Rifiuto di atti di ufficio per il medico che non visita il paziente a seguito di richiesta da parte dell’infermiere. Cassazione penale sez. VI – 15/12/2020, n. 12806.
Un medico cardiologo è stato riconosciuto colpevole del reato di rifiuto di atti di ufficio, a seguito del ricorso la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione.
Tuttavia, la sentenza ha ribadito alcuni punti di estremo rilievo circa la configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.) a carico del medico in servizio presso il reparto di cardiologia invasiva dell’ospedale che non visita il paziente a seguito di richiesta da parte dell’infermiere.
Infatti, quando a richiedere l’intervento del medico sono figure professionali tecnicamente qualificate, quali sono gli infermieri, la giurisprudenza di legittimità ritiene che sul sanitario gravi un preciso obbligo di procedere immediatamente a visitare il paziente, con conseguente sussistenza del delitto di rifiuto di atti d’ufficio, qualora questo non accada.
Nel caso in esame, è stato ritenuto evidente (ed evidentemente sbagliato) l’atteggiamento tenuto dal medico nella vicenda: la risposta resa all’infermiere in occasione della nuova sollecitazione (“a me non frega un cazzo… quel paziente é fuori di testa… tu non sei in grado di definire se un paziente é in testa o meno… non hai le competenze, quindi torna a fare il tuo lavoro“).
Il medico è stato riconosciuto colpevole del reato di rifiuto di atti di ufficio ma, essendosi il reato ormai estinto per prescrizione, la sentenza è stata annullata.
Avv. Danilo Conti
ContinuaBancarotta fraudolenta documentale. “Dolo generico rafforzato”. Irregolare tenuta delle scritture contabili.
Le scritture contabili sono uno strumento di verità perché consentono di misurare il grado di correttezza di una azienda, sia con riferimento al patrimonio aziendale che al volume di affari. Esse costituiscono la cartina di tornasole in casi di fallimento di una azienda.
Quando le scritture non sono regolari il curatore nel redigere la relazione ex art. 33 L.F., da il via all’azione penale, esercitata dal PM, nelle varie forme previste dalla stessa legge.
L’art. 216 della L.F. al n. 2 prevede il reato di “Bancarotta fraudolenta documentale” nella duplice condotta: a) sottrazione di documenti; [e\o] b) irregolare tenuta delle scritture.
Nel primo caso la forma più lieve integra il reato di bancarotta documentale semplice (art. 217 L.F.). In questo caso è richiesto il “dolo specifico”, ossia la volontà specifica di elidere le garanzie patrimoniali, unica speranza per i creditori.
Nel secondo caso si versa nell’ipotesi di “Bancarotta fraudolenta documentale”, decisamente più insidiosa per gli amministratori di società perché per essa la giurisprudenza richiede il “dolo generico”. Ossia la semplice consapevolezza di rendere non ricostruibile il patrimonio societario.
Sul tema, però, si registra un recente orientamento della Corte regolatrice che con la sentenza n. 20882/21, ha ritenuto non sufficiente la “semplice” constatazione di una condotta che ha reso difficile la ricostruzione del patrimonio. La Corte ha ritenuto che vada svolto un approfondito scrutinio della condotta, precisando che si ha reato se sussiste una sorta di “dolo generico rafforzato”, ossia bisogna provare le ragioni che hanno spinto il soggetto agente ad impedire la ricostruzione del patrimonio.
In altri termini non basta limitarsi genericamente a sostenere che la irregolarità di tenuta delle scritture contabili è tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ma è imprescindibile chiarire le “ragioni” che hanno spinto il reo a determinare una sottrazione delle garanzie patrimoniali per i creditori.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaReati tributari. Omesso versamento IVA. La prescrizione non preclude la confisca.
La Corte di Cassazione con una sentenza (n. 20793/21) che farà discutere, ha statuito che l’eventuale declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione non impedisce la confisca.
Si tratta di un orientamento restrittivo e decisamente sfavorevole soprattutto se ci si trova innanzi l’ipotesi di confisca per equivalente. Ed infatti dal 2018, data di entrata in vigore dell’art. 578 bis cpp, le S.U. hanno ritenuto che la portata della suddetta norma è di carattere generale e quindi la confisca va applicata anche ai reati extra codice penale (quindi anche ai reati tributari), ma soprattutto anche nei casi di confisca per equivalente.
Il caso in esame riguarda la condanna del legale rappresentante di una SPA che ha omesso il versamento dell’IVA. Alla condanna seguiva la confisca diretta ed indiretta. La S.C. nel dichiarare la prescrizione ha accertato la responsabilità dell’imputato e conseguentemente confermato la confisca.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaBancarotta per distrazione. Per condannare i sindaci necessaria la partecipazione con dolo.
La Cassazione torna sul tema della responsabilità dei sindaci revisori di una SPA.
Con una pronuncia di rilievo la Corte indica un percorso di verifica più scrupoloso nel momento in cui si tratta di attribuire ai sindaci la responsabilità penale in concorso con gli amministratori nel caso di bancarotta per distrazione.
La S.C. con la sentenza n. 20867/21 evidenzia che l’omissione colposa non è sufficiente a suffragare ipotesi di responsabilità penale, ma servono ulteriori indici rivelatori di una reale partecipazione nella condotta illecita, in altri termini serve il dolo.
La S.C. annovera tra questi indici (i) la notevole competenza professionale, (ii) l’avere omesso qualsiasi controllo, (iii) l’esistenza di un reale collegamento tra i sindaci ed il board societario.
Nel caso in esame le operazioni distrattive avvenivano con sofisticata intelligenza e soprattutto con una visibilità tale da rendere quasi impossibile il rilievo della distrazione, al punto da ingannare anche enti pubblici (in questo caso l’INPS).
Pertanto per la S.C. sussiste la responsabilità dei sindaci nel reato di bancarotta «solo qualora emergano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo (…) esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione , sia pure nella forma del dolo eventuale per consapevole volontà di agire anche a costo di fare derivare dall’omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori».
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaBANCAROTTA FRAUDOLENTA DOCUMENTALE. Art. 216 L.F. Due le ipotesi ma, per la Cassazione, alternative.
La Suprema Corte con la sentenza n° 11420/21 ha fatto chiarezza rispetto alla configurabilità ed eventuale contestazione in concorso delle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale previste dall’art. 216 co. 1, n° 2 della L.F..
La Corte, infatti, precisa che la prima ipotesi riguarda la sottrazione o distruzione dei documenti contabili. In questo caso l’elemento soggettivo è rappresentato dolo specifico.
La seconda ipotesi riguarda l’irregolare tenuta dei documenti contabili, dai quali non è possibile ricostruire né il patrimonio sociale, tanto meno le movimentazioni finanziarie. L’elemento soggettivo richiesto è quello del dolo generico.
Per la Cassazione si tratta di ipotesi alternative non contestabili in concorso, in quanto le condotte descritte presuppongono comportamenti non compatibili.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaLa tenuità del fatto non esime da responsabilità ex Dlgs 231/01 l’impresa.
Il caso in esame riguarda una impresa che si occupa della gestione dei rifiuti.
Diverse pronunce del giudice regolatore hanno statuito che l’applicazione dell’istituito di cui all’art. 131 bis c.p. (non punibilità per particolare tenuità del fatto) non solleva da responsabilità per illecito amministrativo l’ente, né per converso ne determina una automatica responsabilità (si veda: Cass., Sez. III Penale, n. 38752/2019; Cass., Sez. III Penale, n. 16607/2016; Cass., Sezione III Penale, n. 37163/2020 )
Ovviamente tale istituto non può essere applicato ai casi ti traffico illecito la cui pena massima è pari ad anni sei od in casi similari.
Purtroppo la legge non ne regolamenta i casi e, come sempre, quando c’è un vuoto normativo subentra il diritto vivente che, come sempre assume orientamenti spesso contrastanti.
In conclusione la causa di non punibilità ex art. 131 bis. C.p. non si applica all’ente, la cui responsabilità potrà essere riconosciuta previo puntuale scrutinio delle connesse eventuali responsabilità derivanti dall’illecito amministrativo contestato.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaVaccino Covid: vaccinare i furbetti non è reato, con buona pace di tutti i giustizialisti.
In un’epoca nella quale, con la nomina di Marta Cartabia al Ministro della Giustizia, si sta finalmente iniziando a vedere una debole luce in fondo al tunnel del giustizialismo penale che ha intriso le più recenti riforme del diritto penale, l’Italia si dimostra ancora panpenalistica…
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Dichiarazione infedele. Art. 4 dlgs 74/00. I costi fissi secondo la Cassazione fanno parte delle spese di carattere generale dell’imprenditore.
Con la sentenza n. 641/21 la 3^ sez. penale della Cassazione è intervenuta su un tema controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza, relativamente alla configurabilità del reato di dichiarazione infedele dell’imprenditore che, nella propria dichiarazione dei redditi, indichi elementi attivi e\o passivi non corrispondenti al vero. L’imposta evasa per essere penalmente rilevante deve superare la soglia prevista dall’art. 4 ossia € 100,000,00 (o superiore al 10% di quanto indicato nella dichiarazione oppure superare i 2 mln di €).
Nel caso in esame secondo i giudici di merito i c.d. “costi fissi” non avrebbero dovuto essere valutati, ai fini del “non” superamento della soglia, perché non inerenti ai costi sostenuti dall’impresa per produrre reddito.
La Cassazione ha annullato ricordando che i criteri di deducibilità dei costi sono rappresentati dall’effettiva tracciabilità degli stessi, nonché dell’inerenza di essi rispetto al ciclo produttivo, quindi la riferibilità va rapportata non ai ricavi ma all’oggetto dell’impresa.
Tema centrale del ricorso per Cassazione era la quantificazione ed individuazione della soglia di punibilità, ossia verificare l’eventuale superamento della stessa. Gli imprenditori che avevano fatto ricorso ai giudici di legittimità avevano prodotto una consulenza, non valutata dai giudici di merito, che dimostrava il non superamento della soglia e l’inerenza dei costi di produzione. La Cassazione nell’accogliere il ricorso ha affrontato il tema della deducibilità dei costi con espresso richiamo delle norme extrapenali di riferimento.
#Dichiarazioneinfedele #Art4dlgs74/00 #costifissi #spesegenerali
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#prescrizione #reatopresupposto #responsabilitàamministrativa #Dlgs.231/01
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 28210/20 conferma ancora una volta l’autonomia della responsabilità dell’ente anche quando il reato presupposto è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Si tratta di un orientamento consolidato ed in linea con quanto previsto dall’art. 8 d.lgs. 231/01. La sentenza in commento ribadisce ancora una volta che l’accertamento autonomo della responsabilità dell’ente non può prescindere “… da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato”.
In sostanza anche se il reato è prescritto, se vuoi perseguire l’ente devi accertare incidentalmente la fondatezza e la sussistenza del fatto illecito commesso per favorire l’ente stesso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#studiolegaleboutique #branding #naming #identità #comunicazione #coerenza
Gli studi legali sempre più proiettati nel mondo social. Essere presenti con i propri profili Facebook, Linkedin o Instagram costituisce segno di modernità, indice di affidabilità, proiezione verso un nuovo modo di interpretare il rapporto con i propri attuali e futuri clienti. Sia ben chiaro non è vero il contrario, ossia chi non ha una presenza social può ben essere affidabile, coerente e professionale.
Ma oggi la nuova clientela esige la presenza social, perché vuole studiare e capire gli ambiti di specializzazione dello studio legale prima di affidare il proprio futuro.
“Corporate Branding” e “Personal Branding” sono le due parole magiche che costruiscono il marketing di uno studio legale. Sono l’essenza delle scelte strategiche di ricerca cui mirano le aziende ed i privati quando scelgono un professionista oppure un team di professionisti.
Su tutti domina un valore: la “coerenza” della comunicazione che uno studio è in grado di profondere. I nuovi clienti hanno bisogno di conoscere l’identità ed i contenuti che è in grado di esprimere uno studio ed i professionisti dello studio, prima di affidare i propri affari oppure i propri problemi personali.
Una corretta comunicazione rafforza l’immagine del professionista, dello studio e rafforza la fiducia nella platea degli stakeholder.
(Sintesi di uno studio di Giuseppe Alviggi – Gruppo Stratego)
on. avv. Giuseppe Scozzari
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