#Dlgs231/2001 #Messaallaprova #Inammissibilità #penalesocietario
La giurisprudenza di merito si orienta sempre di più nel ritenere inammissibile l’applicazione dell’istituto della messa alla prova alle società imputate ai sensi del dlgs 231/01.
Il GIP di Bologna con propria ordinanza del 10/12/20 ha ritenuto inapplicabile l’istituto della messa alla prova alla società indagata per il reato di induzione indebita. Per il Gip si tratta di una in compatibilità sostanziale e processuale, ritenuto che l’art. 464 quater cpp (che disciplina il suddetto istituto) è pensato per la persona fisica e non anche per le persone giuridiche. Secondo il Gip la valutazione che deve fare il giudice nel momento in cui ammette il reo alla messa alla prova è una valutazione sulla personalità del reo, in una prospettiva di un giudizio prognostico che propende favorevolmente sulla circostanza che quest’ultimo si asterrà dal porre in essere altre attività delittuose. La motivazione dell’ordinanza è chiara e asserisce che il programma di trattamento riguarda «le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonchè del suo nucleo familiare, e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale», in altri termini se l’imputato supera la prova ha diritto ad un’altra chance. Le prescrizioni del programma riabilitativo, infatti, tendono al reinserimento sociale del reo attraverso una attività di volontariato, oppure lo svolgimento di lavori socialmente utili, attività che cozzerebbero con un percorso applicabile in capo ad una società. Un ragionamento contrario porterebbe alla creazione di un istituto giurisprudenziale non previsto dalla legge e probabilmente contraria ad essa.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#arruolamento #tatuaggi
Nelle procedure di selezione per l’arruolamento nelle Forze armate i tatuaggi e le cicatrici determinano l’esclusione se ritenuti indice di alterazione della psiche.
Con sentenza n. 7621/2020, il Consiglio di Stato è ritornato sulla c.d. riserva in favore dell’amministrazione.
È compito dei singoli bandi di reclutamento indicare cosa determini una “lesione del decoro della funzione” ed in questi casi è compito delle apposite commissioni valutare l’idoneità psico – fisica dei candidati e le alterazioni volontarie permanenti dell’aspetto fisico.
Le valutazioni espresse dalle commissioni non possono essere sostituite dalle valutazioni del giudice amministrativo al quale è precluso decidere in sostituzione degli organi amministrativi a ciò preposti, tranne nei casi in cui la valutazione sia arbitraria o abnorme.
avv. Danilo Conti
Continua#penale #abusodufficio #323cp
Con la sentenza in commento la Cassazione ha chiarito l’esatta portata della recente riforma sul reato di abuso d’ufficio.
A seguito della riforma, infatti, integra il reato di cui all’art. 323 c.p. la condotta del Pubblico Ufficiale, realizzata in violazione di regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e rispetto alla quale non residuino margini di discrezionalità.
In tema di diritto urbanistico la violazione di un atto amministrativo generale come un piano urbanistico determina la violazione della normativa in materia urbanistica e costituisce a tutti gli effetti violazione di legge ai sensi dell’art. 323 c.p..
avv. Danilo Conti
Continua#AMMINISTRATORE DI FATTO #BANCAROTTA FRAUDOLENTA PATRIMONIALE #BANCAROTTA PREFERENZIALE
La Corte di Cassazione con la sentenza n° 34508/2020 affronta ancora una volta il tema legato alla figura dell’”amministratore di fatto” di una società di capitali. La sentenza in linea con il prevalente orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che la figura dell’”amministratore di fatto” può evincersi da “elementi logici – quali la successione nella carica a carattere meramente fittizio – e rappresentativi – quali la disponibilità e la consegna delle scritture contabili al curatore fallimentare”.
Il caso riguarda le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale addebitate all’ex amministratore, per Corte rimasto l’effettivo amministratore, il quale ha sapientemente distratto dalla cassa cospicuo contante effettuando pagamenti nei confronti della società controllante.
Non ha colto nel segno il ricorso dell’imputato\amministratore di fatto perché la S.C. nel ripercorrere il ragionamento svolto dai giudici di merito, rilevando l’inammissibilità di gran parte delle censure proposte (perché avevano come tema una rilettura di dati probatori non ammessa in sede di legittimità), non si è sottratta ad uno scrutinio della posizione dell’imputato relegato a vero amministratore della società. Tra gli elementi addotti dalla S.C. a sostegno di tale tesi vi è la consegna ad opera dell’imputato (ex amm.re) al curatore, di tutte le scritture contabili della fallita società.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#DichiarazioneFraudolenta #Art2_Dlgs74-00 #Presunzionitributarie #Riscontroelementiesterni #doloeventuale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 36915/2020 ha messo un importante punto fermo in relazione al reato di cui all’art. 2 del Dlgs 74/20 (dichiarazione fraudolenta), stabilendo che le “presunzioni tributarie” non assurgono a dignità di prova, bensì hanno efficacia in chiave indiziaria. Per assurgere a prova devono trovare riscontro in dati oggettivi esterni oppure in altre presunzioni gravi, precisi e concordanti. Il caso riguardava l’uso di fatture false ad opera di un imprenditore, per forniture (secondo l’accusa) mai effettuate. Il primo ed il secondo grado si chiudevano con una condanna dell’imprenditore che ricorreva in Cassazione. La Cassazione pur confermando la condanna stabiliva che le presunzioni tributarie possono costituire un elemento di libero convincimento per il giudice, ma nel caso in esame il riscontro esterno era costituito dal fatto che la società emittente la fattura non era abilitata ai servizi fatturati ed inoltre la stessa non è stata in grado di provare (foto, biglietti…) l’effettivo svolgimento dell’evento fatturato.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDecreto Ristori: in Gazzetta Ufficiale il testo convertito in legge #coronavirus #dlristori #attivitàadistanza
Il 24 dicembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del Decreto legge n. 137 del 2020 (cosiddetto “Decreto Ristori“) coordinato con la legge di conversione n. 176 del 2020, recante misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Tra le numerose previsioni meritano particolare attenzione quelle inerenti il processo penale che, finalmente, consentono di affrontare con meno incertezze le difficoltà connesse alla pandemia, incentivando lo svolgimento delle attività da remoto. La legge di conversione, in particolare, interviene su due principali aspetti: le modalità di svolgimento delle attività giurisdizionali, e l’attività di deposito di atti, documenti e istanze.
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Gli articoli richiamati dettano regole differenziate per ciò che concerne la partecipazione dei soggetti e delle parti alle diverse fasi / gradi dei procedimenti, pur stabilendo come regola generale quella secondo cui le udienze possono essere svolte da remoto, purché vi sia il consenso delle parti, escluse – in ogni caso – le ipotesi di incidente probatorio, giudizio abbreviato, discussione finale e tutte quelle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti. |
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Procedimento d’appello |
Si svolgerà in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, a meno che le parti private richiedano la discussione orale o l’imputato di voler comparire. Previsioni conformi per quanto riguarda il giudizio di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari e quelli di cui agli articoli 10 e 27 del decreto legislativo n. 159 del 2011 in materia di misure di prevenzione. |
Procedimento |
Senza la richiesta di discussione orale di una delle parti private o del procuratore generale, il collegio deciderà in camera di consiglio senza alcun intervento delle parti. |
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Memorie, documenti, richieste e istanze di cui all’articolo 415 bis c.p.p. prodotte dalla difesa presso gli uffici della procura della Repubblica presso i tribunali, vengano depositati nel portale del processo penale telematico, secondo le modalità previste dal provvedimento del DGSIA del Ministero della Giustizia; |
Tutti gli altri atti, documenti e istanze, vengano depositati mediante l’invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata (inserito nell’apposito registro di cui al Decreto Ministeriale n. 44 del 2011) agli indirizzi di posta elettronica certificata degli Uffici Giudiziari destinatari dell’atto. |
In sintesi, il legislatore sembra aver finalmente preso atto delle difficoltà connesse all’emergenza epidemiologica e della necessità di fornire a tutti gli operatori del diritto gli strumenti idonei a garantire il corretto funzionamento della giustizia: strumenti che, oggi più che mai, rendono necessario l’incremento delle attività giurisdizionali da remoto senza, tuttavia, perdere di vista le garanzie e i diritti dei cittadini.
Dott. Roberto Sciacchitano
ContinuaCOVID-19: NON SUSSISTE LA FALSITA’ DELL’AUTOCERTIFICAZIONE ATTESTANTE UNA INTENZIONE.
“Sebbene non vi siano dubbi circa il fatto che l’intenzione dichiarata dall’imputato nel modulo di autocertificazione non abbia trovato riscontro nei successivi accertamenti della Polizia giudiziaria va, tuttavia, escluso che tale falsità integri gli estremi del delitto di cui all’imputazione in quanto l’art. 483 c.p. incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.
Il GIP del Tribunale di Milano, Dott. Crepaldi, così si è pronunciato con sentenza del 16.11.2020 sulla falsità in autocertificazione e divieti di spostamento causa COVID-19 delle attestazioni circa le proprie intenzioni di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività; la sentenza in particolare critica la possibilità di far rientrare nell’ambito di operatività della fattispecie di falsità in autocertificazione ex art. 483 c.p. con specifico riferimento alle attestazioni circa le proprie “intenzioni” di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività.
Nel caso concreto, all’imputato veniva contestata la fattispecie di cui all’art. 76 DPR 445/2000 in relazione all’art. 483 c.p. poiché, in sede di autodichiarazione consegnata ai alle Autorità, nell’ambito dei controlli sul rispetto delle misure di contenimento COVID-19, riferiva che si stava recando “presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio”, circostanza questa poi rivelatasi non vera a seguito delle indagini effettuate dalla stessa Autorità.
Oggetto di valutazione del Giudice meneghino riguardava, pertanto, la circostanza (che lo stesso si stava recando presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio) poi rivelatasi non vera a seguito di accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria.
Brevemente, le norme richiamate sono:
1) l’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) che punisce “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”;
2) l’art. 76 DPR 445/2000 (Norme penali) che punisce: “1. chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia; 2. l’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso; 3. le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell’articolo 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale; 4. se i reati indicati nei commi 1, 2 e 3 sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l’autorizzazione all’esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte”.
Il Giudice richiamava, facendolo proprio, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “sono estranei all’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino “fatti” di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi”; lo stesso Giudice osservava come tale orientamento veniva confermato nel caso di specie:
1) in relazione al dato testuale, “giacché la nozione di “fatto” non può che essere riferita a qualcosa che già è accaduto ed è perciò, già in quel preciso istante, suscettibile di un accertamento, a differenza della intenzione, la cui corrispondenza con la realtà è verificabile solo ex post”;
2) in ordine al profilo teleologico, “giacché la norma è finalizzata ad incriminare la dichiarazione falsa del privato al pubblico ufficiale in relazione alla sua attitudine probatoria, attitudine che evidentemente non può essere riferita ad un evento non ancora accaduto”;
3) ancora, in un’ottica sistematica, “dalla stessa normativa in tema di autocertificazioni, all’interno della quale i “fatti” sono indicati, quale oggetto di possibile dichiarazione probante del privato, insieme agli stati e alle qualità personali, vale a dire a caratteristiche del soggetto già presenti al momento della dichiarazione”.
Continua ancora la sentenza, “come recentemente osservato da autorevole dottrina il nostro ordinamento non incrimina qualunque dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio ma costruisce i reati di falso secondo una sistematica casistica: ne consegue che il rilievo della falsa dichiarazione è legato all’individuazione di una specifica norma che dia rilevanza al contesto e alla singola dichiarazione, la dichiarazione di una mera intenzione nell’ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 483 c.p., limitato ai soli “fatti” già occorsi”.
Alla luce di quanto espresso, conclude il provvedimento, “mentre l’affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata (si pensi alla dichiarazione di essersi recato in ospedale ovvero al supermercato) potrà integrare gli estremi del delitto de quo, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell’ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.
In conclusione, il reato previsto ex art. 483 c.p. non sussiste e non può operare qualora l’autocertificazione rilasciata all’Autorità, in particolare in occasione dei controlli relativi alle misure di contenimento del COVID-19, esprima una intenzione o una mera volontà del soggetto dichiarante poiché l’ordinamento punisce (con la norma richiamata) il soggetto che rilasci dichiarazioni (false o mendaci) attestanti un fatto, quale può essere la sussistenza di un requisito o di una situazione fattuale già occorsa, in un atto che è destinato a provare la veridicità del fatto stesso.
Dott. Biagio Cimò
ContinuaInammissibilità dell’impugnazione via PEC, all’indomani del Decreto Ristori. #cassazione #impugnazioni #dlristori
Con la sentenza n. 32566/2020 la Suprema Corte ha confermato l’orientamento secondo cui la proposizione dei mezzi di gravame tramite posta elettronica certificata è da ritenersi inammissibile.
Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità della proposizione di nuovi motivi inviati dal Pubblico Ministero tramite PEC alla cancelleria della Cassazione e precisato che le previsioni introdotte dall’art. 24 del d.l. n. 137/2020 (c.d. Decreto Ristori) non permettono comunque di derogare alle modalità di presentazione delle impugnazioni previste dagli artt. 582 e ss. c.p.p.
In tale pronuncia, la Corte illustra i motivi che non consentono di riconoscere al Decreto Ristori una portata innovativa.
In primo luogo, ponendo in risalto la rilevanza della riconducibilità dell’atto impugnato all’identità del soggetto che lo ha sottoscritto e la conseguente funzione che assume la procedura di deposito quale strumento per verificare la legittimazione di colui che propone l’impugnazione. Tale riconducibilità infatti – non comprovabile tramite la posta elettronica certificata – sarebbe attribuibile dalla firma digitale che, tuttavia, non può ancora essere utilizzata stante la mancata adozione del decreto dirigenziale previsto dall’art. 35 del D.M. 21 febbraio 2011 n. 44.
In secondo luogo, la Corte chiarisce che quanto previsto dal comma 1 dell’art. 24 riguarda esclusivamente il valore legale del deposito degli atti relativi alla fase di cui all’art. 415 bis c.p.p. effettuato tramite il portale del processo penale telematico, individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Tuttavia, neanche il citato provvedimento dirigenziale potrebbe comunque derogare – in ossequio al principio di gerarchia delle fonti – a quelle disposizioni di rango primario che regolano il deposito di significativi atti del procedimento penale, come le impugnazioni.
Sulla base di tali considerazioni, pertanto, la disciplina introdotta dal Decreto Ristori non appare idonea a rendere ammissibile la proposizione dei mezzi di gravame tramite posta elettronica certificata, essendo tassativa la modalità di presentazione delle impugnazioni e, quindi, inderogabile dal comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 137/2020.
Dott. Roberto Sciacchitano
Continua#Covid-19 #genitoriseparati #rapporticonifigli #dirittocivile
L’emergenza epidemiologica da Covid-19 e la connessa legislazione d’urgenza emessa per arginarla ha inciso su diversi aspetti della vita sociale ed economica del Paese riportando alla luce, inoltre, importanti questioni giuridiche, tra cui quella sul delicato tema dei genitori separati.
Le misure di contenimento varate dal Governo, infatti, suscitano, tra genitori separati, nuovamente dubbi, confusione e contrasti sia in merito alle “nuove modalità” di gestione del rapporto con i figli non conviventi, sia sulla “strumentalizzazione” del diritto alla salute dei figli minori ovvero delle problematiche di natura economica, enfatizzate volutamente con l’unico scopo di acuire risentimenti e per voglia di prevaricazione.
I suddetti contrasti genitoriali hanno dato luogo a contenziosi giudiziari in cui i giudici hanno ribadito che il diritto dei figli a frequentare entrambi i genitori è prevalente rispetto alle misure contenitive in quanto “nessuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti” (Cfr. Tribunale di Milano 11 marzo 2020).
Invero, già a seguito dei provvedimenti nazionali emessi in data 10 marzo 2020, con riferimento espresso al diritto di visita del genitore non collocatario della prole, anche il Governo, sul proprio sito istituzionale – governo.it – aveva definitivamente chiarito che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”(Cfr. DPCM dell’11 marzo 2020).
Di contro, però, altri Tribunali, come quello di Busto Arstizio e di Bari, in data 24 marzo 2020 e 26 marzo 2020, hanno statuito che, in alcuni casi, proprio per il precipuo interesse della salute dei minori e di quella collettiva, appare consigliabile sospendere i prescritti incontri e sostituirli con contatti da remoto.
Pertanto, anche se in linea generale gli incontri tra genitori e figli non conviventi sono possibili, pur nelle ristrettezze della normativa di emergenza, non significa che siano sempre consentiti: le visite dovranno essere bilanciate con le esigenze di tutela della salute del minore e delle persone che abitualmente convivono con lui, in caso di contagio e/o quarantena il diritto alla frequentazione dei genitori e figli non conviventi verrà compresso.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua
Riforma dell’abuso d’ufficio: ridotta l’area del penalmente rilevante, con effetti retroattivi #cassazione #delitticontrolapa #abusodufficio
Con la sentenza n. 32174/2020, la Corte di Cassazione ha statuito che, per effetto della riscrittura dell’articolo 323 c.p. operata dal d.l. n. 76/2020, l’abuso d’ufficio può essere ora integrato solo dalla violazione di fonti primarie, così determinando significativi effetti di riduzione dell’area del penalmente rilevante e, quindi, l’applicazione retroattiva di misure di maggiore favore ai sensi dell’articolo 2 c.p.
Nella vicenda al vaglio della Corte, il sindaco di un Comune, dopo aver assunto la presidenza del Consiglio Comunale, aveva sospeso e poi sciolto la seduta che aveva all’ordine del giorno la mozione presentata dai consiglieri di minoranza per la costituzione di parte civile in un procedimento contro lo stesso sindaco, anziché astenersi in considerazione del proprio interesse.
La Suprema Corte – pur riconoscendo la responsabilità penale dell’imputato in virtù della rilevanza della violazione dell’articolo 78 comma 2 del TUEL che impone agli amministratori (presidente del consiglio comunale e sindaco compresi) di astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere su interesse propri o di prossimi congiunti – chiarisce che, a seguito della riforma, l’abuso d’ufficio nell’opzione che disciplina la sola “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” non può più essere esteso ai regolamenti attuativi e a quelli che abbiano un contenuto vincolante precettivo da cui non residua alcuna discrezionalità amministrativa.
Tale interpretazione del nuovo articolo 323 c.p., pertanto, oltre che restringere l’ambito di applicazione della norma consentirà, per l’effetto dell’articolo 2 c.p., l’applicazione retroattiva di trattamenti di maggior favore per il reo.
Dott. Roberto Sciacchitano
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