#DIVULGAZIONE SELFIE PORNOGRAFICI
Applicabile la previsione più grave ex art.600-ter pornografia minorile (pena nel massimo fino a 12 anni di reclusione) anche in caso di selfie erotici autoprodotti dai minorenni e messi in circolazione da terzi estranei. I giudici di legittimità ribaltano il vecchio orientamento giurisprudenziale.
L’inedita pronuncia della Corte di Cassazione, III sez. penale, n. 5522/2020, depositata il 12 febbraio, rivoluziona e colma quel vuoto normativo che il vecchio orientamento giurisprudenziale (C. n. 34357/2017) aveva creato escludendo il “selfie pedopornografico” dall’oggetto delle condotte divulgative tipizzate dall’art. 600-ter c.p., le quali non venivano punite perché ci si interrogava sulla valenza penale da riconoscere alla riproduzione e divulgazione da parte di terzi estranei di immagini sessualmente esplicite se scientificamente autoprodotte dalla persona offesa minorenne o se in questi casi bisognava applicare la sanzione meno grave: “detenzione di materiale pedopornografico”, art.600-quater c.p.
La sentenza della Suprema Corte prende spunto dal caso di uno studente che durante una gita, dopo aver scattato delle foto di gruppo con lo smartphone della vittima, prima di restituirle il telefono, si accorge di alcuni selfie erotici della ragazza e decide di fotografarli con il suo telefono e di inviarli ad un amico comune, che a sua volta li divulga in un gruppo chat WhatsApp.
Il padre della minore presenta querela alle autorità e si instaura il processo penale nei soli confronti del ragazzo che aveva inoltrato gli scatti la prima volta e non verso chi li aveva poi diffusi.
Il GUP assolveva lo studente per due ordini di motivi:
-
Si trattava di selfie erotici e, quindi, in linea con una parte della giurisprudenza, le sanzioni riguardano le fattispecie che prevedono implicitamente lo sfruttamento della vittima che non vi è se il materiale è autoprodotto;
-
Gli scatti erotici autoprodotti dalla vittima non erano stati divulgati a più persone, ma solo ad una.
La Corte d’appello, invece, condannava lo studente ex art. 600-ter, comma 4 (cessione di materiale pedopornografico).
L’imputato fa ricorso in Cassazione dando così occasione ai giudici di legittimità di far luce e mettere un punto sugli elementi costitutivi della disposizione di pornografia minorile ex art. 600-ter c.p.
La S. C. con la pronuncia 5522/2020, ritiene integrata la fattispecie di reato di divulgazione di selfie pornografici dei minorenni riprodotti e divulgati da parte di terzi estranei.
Secondo la Corte di Cassazione l’invio del materiale, anche ad un solo soggetto, integra la divulgazione, per la possibilità, insita nel mezzo telematico prescelto, di accesso ad un numero indeterminato di destinatari.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#Rifiuti #tracciabilitáelettronica #esamedelgoverno
Si rivede la tracciabilità elettronica, sulla scorta delle quattro direttive approvate da Bruxelles nel 2018.
Il meccanismo non opererà direttamente ma sarà necessario un decreto interministeriale, allo stato al vaglio del Consiglio dei ministri, che disciplinerà le modalità di funzionamento, iscrizione e tenuta, anche allo scopo di consentire tutti gli adempimenti relativi al registro di carico e scarico ed al formulario per il trasporto.
Il decreto rafforzerà la responsabilità dei produttori dei beni da cui derivano rifiuti tra i quali: rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici, pile e accumulatori, veicoli fuori uso.
Di estremo interesse la parte che disciplinerà la tracciabilità dei rifiuti elettronici, riciclaggio rifiuti organici, prevenzione dei rifiuti.
Per il momento e fino all’entrata in vigore del nuovo decreto le imprese continueranno ad usare i documenti attualmente in uso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#casoContrada #sentenzaCEDU #SU Non costituisce precedente #dissenso
Le S.U. a corrente alternata sulle decisione della CEDU. Con la sentenza n. 8544/2020, infatti le SU hanno ribadito un principio, non condivisibile, secondo il quale in sintesi: non tutte le sentenze della CEDU costituiscono un precedente applicabile ai casi simili. Il precedente sarebbe la “sentenza Contrada” che ha determinato la revisione del processo dello stesso grazie alla sentenza CEDU. Il caso in esame riguarda un imputato di concorso esterno al quale è stata negata la revisione.
In altri termini le SU negano la c.d. “revisione europea”, affermando che gli imputati che desiderano avvalersene possono farlo solo se sussistono due presupposti: 1) se è stata definita “sentenza pilota” dal giudice europeo; 2) se è stata rilevata dal giudice europeo una lacuna strutturale nel sistema italiano. Pur capendone le ragioni sottese alla pronuncia delle SU, che hanno temuto il contagio questa volta giurisprudenziale, non se ne condivide affatto il contraddittorio e capzioso ragionamento giuridico espresso dalle S.U. in quanto è palesemente incoerente rispetto ad altre vicende simili (per tutte la sentenza Varvaro assunta a precedente assoluto dalla giurisprudenza di legittimità)
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#CEDU #ART6 #ITALIACONDANNATA #OMESSAMOTIVAZIONE #CASSAZIONECENSURATA #RICORSOCEDU
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha depositato una sentenza, nel ricorso n. 44221/14, di grande valore giuridico perché nell’affermare la violazione dell’art. 6 della convenzione europea, apre un nuovo fronte di censure legate alla violazione del principio dell’equo processo.
La vicenda in esame riguarda un ricorso presentato da un cittadino italiano per violazione degli articoli 6 e 7 della convenzione europea. Al ricorrente non gli erano state riconosciute le attenuanti generiche. La CEDU nel ribadire che non vi è stata violazione dell’art. 7 rileva la violazione dell’art. 6 (equo processo) condannando l’Italia.
Si tratta di un vero e proprio smacco ai giudici italiani perché la CEDU ha ribadito un principio spesso invocato, ma inascoltato, dagli avvocati ossia la indicazione delle motivazioni che portano a non accogliere una istanza difensiva soprattutto in materia di circostanze. La S.C., infatti, aveva omesso di spiegare le ragioni che la inducevano a ritenere inammissibile il ricorso pur avendo il cittadino il diritto di sapere perché le attenuanti generiche richieste non gli erano state riconosciute.
Posizione non condivisa da Strasburgo che ha ritenuto che la vicenda legata al riconoscimento delle circostanze attenuanti esigeva «una risposta specifica ed esplicita».
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#CEDU #ART6 #ITALIACONDANNATA #OMESSAMOTIVAZIONE #CASSAZIONECENSURATA #RICORSOCEDU
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha depositato una sentenza, nel ricorso n. 44221/14, di grande valore giuridico perché nell’affermare la violazione dell’art. 6 della convenzione europea, apre un nuovo fronte di censure legate alla violazione del principio dell’equo processo.
La vicenda in esame riguarda un ricorso presentato da un cittadino italiano per violazione degli articoli 6 e 7 della convenzione europea. Al ricorrente non gli erano state riconosciute le attenuanti generiche. La CEDU nel ribadire che non vi è stata violazione dell’art. 7 rileva la violazione dell’art. 6 (equo processo) condannando l’Italia.
Si tratta di un vero e proprio smacco ai giudici italiani perché la CEDU ha ribadito un principio spesso invocato, ma inascoltato, dagli avvocati ossia la indicazione delle motivazioni che portano a non accogliere una istanza difensiva soprattutto in materia di circostanze. La S.C., infatti, aveva omesso di spiegare le ragioni che la inducevano a ritenere inammissibile il ricorso pur avendo il cittadino il diritto di sapere perché le attenuanti generiche richieste non gli erano state riconosciute.
Posizione non condivisa da Strasburgo che ha ritenuto che la vicenda legata al riconoscimento delle circostanze attenuanti esigeva «una risposta specifica ed esplicita».
on. avv. Giuseppe Scozzari
#appalti – #antimafia: L’ANAC ha pubblicato il manuale per le imprese e pubbliche amministrazioni.
L’ANAC ha pubblicato, sul proprio sito istituzionale, il manuale per le imprese e le pubbliche amministrazioni per fare chiarezza in merito all’applicazione delle norme antimafia agli appalti pubblici.
Il manuale, in particolare, contiene una rassegna delle più importanti interpretazioni fornite dall’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia delle norme anti infiltrazione negli appalti pubblici.
Il lavoro svolto dall’ANAC ha il pregio di aver raccordato la disciplina del “Codice antimafia” (D.lgs. 159/2011) con quella del codice degli appalti di cui al D.lgs. 50/2016.
Gli operatori pubblici o privati, quindi, avranno a disposizione uno strumento che consente di far chiarezza in merito al corretto inquadramento degli strumenti di controllo antimafia nell’ambito della contrattualistica pubblica sia in fase di gara che in fase di esecuzione.
L’autorità anticorruzione ha anche trattato il tema dell’annotazione dell’interdittiva antimafia nel casellario informatico, in merito alla quale è stato sottolineato che la sua adozione rappresenta una misura anticipata posta a protezione degli appalti pubblici o più in generale a tutela della pubblica amministrazione dalle possibili infiltrazioni da parte delle organizzazioni mafiose.
Avv. Gaspare Tesè
Continua#omessapresentazionedichiarazione: art. 5 dlgs 74/00. Nessuna pena accessoria in caso di patteggiamento a pena inferiore a 2 anni.
La Corte di Cassazione, III sez. pen., (sent. 1439/2020), in relazione al reato di omessa presentazione della dichiarazione ha statuito la non applicabilità delle pene accessorie in caso di patteggiamento ad una pena inferiore ai due anni. Un amministratore di una SRL aveva patteggiato ad un anno di pena per il reato di cui all’articolo. 5 dlgs 74/00, il tribunale non aveva applicato né le pene accessorie né la confisca dei beni costituenti il profitto o il prezzo del reato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale, chiedendo l’applicazione delle pene accessorie, ex art. 12 dlgs 74/00, e la confisca del profitto.
La Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso limitatamente alla confisca del profitto rigettando le ulteriori richieste.
La pronuncia muove le mosse da quanto stabilito dall’art.445, co. 1 cpp, che vieta l’applicazione delle pene accessorie in caso di condanna inferiore ai due anni.
Si tratta di un precedente di assoluta importanza.
on. avv. Giuseppe Scozzari
#Discarica abusiva: nessuna confisca se il proprietario è ignaro del deposito.
La Cassazione con la sentenza n. 847/2020 fa chiarezza in relazione al reato di discarica abusiva statuendo che il proprietario dell’area dove i rifiuti sono posti da terzi non risponde dell’illecito se ignaro della condotta altrui.
La sentenza ribadisce anche la differenza tra discarica e deposito incontrollato. Infatti non è discarica abusiva il luogo ove si trovano gli impianti in cui sono scaricati i materiali al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno.
La Cassazione afferma, inoltre, che il deposito incontrollato è un illecito connotato dalla provvisorietà e precarietà delle condizioni di accumulo e rischio di pericolosità per l’ambiente e dalla temporaneità.
In ultimo la S.C. ribadisce che per discarica si intende l’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito temporaneo per più di un anno.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale: Sicurezza sul lavoro_La società non è responsabile se manca la prova.
La Cassazione con la sentenza n. 49775/19 scrive una pagina importante in materia di responsabilità ai sensi del dlgs n. 231/01 (articolo 25-septies, comma 3).
In sintesi la S.C. statuisce che per affermare la responsabilità della società nelle ipotesi di illecito derivante da reato connesso a fatti relativi alla sicurezza sul lavoro, va provata la prassi contra legem sistematicamente posta in essere dalla società stessa. Non solo la Corte afferma che oltre alla prassi va data la prova concreta del vantaggio che trarrebbe la società da tale prassi, con una motivazione che deve essere specifica (criteri di imputazione del vantaggio) e stringente, «sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso».
Nella sentenza vi è peraltro una inversione di tendenza rispetto al principio formalistico della <<delega>> sulla sicurezza, sussistendo quest’ultima, secondo la S.C., anche in mancanza di elementi che ne provino documentalmente l’esistenza.
Il caso esaminato riguarda un autotrasportatore (dipendente di un’altra ditta) di bitume rimasto vittima di gravissime ustioni nel corso dell’attività lavorativa.
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale tributario: Nessuna confisca all’esito positivo della messa alla prova nell’ipotesi di omesso versamento IVA.
La Terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47104/2019, ha chiarito i limiti entro cui è possibile disporre la confisca nell’ipotesi di reato di omesso versamento IVA previsto dall’art. 10 ter del D.lgs. 74/2000.
In particolare, il difensore dell’imputato impugnava la sentenza del Tribunale di Potenza, che dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in relazione al reato di omesso versamento IVA, perché estinto per esito positivo della messa alla prova, disponendo, tuttavia, la confisca per equivalente di quanto oggetto di sequestro preventivo.
Ebbene, la Suprema Corte osserva che la confisca per equivalente, prevista dall’art. 12 del D. Lgs. 74/2000 può essere disposta, per espressa previsione di legge, soltanto con la sentenza di condanna o di patteggiamento.
Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza nella parte in cui disponeva la confisca per equivalente, in ragione dell’intervenuta estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
dott. Gaspare Tesè
Continua