Penale: la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 43829/2018 individua il soggetto responsabile per gli infortuni sul lavoro nell’ipotesi di committente pubblico.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 48329/2018, ha affrontato la questione relativa all’attribuzione di datore di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni specie nell’ipotesi di delega di funzioni.
La questione affrontata dal supremo consesso assume una rilevante importanza al fine di individuare quei soggetti responsabili nell’ipotesi infortuni sul lavoro, qualora il committente sia una pubblica amministrazione, ossia per individuare il soggetto cui attribuire la posizione di garanzia. E ciò si rende necessario proprio al fine di evitare l’incertezza in merito all’identità del soggetto cui spetta la posizione di garanzia nell’ipotesi di delega di funzioni all’interno degli apparati amministratici, nella specie pubblici.
In particolare, la Cassazione nel proprio iter argomentativo prende le mosse dalla disposizione di all’art. 2 lett. b) D. Lgs. n.81/2008 secondo cui per datore di lavoro si intende «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
Orbene, la Suprema Corte una volta definito il concetto di datore di lavoro, ai sensi della normativa di settore, afferma che, “nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo” precisando, altresì, che “…l’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l’attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico”.
Segnatamente, con la decisione in commento viene affermata la necessità di un atto espresso da parte della pubblica amministrazione mediante il quale il dirigente o il funzionario viene individuato nella funzione di datore di lavoro con il conseguente conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale. In mancanza di un atto espresso da parte della P.A., la posizione di garanzia rimarrebbe in capo al vertice politico dell’amministrazione pubblica committente.
dott. Gaspare Tesè
ContinuaPenale tributario: si al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario.
La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 48029/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale, proposto avverso la pronuncia del tribunale di Brescia che aveva applicato la pena su richiesta delle parti in relazione ai reati di omessa dichiarazione e di indebita compensazione. In particolare, il Procuratore censurava la sentenza in relazione alla mancata verifica dell’integrale pagamento del debito tributario, considerato dallo stesso come il presupposto per la configurabilità del rito.
Ebbene, la terza sezione della Cassazione, mutando orientamento a distanza di poche settimane, ha osservato che il pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento rappresenta causa di non punibilità dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter, 10 quater del D.lgs. 74/2000 e conseguentemente non configura il presupposto di legittimità per l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p..
Pertanto, colui il quale si trova imputato dei suddetti reati avrà la possibilità o di pagare il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento, anche mediante ravvedimento operoso, e per l’effetto beneficiare della causa di non punibilità o affrontare il processo, o ancora richiedere ed ottenere l’applicazione della pena su richiesta delle parti.
dott. Gaspare Tesè
Continua#manetteaglievasori. Penale tributario. Una riforma sproporzionata perché punitiva soprattutto per le aziende.
La riforma penale-tributario approvata dal governo, se non dovesse subire ulteriori modifiche, si tradurrà in una riforma estremamente penalizzante per le aziende. Per le persone fisiche il testo finale per fortuna è stato in parte modificato, rispetto al testo originario, rendendolo meno pesante.
Per le persone fisiche: 1) è stata introdotta la causa di non punibilità di pagamento del debito tributario se avviene prima di qualsiasi accertamento; 2) sono state mitigate le pene, in alcuni casi di soli sei mesi ma bastevoli per evitare le misure cautelari e le intercettazioni; 3) rimaste intatte le soglie di rilevanza penale: € 150.000 per omesso versamento delle ritenute ed € 250.000,00 omesso versamento Iva; 4) confisca di sproporzione solo in casi di evasione di imposta con due soglie 100 mila e 200 mila euro a seconda dei reati.
Per le persone giuridiche: 1) i casi di reati presupposto sono i 2 casi di dichiarazione fraudolenta (fatturazione o documentazione oppure attraverso altri artifizi); 2) Le sanzioni pecuniarie, attraverso il meccanismo delle quote che può variare da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.549, aumentabile fino ad 1\3; 3) quanto alle sanzioni interdittive inizialmente non previste nella riforma si applicano anche in via cautelare e prevedono il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, la decadenza da finanziamenti e agevolazioni pubbliche, il divieto di pubblicizzare prodotti.
Nessuna norma compensatoria rispetto alla durezza della riforma, se si pensa che moltissime aziende vanno in concordato o falliscono a causa degli omessi pagamenti della P.A..
On. Avv. Giuseppe Scozzari
Continua#ambientecodiciaspecchio. Corte di giustizia UE e Cassazione criteri unici codici a specchio.
La Corte di Cassazione con la sentenza 47288/2019, recepisce le indicazioni della Corte di Giustizia UE relativamente alla procedura per la classificazione dei rifiuti con “codice a specchio”. Si tratta di quei rifiuti non immediatamente individuati né individuabili relativamente alla loro pericolosità e ciò per le caratteristiche intrinseche degli stessi. In tema di rifiuti a specchio i problemi sono stati sempre legati al procedimento per la verifica della pericolosità, la giurisprudenza ha da sempre oscillato tra un criterio decisamente garantista (la pericolosità va provata con analisi affidabili) ed un criterio probabilista (bastano alcuni indici rivelatori per dichiararne la pericolosità). La Corte europea traccia una terza via attraverso una ricerca modulare e sostanzialmente mediana tra le due opposte tesi. La Corte infatti individua tre criteri da seguire nella ricerca della pericolosità: 1) ricercare le informazioni sul processo chimico di fabbricazione di determinati prodotti; 2) verifica delle informazioni del produttore originario del prodotto prima che diventasse rifiuto; 3) verifica delle banche dati degli Stati membri relative alle analisi e campionamenti dei rifiuti.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#controllogiudiziale – CDS L’interdittiva va sospesa.
L’art. 34-bis del Codice Antimafia (L. 161/2017) introduce l’istituto del “Controllo Giudiziale” concesso dal giudice penale nel caso in cui riscontri una collaborazione “occasionale” tra i vertici di una impresa e l’organizzazione criminale. Si tratta di un istituto che mira da un lato a non spossessare l’imprenditore della propria azienda, tutelando il diritto costituzionale della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), dall’altro a tutelare l’ordine pubblico. Ovviamente sono previste una serie di misure a cui l’imprenditore dovrà attenersi in funzione del risanamento aziendale. È una azione meno pesante dell’amministrazione giudiziaria foriera di innumerevoli fallimenti di imprese sottoposte al controllo totalizzante, che lo Stato spesso ha affidato a soggetti poco competenti i quali hanno avuto solo di mira i propri interessi economico personali, piuttosto che quelli dell’azienda che amministravano.
Il Consiglio di Stato con due ordinanze, n. 5482\19 (presidente Lipari) e n. 4873 (presidente Frattini), ha disposto la sospensione del processo amministrativo «sino al decorso del termine di efficacia del controllo giudiziario». Tale provvedimento sospende gli effetti dell’interdittiva, cui era stata destinataria l’impresa, dando quindi piena operatività economica alla stessa successivamente sottoposta al “Controllo Giudiziale”.
Il CDS ha dato preminenza al monitoraggio soft da parte dello Stato concedendo un’altra opportunità all’impresa che per ragioni varie può avere avuto un rapporto con l’organizzazione criminale del territorio in cui opera.
Finalmente un po’ di buon senso!!
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale Tributario (art. 3 Dlgs 74/00): può essere condannato a titolo di dichiarazione fraudolenta chi fa un uso improprio del regime del margine.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 42147 della III sez. penale, si è soffermata sul tema della qualificazione penale della condotta di chi, impropriamente, fa ricorso al meccanismo che permette di applicare l’IVA solamente sul margine di vendita, ovvero sulla differenza tra il corrispettivo percepito e il valore di acquisto del bene.
La vicenda, oggetto della sentenza, coinvolgeva l’amministratore di una serie di società che acquistava all’estero autovetture, esenti da IVA, che sarebbe dovuta essere poi caricata per l’intero valore del bene in occasione della prima operazione di rivendita in Italia; senonché le successive cessioni dei veicoli ai privati venivano effettuate mediante il ricorso al cd. Regime del margine, il quale implica l’applicazione dell’IVA solo sulla differenza tra il prezzo finale del bene e quello pagato precedentemente dal rivenditore, facendo figurare così gli acquirenti finali come diretti acquirenti delle auto all’estero, sulla base di false dichiarazioni sostitutive di atto notorio.
La S. C. ha rigettato il ricorso del difensore che contestava la stessa configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante “altri artifizi” e l’inesistenza di un fenomeno di evasione dell’Iva, atteso che non si trattava di un’imposta riscossa e non versata, ma solo non applicata.
In particolare, la S. C., nel confermare il sequestro preventivo per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti a carico dell’amministratore legale delle società, ha sottolineato che nell’annotazione delle fatture, recante la dizione “operazioni in regime del margine ex Dl 41 del 1995”, rinviene proprio quel quid pluris rispetto alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligatorie e, cioè, una condotta connotata da particolare insidiosità derivante dall’impiego di artifici idonei ad ostacolare l’accertamento della falsità contabile, necessario ai fini della configurabilità del reato ex art. 3 del D. lgs 74/00.
In questi casi, ha chiarito la Corte, le fatture recano un’annotazione che qualifica l’operazione economica in modo non corretto, prefigurando l’esistenza di presupposti in realtà insussistenti pur se annotate nei registri in considerazione del regime giuridico indebitamente applicato, così venendo confermata la presenza degli indicati presupposti atti a creare un artificioso apparato documentale.
La S.C., citando l’art. 1 dello stesso decreto legislativo ha chiarito, inoltre, che ai fini della configurabilità del fatto di “evasione di imposta”, non è necessario che il tributo sia stato riscosso e non versato, ma è sufficiente che l’importo stesso sia stato indicato in dichiarazione in misura diversa ed inferiore rispetto a quello dovuto.
Circostanza, quest’ultima, che era stata riscontrata nel caso di specie, in cui nella dichiarazione fiscale l’Iva era stata determinata con l’illegale applicazione del regime del margine, indicando quindi, una misura inferiore a quella effettivamente dovuta, perché calcolato non sull’intero valore del bene, così come giuridicamente necessario in applicazione dell’ordinaria disciplina delle operazioni intracomunitarie, bensì solo sulla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rivendita del bene.
Alla luce della richiamata pronuncia della Corte di Cassazione, dunque, si può ritenere che:
-la scorretta applicazione del cd. Regime del margine, in caso di insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, integra uno dei “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre l’amministrazione in errore”, quando è realizzata mediante l’apposizione sulle fatture della dicitura “operazione in regime del margine ex D.L. N.41 del 1995;
– l’indicazione in misura diversa ed inferiore del tributo rispetto a quello dovuto è sufficiente ai fini della configurabilità del reato di cui all’ art. 3 del D.lgs 74/00 per impiego illecito del regime del margine.
Dott.ssa Daniela Cappello
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaInfortuni sul lavoro: la Cassazione prosegue sulla linea di una interpretazione ragionevole e coerente con la vita reale di chi fa impresa.
La Cassazione con la sent. 32507/19 ha escluso la responsabilità del datore di lavoro quando il lavoratore agisce in maniera imprudente.
Due i temi esplorati dalla S.C.: 1) verifica della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato sotto l’aspetto del nesso di causalità; 2) analisi dell’elemento soggettivo in termini di colpa in capo al datore di lavoro.
La novità della pronuncia consiste nel fatto che la condotta imprudente del lavoratore può interrompere il nesso causale, quindi non solo nel caso in cui sia abnorme ma anche imprudente e quindi rientrante nell’ambito delle sue attribuzioni lavorative.
Con riferimento all’elemento soggettivo, secondo la S.C., la causalità della colpa deve essere valutata in relazione alla violazione della norma cautelare, nei confronti della quale il datore di lavoro assume la posizione di garante.
La vicenda in esame riguarda un lavoratore del settore RSU deceduto a seguito di caduta da un camion durante le operazioni di raccolta.
La S.C. ha annullato senza rinvio la condanna nei confronti del datore di lavoro perché, il lavoratore imprudentemente e violando le indicazioni impostegli dal capo squadra e dal documento di valutazione dei rischi, si era “appeso” al mezzo in movimento nonostante la mancanza dell’apposita pedana. Non riconosciute come concausa la mancata formazione e informazione del lavoratore né l’omessa vigilanza sul comportamento del lavoratore.
La Corte ha sostenuto che la pericolosità della manovra era tale che anche se fosse stato formato l’incidente si sarebbe verificato lo stesso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaProcedura Penale: In caso di fatto risalente nel tempo esigenze cautelari giustificate con motivazione rafforzata
In tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all‘articolo 274, comma 1, lettera c), del Cpppuò essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove peraltro persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato, con conseguente obbligo del giudice di motivare puntualmente a riguardo, su impulso di parte o d’ufficio. Lo ha detto la Cassazione con la sentenza 26 luglio n. 34109.
In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al «tempo trascorso dalla commissione del reato» di cui all‘articolo 292, comma 2, lettera c), del codice di procedura penale, impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché a una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (si veda la sentenza delle sezioni Unite della Cassazione, 24 settembre 2009, Lattanzi).
Ai fini dell’apprezzamento del rischio di recidiva – Per l’effetto, ai fini dell’apprezzamento del rischio di recidiva, è necessario indicare gli elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’indagato/imputato, verificandosene l’occasione, potrà commettere reati della stessa specie, mentre non assolve a tale obbligo la motivazione che valorizzasse il tempo trascorso esclusivamente per scegliere una misura cautelare meno afflittiva (si veda sezione III, 19 maggio 2015, Sancimino, nonché, sezione IV, 28 marzo 2013, Cerreto). Ergo, ne deriva che la necessità di uno specifico apprezzamento in punto di “attualità” impone una “motivazione rafforzata”, per giustificare positivamente l’esigenza di cautela, in caso di fatto risalente nel tempo. Ciò perché, esemplificando, nella normalità dei casi l’attualità del rischio di recidiva, pur in presenza di un pregiudicato e di un fatto grave, sarebbe difficilmente ipotizzabile nel caso di condotta risalente nel tempo (si veda sezione VI, 13 ottobre 2010, Brunella: in tema di esigenze cautelari, ai fini dell’apprezzamento del rischio di recidiva, quanto più ci si distacca dal momento di consumazione del reato e dal contesto che lo ha caratterizzato, tanto più è stringente l’esigenza di una motivazione relativa alla permanenza di una concreta ed effettiva attualità del pericolo di reiterazione, idoneo a giustificare la misura cautelare, che consideri anche aspetti differenti e ulteriori rispetto a quelli propri del fatto in sé considerato e tenga conto, in particolare, delle condotte, dei comportamenti e degli eventi successivi).
Il novum normativo della legge 16 aprile 2015 n. 47 – È in questa ottica che va letto il novum normativo introdotto dalla legge 16 aprile 2015 n. 47, laddove, quanto all’esigenza cautelare del pericolo di fuga e a quella del pericolo di recidiva è stata prevista l'”attualità”, oltre che la concretezza del pericolo, non dissimilmente a quanto già previsto per l’esigenza cautelare correlata al pericolo di inquinamento probatorio. Infatti, se la concretezza significa esistenza di elementi “concreti” (cioè non meramente congetturali) sulla cui base possa argomentarsi il rischio cautelare, il requisito dell’attualità impone un ulteriore sforzo motivazionale, risultando necessario che il rischio cautelare si basi su riconosciute «occasioni prossime favorevoli», accreditanti o il rischio della fuga o quello della reiterazione del reato.
È chiaro che tale sforzo di motivazione deve essere particolarmente stringente proprio rispetto a vicende risalenti nel tempo; e argomento importante a supporto può rinvenirsi proprio negli elementi qui valorizzati dalla sentenza massimata: acclarata persistenza di atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e/o dimostrata esistenza di collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (si veda anche sezione VI, 29 novembre 2017, Desiderato e altri).
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaInsidertrading. Straordinaria sentenza della Cassazione. In determinati casi si può disapplicare la sanzione penale.
La Corte di Cassazione con una coraggiosa sentenza la n. 39999/19 della Quinta sezione penale, pronuncia che farà discutere, ha aperto alla possibilità della disapplicazione della sanzione penale nel caso di condanna con pena estremamente afflittiva, successiva all’applicazione di una pesante sanzione amministrativa, per il reato di abuso di informazione privilegiata.
Si tratta della vicenda che vede coinvolto un dirigente di una societa di revisione, al quale la Consob aveva applicato, al termine della procedura amministrativa, pesantissime sanzioni di natura economica e professionale (interdizione dai pubblici uffici). Parallelamente alla procedura amministrativa lo stesso dirigente era stato tratto a giudizio dalla giustizia penale, che lo aveva condannato ad altrettanti pesanti sanzioni di natura penale, interdittiva e risarcitoria (due anni di reclusione, 50 mila € di multa, ed una miriade di sanzioni accessorie personali, risarcimenti alla CONSOB ed alla società di revisione tradita).
Il ricorso censurava l’estrema afflittività della sanzione penale, considerati gli effetti devastanti della condanna amministrativa che di fatto si sovrapponeva a quella penale.
La Corte ha accolto il ricorso affermando alcuni principi:
1) va garantito il ne bis in idem sostanziale, che comporta l’eventuale rideterminazione della sanzione penale (minor peso) in caso di precedente pesante sanzione amministrativa;
2) va affermato il principio del riequilibrio previsto dall’art. 187 terdecies del Tuf, ossia la pena pecuniaria va riscossa per la parte eccedente quella già irrogata in sede amministrativa;
3) relativamente alla pena della reclusione essa può essere rideterminata nel senso della minore afflittivitá nei limiti dell’art 23 del c.p., ossia nel minimo dei 15 giorni;
4) la confisca, afferma la Corte va mantenuta nei limiti di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale ossia al profitto e non anche ai mezzi ed al prodotto;
5) non contenta la Cassazione apre anche alla cancellazione totale della sanzione penale quando essa “doppi quella amministrativa “, ritenendo non ostare a tale affermazione nè l’obbligatorietà dell’azione penale nè il criterio di legalità.
Si tratta di una sentenza che rivoluziona alcuni principi del diritto penale!
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaEQUIPE MEDICA: RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE. LA CASSAZIONE CIRCOSCRIVE IL PERIMETRO DELL’ERRORE ALTRUI. VALORIZZA IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DEL CARATTERE PERSONALE DELLA RESPONSABILITA’ PENALE.
La IV sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 30626-19 ha posto ulteriori paletti per l’individuazione della responsabilità medico-professionale nei casi di interventi in équipe.
Nella sentenza in commento la S.C. precisa che la responsabilità per l’eventuale errore altrui non è illimitata, ma va accertata sul piano oggettivo, verificando le attività poste in essere dal singolo medico, concausale, verificando la rilevanza della condotta attiva o omissiva rispetto all’evento, ed infine soggettivo, nei termini della rimproverabilità al medico secondo i canoni della colpa (negligenza-imperizia-imprudenza).
La S.C. precisa ancora una volta che sarebbe errato configurare una responsabilità di gruppo nei casi di cooperazione multidisciplinare ed indica alcuni principi che devono guidare da un lato i medici, nella loro attività di équipe, dall’altro i giudici nel momento in cui devono giudicare, in sintesi:
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ogni sanitario ha l’obbligo di vigilare sull’attività svolta dai medici dell’équipe che lo hanno preceduto od a cui si è aggiunto in virtù dell’obbligo di garanzia nei confronti del paziente;
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il principio di affidamento, che presuppone la correttezza dell’operato del collega, trova il limite nella verifica di idoneità dell’attività svolta da quest’ultimo;
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l’obbligo di garanzia non può essere illimitato ed infatti la S.C. precisa che gli eventuali errori medico-sanitari devono essere evidenti e non settoriali. In questi casi bisogna far ricorso al concetto della “comune conoscenza scientifica del professionista medio”. In altri termini l’anestesista non può essere imputato per un errore del cardiochirurgo e viceversa;
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va verificata in concreto la condotta dei singoli medici per evitare forme occulte di responsabilità penale oggettiva;
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va effettuata una scrupolosa verifica della condotta dei sanitari in relazione all’applicazione\disapplicazione delle linee guida al caso oggetto di intervento.
In conclusione la Cassazione, innovando rispetto ad un precedente indirizzo meno garantista, mette dei punti fermi per la concreta applicazione dell’art. 27 della Costituzione laddove ribadisce che la responsabilità penale non può che essere personale anche nel caso di attività medico-sanitaria in équipe.
Palermo lì 9 settembre ’19
Avv. Giuseppe Scozzari
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