Amministrativo/Penale: pugno duro sull’impugnazione delle interdittive antimafia con la sentenza n. 54010/2018 del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5410 del 14.09.2018 ha respinto il ricorso di una società, cui era giunta un’interdittiva antimafia, la quale impediva alla stessa di intrattenere rapporti contrattuali con la P.A.. L’interdittiva antimafia, com’è noto, trova la sua ratio nella salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione. Pertanto, è precipuo potere del Prefetto interdire un imprenditore dall’intrattenere rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione qualora questi risulti essere “in odor di mafia”. Nel caso di specie, il provvedimento interdittivo veniva giustificato per il fatto che, nella compagine societaria figuravano alcuni esponenti vicini alle cosche mafiose campane, nonché per la presenza, nella pianta organica aziendale, di alcuni dipendenti condannati per associazione di tipo mafioso. A nulla era valso per i vertici aziendali, aver licenziato i dipendenti ritenuti solidali alla locale associazione criminale. Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento, definisce, per un verso i limiti del giudizio prognostico, di competenza del Prefetto, al fine dell’emissione di un’interdittiva antimafia, per altro verso i limiti alla sindacabilità del provvedimento prefettizio in sede giurisdizionale. Il Collegio giudicante ha affermato che il giudizio del Prefetto, in merito al rischio di inquinamento mafioso, debba essere fondato sul criterio del “più probabile che non”, che può essere integrato da dati di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è anche quello mafioso. Pertanto, viene riconosciuto al Prefetto un ampio potere discrezionale, che prescinde dagli eventuali elementi probatori ritenuti non sussistenti in sede penale, al fine di valutare l’opportunità o meno di emettere un provvedimento interdittivo, peraltro supportato “dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria”. Ne consegue, sostengono i Giudici del Consiglio di Stato, che la valutazione giurisdizionale, in merito al provvedimento prefettizio d’interdittiva, debba essere circoscritta alla sola manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti del provvedimento.
Dott. Gaspare Tesè