AMPLIATO IL NOVERO DEI DELITTI PER I QUALI POSSONO ESSERE IMPIEGATE TECNICHE INVESTIGATIVE SPECIALI: L’AGENTE SOTTO COPERTURA MESSO A CONFRONTO CON L’AGENTE PROVOCATORE.
Con riferimento alle tecniche investigative speciali, il 18 Gennaio 2019 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 3/2019 che amplia la disciplina giuridica del cosiddetto “agente sotto copertura”.
L’agente sotto copertura è quel soggetto che per ragioni di indagine partecipa alle altrui attività criminose al fine di farle fallire e farne arrestare gli autori e che, senza dare esecuzione al reato, ne controlla ed osserva l’attività illecita.
La legge “ad hoc” che ha istituito tale figura investigativa nel nostro ordinamento è la 146 del 2006, ma numerose sono anche le leggi speciali riguardanti determinate materie – ex multis pornografia, prostituzione, stupefacenti, terrorismo – che prevedono scriminanti specifiche per gli agenti sotto copertura. Sotto questo profilo, è applicabile la scriminante prevista dall’art. 51 del c. p. ai sensi del quale: “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità“.
Il d.d.l., convertito nella legge posta in esame, è stato denominato “spazzacorrotti” poiché ha voluto incidere, da subito, soprattutto sulla lotta contro la corruzione, ampliando il numero ed il tipo di reati per i quali è consentito ricorrere a tale tecnica investigativa. L’agente sotto copertura, utilizzato fino ad oggi nelle indagini per i reati di criminalità organizzata, potrà ora essere impiegato per tutti quegli illeciti penali in relazione ai quali sussiste un sospetto di corruzione. D’ora in avanti quindi, in relazione ai delitti come la concussione (317 c.p.), la corruzione per l’esercizio di funzioni (art. 318 c.p.), l’usura (art. 644 c.p.), il riciclaggio (648-bis c.p.) – e molti altri – elencati nelle nuova norma, gli agenti sotto copertura non saranno più punibili, quando e qualora, adottino determinate condotte durante particolari operazioni, finalizzate ad acquisire elementi di prova per sventare la commissione dei reati considerati, ammesso che non ve ne diano mai esecuzione.
Uno dei punti “nevralgici” di tale tecnica investigativa speciale è la sottile distinzione con un’altra figura investigativa, quella del cosiddetto “agente provocatore”, il cui dibattito sulle differenze trova i suoi albori già nella stesura della legge n. 146/2006. E’ da allora che si suole porre l’accento sul fatto che l’ “agente sotto copertura” si deve distinguere dall’ “agente provocatore”, il quale, con la propria attività, finisce proprio per “istigare” la commissione di uno o più reati, anziché solamente infiltrarsi in una organizzazione criminale o in una pubblica amministrazione, senza mai provocare in alcun modo la commissione di reati.
Secondo una consolidata giurisprudenza italiana, il ricorso all’“agente provocatore”, se non si accerta che il reato non sarebbe stato commesso senza la “provocazione”, è da considerarsi inammissibile. Per ciò stesso, non è consentito, se non per casi circoscritti, che un agente di polizia istighi, induca o promuova la commissione di un reato. Con la nuova legge, oggi invece, si dà alla polizia giudiziaria e a tutti quei Corpi di Polizia o di Carabinieri appartenenti a strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, la possibilità di utilizzare, anche per il contrasto alla corruzione, la figura dell’ “agente sotto copertura” (e non dell’agente “provocatore”).
Ebbene, le operazioni sotto copertura, già previste per reati relativi ad armi, stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, immigrazione clandestina e altri, sono state estese anche a specifici reati contro la P. A. e si estende, d’altronde, la “non punibilità” penale dell’infiltrato in base all’idea che il suo concorso nei fatti sia stato posto in essere solo per fini investigativi.
Venendo ora ad alcune considerazioni critiche sul tema, può dirsi che tali previsioni di legge delineano un quadro non del tutto chiaro. Di fatti, un ufficiale di P.G. che dovesse svolgere operazioni investigative sotto copertura per contrastare alcuni reati contro la pubblica amministrazione, si troverebbe il più delle volte ad agire al di fuori di contesti criminali consolidati ed in condizioni che apparirebbero “mal definite”, che finirebbero per costituire vere e proprie “zone grigie”, con un elevato rischio di strumentalizzazioni e fraintendimenti in tutto il contesto in cui questi si verrebbe a trovare. Si correrebbe il rischio di rendere imputato un qualsiasi ufficiale di Polizia Giudiziaria, a scherno dei principi di tipicità, oggettività e materialità della fattispecie penale.
Situazioni di questo genere provocherebbero senza dubbio un clima di sospetto nelle pubbliche amministrazioni e potrebbe portare a forme di paralisi e ad incespichi dell’attività pubblica ed istituzionale; ciò perché si potrebbe facilmente ravvisare un qualsiasi illecito o elemento critico, fonte di dubbi o perplessità. Tutto sarà rimesso all’attenzione ed alla oculatezza di cui la magistratura dovrà disporre nel momento in cui sarà chiamata a valutare l’utilizzo di tale tecnica investigativa speciale.
Per affievolire ogni perplessità ed ogni dubbio, potrebbe richiamarsi l’avvento dell’istituto dell’ “agente sotto copertura” nell’ambito giuridico straniero, come quello americano, che si “blasona” già da tempi più addietro di tali strumenti investigativi.
Da molti decenni, forme di attività investigativa come quella dell’ “agente sotto copertura” fanno parte del patrimonio investigativo americano ed è per questo che oggi può essere utile osservarne, con l’ausilio dell’esperienza e della sperimentazione, le possibili evoluzioni o gli scenari futuri nel contesto italiano.
Il governo federale americano vanta da sempre un elevato numero di operazioni sotto copertura con attività d’investigazione svolte da diversi agenti “travestiti” da gente comune o da uomini d’affari, o uomini politici – o qual si voglia figura- per indagare possibili pericoli per la sicurezza del popolo americano e della nazione. Si tratta di un’attività che per sua natura è certamente “invasiva” e alcune volte pericolosa, un tempo rimessa alla sola competenza dell’F.B.I. (Federal Bureau of investigation); ecco che “tali operazioni forniscono un potente strumento per mettere insieme prove contro i sospetti, ma l’allargamento delle operazioni in incognito sta facendo emergere anche preoccupazione per le possibili limitazioni ai diritti civili e agli abusi che ne conseguono” (da un recente articolo del giornale New York Times).
Si auspica che, nell’ordinamento italiano, questo stesso strumento possa portare, nel lungo periodo, a buoni risultati investigativi e possa sventare rischiose situazioni di pericolo per la sicurezza del Paese, nonché possa far fallire attività criminose e possa farne arrestare gli autori.
Le tecniche investigative speciali possono rivelarsi uno strumento esaustivo ed a voler utilizzare le parole di un agente dell’F.B.I. americano: “Se fatto nel modo giusto, il lavoro sotto copertura può essere uno strumento di indagine molto efficiente”, dice, “ma porta con se dei rischi seri e dev’essere intrapreso solo col giusto addestramento e con la adeguata supervisione, poiché si tratta di un “inganno” del governo, che partecipa alle attività criminali, e questo può essere giustificato solo quando può portare alla soluzione dei crimini più grandi”.
L’esperienza straniera (in questo caso quella americana) potrebbe consentirci di far luce su alcuni degli aspetti dell’ “agente sotto copertura” italiano, che oggi ci appaiono più oscuri e incerti. Dunque, per mezzo di una consolidata e maturata sperimentazione americana, potrebbero apprendersi (e prevedersi) gli aspetti positivi e negativi dell’ “agente sotto copertura” e potrebbe crearsene un “più felice” rifacimento italiano.
Dott.ssa Anna Maria Signorino Gelo