DECRETO PENALE DI CONDANNA? OBLAZIONE? CASELLARIO PENALE COMPROMESSO? Tanti tecnicismi che confondono il cittadino comune. ecco cosa significano e cosa fare.
Stiamo vivendo un periodo molto particolare.
Se da un lato viviamo ore di grande sconforto per l’epidemia che sta attanagliando il nostro paese, la nostra professione ci impone di stimolare un’attenta riflessione anche su altri aspetti.
Ci riferiamo, in particolare, alle conseguenze penali che possono derivare da un nostro agire sconsiderato.
È noto a tutti, ciò che maggiormente sta caratterizzando questo periodo, oltre la malattia è chiaro, è la sensibile compressione dei diritti fondamentali della persona come la libertà personale. Occorre quindi considerare le conseguenze penali che potremmo subire qualora violassimo le disposizioni governative.
Molto spesso sentiamo dire che, se fermati ad un posto di controllo, ci sarà comminata una multa. Falso.
Nessuna multa ci sarà comminata, molto peggio; avremo commesso uno o più reati che potremmo portarci dietro per il resto della nostra vita.
Nella migliore delle ipotesi ci sarà contestato l’art. 650 c.p. – “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, reato contravvenzionale che, spesso, segue l’iter del Decreto penale di condanna.
Si, di condanna.
Un decreto penale di condanna è uno strumento processuale con il quale vengono trattati alcuni reati, per dirla in breve i reati meno gravi, che sono puniti per lo più con sanzioni pecuniarie.
È uno strumento rapido ma anche “subdolo”.
Subdolo perché rischia di lasciare il povero indagato, rectius condannato, nella (erronea) convinzione di non aver commesso nulla di particolare e anche a causa della sospensione della pena, sovente disposta, rischia di lasciare il neo condannato nella convinzione che lo Stato gli abbia riservato nulla di più che una reprimenda.
Non è così.
Il decreto penale di condanna, sebbene caratterizzato da alcuni effetti premiali, rimane ugualmente una condanna che potrebbe avere delle conseguenze con riferimento – è solo un esempio – alla “condotta irreprensibile” richiesta per i più importanti concorsi pubblici.
È chiaro che in ogni caso il decreto penale, sussistendone i presupposti, debba essere impugnato – rectius opposto – cosi determinando l’instaurarsi di un processo penale che potrà concludersi con una assoluzione o con una condanna.
Insomma, una possibilità su due di essere condannati se non si è in presenza di una valida ragione per essere in giro per le strade in questo periodo di “coprifuoco”.
Si osserva, inoltre, che solo alcuni dei reati contestabili possono essere estinti mediante oblazione, ovvero quell’istituto del diritto penale che consente di estinguere i reati contravvenzionali mediante il pagamento di una somma di denaro.
Lo studio Scozzari e Associati ha già più volte raccomandato di restare a casa e di uscire esclusivamente per lo stretto necessario cercando così, da un lato di limitare quanto più possibile il contagio e, dall’altro lato, di evitare di portare a casa una possibile condanna penale che potrà stravolgere la vostra vita futura.
Abbiamo già affrontato le conseguenze penali di una condotta contraria alle disposizioni governative ma, vista l’importanza, si coglie l’occasione per ribadirle.
I reati contestabili potrebbero essere:
– Art. 650 c.p – Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: “Chiunque non osserva un
provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica,
o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro”.
– Art. 438 c.p. – Epidemia: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi
patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la
pena [di morte]”.
– Art. 452 c,p. Delitti colposi contro la salute pubblica: “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:1) con la reclusione da tre a dodici
anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la “pena di morte”; 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo; 3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione. Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto”.
– Art. 483 c.p. – Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: “Chiunque attesta
falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare
la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”.
Art. 658 c.p. – Procurato allarme presso l’Autorità: “Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 10
euro a 516 euro”.
Art. 495 c.p. – Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri: “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.
La reclusione non è inferiore a due anni:
1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;
2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.
Vale la pena rischiare?
Scozzari e Associati
Continua#Coronavirus #Inadempimenticontrattuali #cosacambia
Gli effetti del Covid-19 sulle obbligazioni contrattuali: rimessa al giudice la valutazione caso per caso sulla forza maggiore.
L’art. 1218 del nostro codice civile statuisce che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Dunque il debitore, al fine di esonerarsi dalle conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, deve provare che ricorrono due presupposti: uno oggettivo, cioè l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e uno soggettivo, cioè la non imputabilità di questa impossibilità. In ogni altro caso l’inadempimento è colpevole e obbliga il debitore inadempiente a risarcire il danno.
La diffusione del virus COVID-19 nel nostro Paese, dapprima nella regione Lombardia e successivamente nell’intera Nazione, sta generando, tra l’altro, un possibile aumento del rischio di inadempimento contrattuale o di ritardo nell’adempimento delle reciproche obbligazioni contrattuali per le aziende presenti sul mercato.
L’imposizione di quarantene, di limiti alla circolazione, la chiusura dei porti o dei traffici aerei hanno, infatti, un’incidenza inevitabile sulla corretta e tempestiva esecuzione delle obbligazioni contrattuali e, conseguentemente, le aziende si chiedono se ed in quale misura, in virtù di tali provvedimenti restrittivi assunti dal Governo per il contenimento del virus, si possano ritenere “giustificati” gli inadempimenti od i ritardi contrattuali da ciò determinati.
L’articolo 91 del Dl 18/2020, nel suo intento di “sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, fornisce una prima risposta prevedendo che il rispetto delle misure di contenimento da Covid-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche ai fini dell’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi od omessi adempimenti.
Tuttavia, dovrà essere comunque il giudice, di volta in volta, ad operare un bilanciamento tra i due interessi: da un lato l’inadempimento od il ritardato adempimento contrattuale, dall’altro il rispetto delle “misure di contenimento” (ad esempio: le limitazioni agli spostamenti).
Dunque, la necessità di osservare le misure di contenimento ed il possibile conseguente inadempimento o ritardato adempimento delle obbligazioni contrattuali in questo periodo, se da un lato non configura automaticamente un’ipotesi di responsabilità contrattuale del debitore, dall’altro non fornisce garanzia alcuna che l’epidemia possa essere considerata una causa di forza maggiore tale da escludere la colpa dell’obbligato inadempiente.
Si rileva, infine, che il secondo comma dell’art. 91 del Dl 18/2020, in materia di contratti pubblici, ha esteso la previsione dell’erogazione dell’anticipazione del 20% del prezzo anche ai casi di affidamento in via d’urgenza.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#covid19: Le scadenze ambientali previste dal DPCM n.18/2020.
Tra le misure introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 Marzo 2020, rilevanti in materia ambientale sono quelle di cui all’art. 113 relative al “rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti“.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 113 del DL 18/2020 sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di:
a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70;
b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente, di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonché trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188;
c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all’articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 14 marzo 2014, n. 49;
d) versamento del diritto annuale di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali di cui all’articolo 24, comma 4, del decreto 3 giugno 2014, n. 120.
Pertanto, possono tirare un sospiro di sollievo gli operatori del settore ambientale che avrebbero dovuto far fronte a tali scadenze.
#staytuned per ulteriori aggiornamenti #covid19!
Scozzari e Associati
Continua#covid19: Le scadenze ambientali previste dal DPCM n.18/2020.
Tra le misure introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 Marzo 2020, rilevanti in materia ambientale sono quelle di cui all’art. 113 relative al “rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti“.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 113 del DL 18/2020 sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di:
a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70;
b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente, di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonché trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188;
c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all’articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 14 marzo 2014, n. 49;
d) versamento del diritto annuale di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali di cui all’articolo 24, comma 4, del decreto 3 giugno 2014, n. 120.
Pertanto, possono tirare un sospiro di sollievo gli operatori del settore ambientale che avrebbero dovuto far fronte a tali scadenze.
#staytuned per ulteriori aggiornamenti #covid19!
Scozzari e Associati
Continua#Art.5dlgs74/00 #omessapresentazione #penaletributario Corte di Cassazione: se il consulente sbaglia, paga il contribuente.
L’Art. 5 del d.lgs n. 74/2000 disciplina l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi, non esonerando il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per l’eventuale delitto di omessa dichiarazione.
La Suprema Corte, III sez. pen., con la sentenza n. 9417/2020, ha precisato che l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche su chi ne abbia legale rappresentanza, egli è infatti tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità.
La vicenda in esame coinvolge una Società Cooperativa alla quale, in via preventiva, il Tribunale del riesame aveva disposto il sequestro delle somme di denaro depositate nei conti correnti, nonché dei titoli e di altre disponibilità finanziarie della medesima società per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni IVA e dei redditi, per gli anni 2014 e 2015.
Il Tribunale riteneva, in particolare, la sussistenza del fumus commissi delicti avendo rilevato che, le dichiarazioni erano state presentate per gli anni contestati da soggetto non legittimato, ex amministratore e moglie dell’indagato, in quanto privo della legale rappresentanza e dovevano, dunque, considerarsi omesse.
I giudici di legittimità hanno confermato il sequestro preventivo dei beni della Società, precisando che il contribuente o il legale rappresentante, nell’ipotesi in cui si tratti di persone giuridiche come nel caso de quo, può delegare la predisposizione delle dichiarazioni fiscali ad un commercialista o consulente fiscale, tuttavia rimane personalmente obbligato alla presentazione delle stesse, pena la configurabilità della fattispecie di reato di omessa dichiarazione ex art. 5 del d. lgs n. 74/00.
Dott.ssa Daniela Cappello
ContinuaReati ambientali: non è reato se lo scarto della potatura viene riutilizzato in agricoltura. #Reatiambientali. #Rifiutipotatura.
Uno dei problemi comuni e diffusi è capire come comportarsi con i rifiuti derivanti dalle potature di alberi o da attività di banale giardinaggio e di ripulitura delle aree verdi dei Comuni.
La Cassazione con la sentenza n. 9348/20 tenta di fare chiarezza: non costituiscono rifiuto se gli scarti da potatura vengono riutilizzati in agricoltura.
Ovviamente non è così semplice, la S.C., infatti, precisa che i rifiuti della potatura devono derivare dalle “buone pratiche colturali”, significa che non sono tali se derivano da aree profondamente inquinate o da aree in cui vi sia uso massiccio di veleni di varia natura.
La Cassazione entra nello specifico affermando che sono “buone pratiche colturali” la silvicoltura, quando i rifiuti vengono destinati alla produzione di energia da biomassa, anche in aeree diverse dal luogo di produzione e sempre che siano seguite procedure a tutela dell’ambiente e della salute umana.
In conclusione gli “sfalci e le potature” in linea di principio sono rifiuti, si applica l’eccezione di cui all’art. 185 cod. Amb. solo se riutilizzati a servizio dell’agricoltura, silvicoltura o produzione di energia non inquinante.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaArt. 10 bis dlgs 74/00. Omesso versamento ritenute. Cassazione: attenuanti generiche all’imprenditore che salva i posti di lavoro. Troppo poco doveva andare assolto. #Omessoversamentoritenute #Attenuantigeneriche
La Cassazione con la sentenza 10084/20, fa un piccolo passo avanti in favore delle imprese, affermando che all’imprenditore che salva posti di lavoro vanno riconosciute le attenuanti generiche (Art. 62 bis cp). Troppo poco, soprattutto in relazione alla vicenda in esame (omesso versamento delle ritenute previdenziali art. 10 bis dlgs cit.), che ha visto l’imprenditore-imputato mettere a rischio tutto il proprio patrimonio pur di salvare l’azienda ed i 55 posti di lavoro. Si tratta di una sentenza che, però, apre al filone giurisprundenziale di merito, che in questi casi ha riconosciuto la mancanza di dolo ed anche la scriminante dello stato di necessità assolvendo l’imprenditore.
La Cassazione interviene perché la Corte territoriale aveva financo negato le attenuanti generiche limitandosi ad affermare la sussistenza del reato, a nulla valendo le innumerevoli azioni positive poste in essere dall’imputato.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#rifiuti – #autorizzazioneallarealizzazioneimpianti: la Cassazione precisa i requisiti per la realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 6923/2020, ha affrontato il tema della gestione di rifiuti non autorizzata in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che, la compatibilità dell’area interessata dalla attività di gestione di rifiuti con la disciplina urbanistica ed eventualmente di vincolo paesaggistico vigente costituisce solo un necessario quanto distinto presupposto della autorizzazione alla realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti, così come prescritto dall’art. 208 d.lgs. 152/2006.
L’autorizzazione, pertanto, “assume ur sempre una sua autonomia tipica e funzionale (siccome inerente alla specifica realizzazione e gestione di impianti riguardanti il trattamento di rifiuti), quand’anche inserita nel medesimo titolo abilitativo inclusivo di profili autorizzatori di tipo urbanistico (come nel caso di cui all’art. 208 cit., comma 6). Fermo rimanendo, peraltro, ai sensi dell’art. 208 citato comma 7, il rispetto dell’art. 146 del Dlgs 42/04 in materia di autorizzazione paesaggistica”.
Avv. Gaspare Tesè
ContinuaAPPALTI: ILLEGITTIMA L’ESCLUSIONE PER PRECEDENTI INADEMPIMENTI CONTRATTUALI RISALENTI NEL TEMPO.
a transazione stipulata a seguito di risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento costituisce prova della risoluzione del contratto.
Tale circostanza integra il presupposto del grave errore nell’esecuzione della prestazione, rilevante ai fini dell’esclusione ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D. Lgs. n. 163/06.
Tuttavia il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1605 del 5 marzo 2020, ha correttamente ritenuto illegittima per sproporzionalità, l’esclusione da una gara per grave errore professionale, fondata su una precedente risoluzione contrattuale ante triennio dalla data di adozione della determina di risoluzione unilaterale.
In sintesi, non possono giustificare l’esclusione dalla gara d’appalto gli inadempimenti più risalenti: non sono in grado di fornire alla stazione appaltanti elementi attuali per ritenere un dato operatore economico non affidabile.
Avv. Danilo Conti
ContinuaANCHE PALPEGGIARE LA PROPRIA MOGLIE PUO’ INTEGRARE IL REATO DI VIOLENZA SESSUALE.
Anche un uomo sposato può commettere il reato di violenza sessuale ai danni della propria moglie.
Con la sentenza n. 9709/20, depositata l’11 marzo 2020, un uomo è stato ritenuto colpevole per aver palpeggiato la propria consorte, che aveva mostrato chiaramente di non gradire.
Ne caso di specie i fatti erano relativi ad alcuni «toccamenti sul sedere e sul seno» della donna.
Se la donna non gradisce e lo rende chiaro al marito possono ritenersi integrati gli estremi del reato di violenza sessuale.
Nel caso di specie è emerso che le condotte del marito erano avvenute “in un contesto di violenza e nonostante il dissenso” manifestato dalla moglie in maniera chiara.
I giudici della Cassazione hanno colto l’occasione per precisare che «il rapporto di coniugio non incide in alcun modo sulla libertà di autodeterminazione della moglie».
Avv. Danilo Conti
Continua