#reatitributari #sequestro #primacasa #ammissibilità #art.2dlgs74.2000
Discutibile sentenza della Corte di Cassazione
la n° 5680/21 secondo la quale non sussisterebbero limiti né per la confisca, né per il sequestro preventivo della prima casa. Secondo il giudice regolatore nel caso di reati tributari non si applica la normativa sulla riscossione (art. 76 del Dpr 602/73), che invece pone un limite invalicabile.
Si tratta di un principio tutt’altro che pacifico essendoci numerose sentenze di senso opposto. Il caso riguarda un imprenditore condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false (art. 2 dlgs 74/00) a cui è stata sequestrata la prima casa.
Secondo la S.C. il limite della espropriazione immobiliare della prima casa non si applica nel caso della commissione di reati. Alla base della motivazione anche il riferimento all’art. 2740 del c.c. secondo il quale, il debitore risponde dei propri debiti con tutti i suoi beni, solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge tale responsabilità può trovare un limite. Nel caso dei reati tributari nessun limite sarebbe previsto dalla legge.
Questa sentenza, in contrasto con altri precedenti, aggredisce in maniera indiscriminata un bene che trova tutela primaria nella costituzione ossia, il diritto alla propria abitazione.
Urge intervento regolatore selle Sezioni Unite.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#231 #costituzione parte civile #ammissibilitá #grave decisione
Con la sentenza depositata il 29.01 scorso il tribunale di Lecce, con una decisione per nulla condivisibile, ha ammesso la costituzione di parte civile nei confronti di un ente imputato di illecito amministrativo derivante da reato ex DLGS 231/01.
Il tribunale in aperto contrasto non solo con autorevole dottrina ma anche con la giurisprudenza di legittimità (su tutte si veda sent. SC sez. IV, 5/10/2010, n. 2251, rv. 248791), costante sul tema, ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di una società imputata di reati ambientali. Secondo il tribunale il sistema sanzionatorio introdotto nel 2001 legittimerebbe l’ammissione affermando in sostanza che ciò che non è espressamente escluso, non è nemmeno vietato. Secondo i giudici leccesi “…il rinvio operato dagli articoli 34 e 35 del Decreto legislativo 231/2001 consente l’estensione al procedimento degli illeciti amministrativi dipendenti da reato delle norme di procedura penale in quanto compatibili e l’estensione all’ente della disciplina relativa all’imputato, sempre in quanto compatibile”.
Secondo i giudici di merito l’ente non puo esimersi dalla responsabilitá per colpa organizzativa, essendo rinvenibile in capo alla società un deficit di controllo, di diligenza, di applicazione delle regole di prudenza organizzativa che sono proprie dei vertici, quindi imputabili ad essi e per converso alla società.
Il tribunale di Lecce rinvia ad una serie di norme del DLGS 231 che, secondo l’interpretazione analogica data, consentirebbero l’ammissione della costituzione di parte civile, tra esse indica gli arti. 12,17,19 presupposto per l’esercizio dell’azione risarcitoria civile.
Tale interpretazione secondo il sottoscritto è in aperto contrasto con i principi che governano il processo penale, che non ammette interpretazioni estensive in malam parte, inoltre il DLGS citato è estremamente chiaro nel non prevedere tale possibilità.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Reatitributari #Dlgs231/01 #Responsabilità società #ChiarimentoGDF #Responsabilità Amministrativa
Con il DL 124/19 (e successivamente con il dlgs 75/20)è stata ampliata la platea dei reati presupposto, di cui al dlgs 231/01, includendo alcuni reati tributari.
Tra essi rientrano nei reati presupposto: a) dichiarazione fraudolenta; b) emissione fatture false; c) occultamente\sottrazione documenti contabili; d) dichiarazione infedele; e) indebita compensazione; f) evasione Iva non inferiore a 10 milioni. Tutti reati previsti dal dlgs 74/00.
In merito alla contestabilità automatica, ossia in caso di reato tributario commesso dal legale rappresentante di detti reati alle società, interviene, nel corso di Telefisco, un chiarimento del Comando Generale della Guardia di Finanza che ha precisato che la società rischia pesanti sanzioni che vanno da 300 a 500 (una quota varia da 258 a 1549 euro). La società per andare esente, secondo la GDF, deve dimostrare di avere adempiuto a quanto prescritto dal dlgs 231/01 in termini di modello organizzativo, in ogni caso la contestazione non sarebbe automatica, perché si impongono alcune verifiche: 1) idoneità del modello organizzativo adottato, in relazione alla prevenzione del reato contestato; 2) idoneità delle misure di controllo previste dal modello; 3) idoneità delle misure in relazione al ciclo forniture; 4) eventuale “dissociazione” fra la volontà del soggetto imputato e quello della società; 5) sussistenza di un beneficio per la società come ad esempio un indebito risparmio fiscale.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Video sorveglianza #nessun reato #datorelavoro #comportamento infedele lavoratore
Con la sentenza n. 3255/21 la Corte di Cassazione ha statuito che non commette reato il datore di lavoro che utilizza la videosorveglianza nei confronti del dipendente infedele, anche in assenza di accordo sindacale.
La S.C. con una pronuncia che farà discutere, soprattutto in ambito sindacale, ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale di Viterbo che aveva condannato un imprenditore alla pena di 200 di ammenda.
In sintesi il giudice regolatore ha ritenuto legittima l’installazione di un impianto di videosorveglianza a tutela del patrimonio aziendale, ribadendo che lo Statuto dei lavoratori non interdice al datore di lavoro la possibilità di effettuare i c.d. “controlli difensivi”.
La Corte sostiene, inoltre, che le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a presidio della loro riservatezza, non proibiscono i cosiddetti “controlli difensivi” del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio in ambito processuale.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaIl candidato al concorso per l’ammissione alla specializzazione in medicina deve riconoscere eventuali errori di stampa nelle domande.
Con ricorso di primo grado il ricorrente classificato in posizione non utile partecipava al concorso per l’ammissione al corso di formazione in Medicina Generale 2017-2020 indetto per n. 70 posti; impugnava la graduatoria finale degli ammessi unitamente agli atti del procedimento, tra i quali i verbali della Commissione e gli atti della Commissione ministeriale con i quali è stata predisposta ed approvata la griglia delle risposte ai quesiti di esame.
In particolare, si deduceva nel ricorso che nel quesito n. 51 “Quale tra gli antibiotici di seguito elencati non è consigliato nel trattamento della malattia di Lyme?”, tra le possibili opzioni veniva indicata la risposta Doxicillina (non esistente in commercio), in luogo di Doxiciclina.
Inoltre veniva precisato che la risposta esatta, secondo la Commissione, fosse “Cefalexina” e non anche la risposta “Amoxicillina” prescelta dal ricorrente.
Si deduceva che l’erronea indicazione della risposta era tale da trarre in inganno il candidato facendolo cadere in errore; veniva poi dedotto che, in ogni caso, la risposta “amoxicillina” sarebbe stata anch’essa esatta, essendovi plurime risposte corrette al quesito proposto, tra le quali quella indicata dal ricorrente.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n.3415/2020, ha respinto l’appello.
Nella specie la massima Corte amministrativa ha ritenuto che il candidato preparato, essendo a conoscenza dell’inesistenza in commercio di un antibiotico denominato “Doxicillina” e dell’esistenza di un prodotto denominato “Doxiciclina”, avrebbe dovuto immediatamente rendersi conto del mero errore di stampa.
Avv. Danilo Conti
Continua#Processopenale #depositotelematico #querela #nominadifensore #opposizione archiviazione
Ogni tanto qualche buona notizia nell’ambito del processo penale.
Dal 5 febbraio (Decreto Ristori) alcuni atti della fase delle indagini preliminari, potranno essere depositati telematicamente, ecco quelli rilevanti per gli avvocati: 1) atto di opposizione alla richiesta di archiviazione; 2) dichiarazione di querela proposta dai privati, anche se per mezzo di procuratore speciale; 4) nomina del difensore, rinuncia e revoca del mandato difensivo.
Le modalità di trasmissione telematica non sono chiare perché si rinvia al solito decreto attuativo, ma quasi sicuramente saranno come a quelli attualmente vigenti.
Qualche riflessione: A] quanto al deposito della querela è consigliabile che essa avvenga tramite un legale che ne autentica la firma. Giurisprudenza di merito infatti ha ritenuto non valida la querela proposta dal privato per impossibilità di certificarne la firma. B] Recente Cassazione (n. 25606/20), però, ha statuito che la Pec inviata da privati equivale ad un atto inviato per racc. a.r., facendo leva su quanto previsto dall’art. 337 cpp che prevede l’invio per posta previa autentica di firma del querelante.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaNON DISPORRE L’ESAME ISTOLOGICO INTEGRA IPOTESI DI COLPA MEDICA SE DAL MANCATO ESAME DIAGNOSTICO DERIVA UNA RIDUZIONE DELLE ASPETTATIVE DI VITA.
CASSAZIONE PENALE SEZ. IV, 16/09/2020, N.28294.
È stato contestato ad un medico responsabile di chirurgia generale e medico curante, di aver cagionato la morte di un paziente per carcinoma vescicale metastatico. Nella specie veniva contestato di avere omesso di praticare – in occasione di due interventi relativi a resezione di neoplasia vescicale e successiva cistoscopia – l’esame istologico sul materiale resecato, privando il paziente della possibilità di definire la natura della malattia, di codificare il necessario follow-up e di attuare i provvedimenti terapeutici più appropriati, così riducendo drasticamente le aspettative di vita del paziente che andava incontro a morte. Secondo giurisprudenza è “causa” di un evento “quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa)”. Con riguardo alla responsabilità professionale del medico secondo la giurisprudenza il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (ex multis Cass. pen. Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure volte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, quando risulti accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa (Cass. pen. Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013). La Cassazione ritiene che in materia di gravi malattie tumorali, l’anticipazione del decesso – comunque inevitabile – dovuto a errori diagnostici e/o a cure inadeguate, è circostanza che rientra nella tipicità del delitto di omicidio colposo, trattandosi di evento-morte a tutti gli effetti riconducibile alla condotta colposa del medico, il quale è sempre tenuto ad 2 apprestare una terapia adeguata alla malattia, al fine di curare e mantenere in vita il paziente per tutto il tempo consentito dalla migliore scienza ed esperienza medica. Dopo aver svolto le argomentazioni sopra riassunte la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata affinché venga stabilito se l’omissione addebitata al sanitario, in assenza di fattori causali alternativi, sia condizione dell’evento; con la precisazione che per evento del reato di omicidio colposo deve considerarsi anche l’anticipazione della morte determinata dalla condotta colposa del medico.
AVV. DANILO CONTI
ContinuaVARICOCELE SX DI TERZO GRADO E ART. 590 C.P. – IL CHIRURGO È RESPONSABILE DI LESIONI PERSONALI COLPOSE SE CON L’INTERVENTO HA DETERMINATO UNA PERFORAZIONE INTESTINALE CON CONSEGUENTE PERITONITE STERCORACEA DIFFUSA
Corte di Appello Ancona, 23/10/2020 n.1379. Il processo ha ad oggetto il reato di lesioni colpose a carico di un chirurgo e del medico di guardia responsabile del decorso post-operatorio perché, durante un intervento per varicocele sx di terzo grado, si determinava una lesione che esitava in una peritonite stercoracea diffusa.
➔ I FATTI. Nel corso del processo veniva sentito come teste un chirurgo, con 38 anni di esperienza e almeno cinquemila interventi per varicocele, il quale dichiarava di aver partecipato all’intervento chirurgico in aiuto all’imputato. Riferiva che: “… la finalità dell’intervento è quella di prendere le vene spermatiche, il taglio è un taglio trasverso inguinale alto, è un taglio estremamente piccolo – tre o quattro centimetri – che è una finestra estremamente precisa che cade esattamente a livello della vena, cioè la vena al di sotto e al di sopra di quelle finestre praticamente non si vede … la vena giace al di dietro della prima plica peritoneale che però è dell’intestino tenue … quindi si va là, si isola la vena, si prende con una pinza, si chiude a destra e a sinistra, si taglia al centro e si legano i due capi … per la legatura vien utilizzato un filo riassorbibile in 60-90 giorni…”. Tuttavia, il ragazzo dopo l’operazione accusava dolori alla parte bassa dell’addome e gli venne somministrato un antidolorifico da un’infermiera. Il ragazzo, dopo l’intervento e sino alle dimissioni, non venne visitato da alcun medico, ma ricevette solo l’antidolorifico dall’infermiera, gli venne detto anche che poteva riprendere a mangiare.
➔ L’OPINIONE DEI CTU. I ctu accertavano che alla persona offesa era stato diagnosticato un “varicocele sx III grado. Si richiede spermiogramma. Seguirà legatura del varicocele presso la Casa di Cura …”. L’intervento consisteva nella legatura retroperitoneale alta dei vasi spermatici: “… nell’intervento di Palomo, che richiede un’incisione sulla parete anteriore dell’addome, è necessario spostare il sacco peritoneale con il suo contenuto, in particolare il colon sinistro, per arrivare ai vasi spermatici … lo spostamento mediale del sacco peritoneale è una manovra facile. Raramente può risultare più indaginosa in presenza di aderenze … è eseguito con un tamponcino di garza montato su un ferro chirurgico o con uno strumento smusso”. Nelle successive 12 ore dopo l’intervento la persona offesa veniva trattata due volte con terapia antidolorifica per “dolore alla ferita”. Hanno ritenuto i CTU che se il dolore serale poteva essere interpretato come secondario al recente trauma della ferita, quello della mattina successiva avrebbe dovuto indurre una valutazione clinica più approfondita. Infatti, la TAC successivamente effettuata rivelava “la presenza di un aspetto pinzato del colon al passaggio discendente-sigma che mostra oltremodo una breve porzione stirata verso il canale inguinale: tali reperti potrebbero essere suggestivi per trauma iatrogeno del sigma con conseguente perforazione”. La lesione riscontrata (perforazione iatrogena del colon sin) veniva posta quale conseguenza diretta della peritonite fecale e veniva ascritta all’intervento effettuato dall’imputato.
➔ IL RITARDO DIAGNOSTICO. In aggiunta, veniva individuato un ritardo diagnostico di circa 10-12 ore: sebbene la persona offesa avesse riferito dolori durante la notte e lamentasse dolore alle ore 7, non risultava dalla cartella clinica alcun accertamento clinico-strumentale che valutasse la regolarità del post-operatorio (nella cartella era indicato: “dolore alla ferita chirurgica. Praticato antidolorifico. Dimesso”. La precocità della diagnosi avrebbe ridotto la gravità della peritonite ed avrebbe probabilmente permesso la chiusura diretta della perforazione, evitato la confezione della colostomia e reso non necessario il secondo intervento chirurgico di ricanalizzazione intestinale. 2 I ctu ritenevano che le cause erano riconducibili ad un errore tecnico provocato da una manovra chirurgica non adeguata in corso di intervento.
➔ IL DIRITTO. In tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Persiste pertanto la responsabilità anche del primo medico in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata (Cass. pen. n. 46824/2011).
➔ LA DECISIONE DELLA CORTE DI APPELLO. Il medico non avrebbe dovuto disporre le dimissioni il giorno stesso dell’intervento senza valutare il decorso clinico. In tal modo ha dimostrato di disinteressarsi del decorso post-operatorio. La condotta colposa del chirurgo, non consente di attribuire in via esclusiva al medico di guardia, successivamente intervenuto, la responsabilità delle lesioni. Conferma la sentenza di primo grado e ritiene responsabili del reato di lesioni colpose il chirurgo che ha cagionato la lesione ed il medico di guardia che non ha visitato il paziente.
AVV. DANILO CONTI
ContinuaIl laureato in medicina ha diritto ad accedere alla scuola di specializzazione anche in presenza di borse di studio “non intonse”.
Con l’ordinanza cautelare n. 3407/20 il Consiglio di Stato ha disposto l’immediata ammissione del ricorrente alla Scuola di specializzazione di Radiologia presso l’Università degli studi ove aveva fatto domanda.
Il ricorrente aveva partecipato alla procedura selettiva per l’accesso alla scuola di specializzazione collocandosi alla posizione n. 7243 con punti 92; senza tuttavia ottenere l’immatricolazione sebbene con DDG 859/2019 fossero state stanziate ben 8.920 borse.
Il Consiglio di Stato con l’ordinanza in esame ha ribadito il principio della tendenziale necessità di saturare le risorse disponibili e non ha ravvisato alcun divieto specifico di assegnare borse non “intonse”, né l’inutilizzabilità di quelle parzialmente ottenute, sancendo che è compito della P.A. recuperare dal rinunciatario, che goda per effetto del trasferimento d’una borsa intera, la parte della borsa ottenuta nella prima sede assegnatagli in tal modo ammettendo ulteriori specializzandi.
avv. Danilo Conti
Continua#risarcimento #reati violenti #normativa comunitaria
In mancanza di risarcimento, è lo Stato a dover indennizzare le vittime di reato violento.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 5321 del 2020, ha evidenziato che le vittime di reati violenti hanno diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, qualora risulti impossibile ottenere il risarcimento del danno da parte dell’autore dell’illecito.
Tale statuizione richiama l’inadempimento dell’Italia per il mancato recepimento della direttiva 2004/80/CE, che già dal 2005 prevedeva una tutela indennitaria a favore di tutte le vittime di reati violenti non risarcite dagli autori: inadempimento a cui è stato possibile porre rimedio con la Legge n. 122 del 2016 e con l’art. 1 del relativo decreto applicativo del 2019 e attraverso cui – mediante la pronuncia richiamata – il Tribunale di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pagare la somma di 50.000 euro in favore dei parenti di una vittima di omicidio.
Dott. Roberto Sciacchitano
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