di false comunicazioni sociali.
L’art. 223 L. Fall. punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i liquidatori di società dichiarate fallite, i quali abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società commettendo alcuni dei fatti previsti (anche) dall’art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali).
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha chiarito che il reato di bancarotta impropria da falso in bilancio si struttura come reato di evento per la cui realizzazione si richiede la commissione di una di quelle condotte tra cui rientra il falso in bilancio ex art. 2621 c.c.
Precisa la Corte che “per accertare il reato è necessario aver riguardo al periodo successivo alla approvazione dei bilanci stessi, nel senso di accertare se le false dichiarazioni sociali, nascondendo la reale entità delle perdite della società, abbiano determinato o contribuito a determinare il dissesto”.
Di conseguenza, il momento consumativo del reato di bancarotta societaria, come specificato dalla Corte, è da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il “dies a quo” da cui decorre la prescrizione, non rilevando la circostanza che il reato presupposto – falso in bilancio – sia da riferire ad un momento antecedente alla dichiarazione di fallimento stessa.
L’intento del legislatore, infatti, non è quello di punire il falso in bilancio con una pena più elevata qualora dallo stesso discenda il fallimento della società, ma è quello di considerare la condotta consistente nella falsificazione del bilancio societario per assoggettarla a sanzione penale a titolo di bancarotta fraudolenta, coerentemente al principio cardine della legge fallimentare per cui la sopravvenienza del fallimento qualifica in modo autonomo quei fatti anteriori che, altrimenti, sarebbero qualificabili in altri schemi di reato.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari