Reati tributari: omessa dichiarazione (art. 5 dlgs 74/00) il prestanome non concorre nel reato se non è provato il dolo. Sorprendente ed inedita sentenza della S.C.
Anche la S.C. a volte ci sorprende con una sentenza che muta radicalmente un indirizzo consolidato che vedeva anche il prestanome responsabile dei reati commessi dall’amministratore di fatto.
La S.C. con la sentenza n. 36474/19 ha sancito che il prestanome è punibile solo se nel corso del processo viene provato il dolo specifico di evasione di imposta attraverso l’omessa presentazione della dichiarazione. Il caso esaminato riguardava l’omessa presentazione della dichiarazione IVA.
La S.C. censura ancora una volta una giurisprudenza espressa sia dal Tribunale di Bergamo che della Corte di Appello di Brescia (che conferma il 99% delle sentenze emesse dai tribunali del circondario) estremamente rigorosa, per molti versi non aderente né allo spirito né al dato letterale della legge, soprattutto in materia di reati tributari.
Il Trib. di Bergamo e la Corte di Appello di Brescia avevano dato per presunto il dolo di evasione in capo al prestanome, pur se amministratore formale di una società. La S.C. in sintesi ha ritenuto: a) nei reati omissivi societari l’amministratore di fatto è il vero dominus della società; b) il prestanome di diritto non ha spesso alcun potere di ingerenza nelle scelte del vero amministratore; c) nel delitto di omessa evasione oltre al dolo generico, necessità la presenza del dolo di evasione che deve essere ben presente nel prestanome; d) non è sufficiente l’astratta consapevolezza dell’omessa presentazione per integrare il reato di evasione, anche perché il prestanome potrebbe non conoscere le scadenze fiscali.
Finalmente una sentenza che applica integralmente il principio costituzionale secondo il quale la responsabilità penale è personale.
ContinuaSPAZZACORROTTI: Irragionevole ritenere il peculato tra i reati che denotano pericolosità sociale. Atti alla Consulta.
La Suprema Corte con una condivisibile e attesa ordinanza, la n. 31853 del 18.0719, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione relativa alla presunzione legale di pericolosità, nell’ipotesi di soggetto condannato di peculato. La S.C. ha ribadito che il reato di peculato è ontologicamente ben diverso dai reati di associazione a delinquere, terrorismo, estorsione ed altri reati connotati da violenza, perché chi commette peculato mira ad un arricchimento personale e quindi pone in essere una condotta di approfittamento.
La Cassazione nel rimettere gli atti precisa che trattandosi di scelta legislativa connotata di un “bisogno di pena”, essa può essere oggetto di censura solo se trasmodi nella “irragionevolezza o nell’arbitrio”. La Cassazione diffida dalla politica legislativa che amplia in modo eccessivo in ambito penale, le “presunzioni legali di pericolosità” perchè esse sfuggono a quella che dovrebbe essere la finalità rieducativa della pena, che richiede valutazioni individualizzate e circoscritte al caso concreto.
Sarà la Consulta a decidere se anche per questo rilevantissimo aspetto ci si trovi innanzi una palese lesione dell’art. 3 della Cost..
ContinuaReati Tributari (art. 10 quater Dlgs 74/00): La confisca per equivalente, anche in caso di patteggiamento, va disposta obbligatoriamente.
Alla condanna per un reato tributario (indebita compensazione di crediti non spettanti) segue la confisca per equivalente, anche se nella sentenza di patteggiamento il giudice non individua i beni da confiscare ed anche se non vi sia stato precedentemente un sequestro dei beni del condannato.
A deciderlo è la Corte di Cassazione, sez.3 penale con la sentenza nr. 29533 dell’8.07.2019, nella quale, peraltro, vengono chiaramente indicati i compiti del giudice e del Pm. Solo quest’ultimo, infatti, ha il potere di procedere all’individuazione dei beni da sottoporre a sequestro, con l’unica limitazione che deve trattarsi di beni già nella disponibilità del condannato e non di beni futuri.
Nella vicenda in esame il Tribunale a seguito di sentenza ex art. 444 cpp (patteggiamento) decideva di disporre la confisca dei beni dell’imputato, fino all’ammontare dell’imposta evasa.
La difesa non concordava con tale sanzione accessoria ed impugnava la sentenza di patteggiamento, deducendone la illegittimità per mancanza di un precedente sequestro, nonché per mancanza dell’accertamento di disponibilità dei beni in capo all’imputato.
La S.C. rigettava il ricorso affermando che in ogni caso la confisca avrebbe dovuto vertere su beni attualmente in possesso del condannato e non su beni futuri ossia successivi alla condanna.
La Corte ribadiva che la confisca va disposta sempre anche se non era prevista nell’accordo tra le parti e che spetta al PM individuare i beni da confiscare, fino al raggiungimento del valore dell’imposta evasa.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaLe S.U. mettono un punto fermo. Il falso aggravato (ART. 476 co. 2 c.p.) deve essere contestato nel Capo di imputazione. Mai sentenza fu più attesa.
Così le sezioni Unite con la sentenza 4 giugno 2019 n. 24906. Finalmente una pronuncia tanto attesa, anche perché spesso ci si è ritrovati con condanne pesanti in sentenza senza che il capo di imputazione avesse mai contestato il falso aggravato.
Di straordinaria lucidità e chiarezza il ragionamento svolto dalle S.U., in sintesi la condotta aggravata deve essere chiaramente contestata altrimenti si avrà una palese lesione del diritto di difesa.
Contestare una generica falsa attestazione indicando semplicemente e genericamente l’art. 476 c.p. non è sufficiente a fondare una condanna per l’ipotesi ben più grave, dalla quale peraltro discende quasi il raddoppio dei termini prescrizionali.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaResponsabilità medica: Medico sospeso se effettua una visita ginecologica invasiva.
La Cassazione ha ritenuto legittima la sospensione nei confronti del medico di guardia (12 mesi tempo massimo), per avere questi svolto una visita ginecologica senza il consenso della paziente.
L’assunto della Corte (sentenza n. 24653 del 3.06.19) muove dal presupposto che il medico è andato ben oltre quelle che sono le linee di condotta che lo stesso avrebbe dovuto porre in essere, in relazione alla sintomatologia denunciata dalla paziente.
Nel caso in esame il medico dopo avere svolto l’esame anamnestico dal quale emergeva un generico dolore alle gambe della paziente, ha oltre modo insistito e forzato la stessa per effettuare una visita ginecologica inopportuna, secondo il Tribunale di Napoli, tesi confermata dalla Corte, perché fuori dai canoni previsti dalle linee di condotta da tenere in ipotesi simili. Il medico, infatti, è stato indagato per l’ipotesi di violenza sessuale ai danni della paziente. Durissime le motivazioni della S.C.: «dirimente dell’assenza del consenso manifestato dalla vittima allo svolgimento della visita ginecologica». «Chiaro, infatti, che la persona offesa, già scettica rispetto alla necessità di prestarsi alla visita, che poco aveva a che fare con il dolore da lei lamentato, aveva fatto affidamento sul corretto esercizio della professione da parte del medico». E «solo quando aveva compreso le reali intenzioni del sanitario si era ribellata, girando bruscamente la gamba e manifestando, in tal modo, il proprio chiaro dissenso». Irrilevanti secondo la S.C. le tesi della difesa del medico che si basavano: 1) sulla mancanza del dissenso prima della visita (la paziente colta l’intenzione si era bruscamente divincolata); 2) sulla impossibilità di reiterare la condotta perché il medico non essendo specialista in ginecologia non avrebbe avuto altre occasioni per commettere la stessa condotta.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale urbanistico: si ha lottizzazione abusiva se trasformi un residence turistico in case residenziali.
Con la sentenza la Cassazione con la sentenza n. 22038 del 20.5.2019 ha statuito che commette il reato di lottizzazione abusiva chi avendo ottenuto una lottizzazione per fini turistico ricettivi, trasforma la struttura in autonome unità immobiliari vendute a singoli proprietari, a cui sono seguiti singoli contratti per le relative utenze domestiche.
Pugno duro della Cassazione nei confronti di una società che avendo ottenuto una concessione edilizia, in zona turistico ricettiva e non residenziale, per costruire delle case vacanze ricavate da una vecchia struttura, le ha trasformate in piccole unità abitative vedute a privati.
Secondo la S.C., che conferma l’assunto del GIP di Forlì, si configura l’ipotesi tipica di lottizzazione abusiva di tipo giuridico, in quanto si è palesemente realizzata una modifica della destinazione d’uso, non consentita dallo strumento urbanistico.
Confermato l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità che «configura comunque il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d’uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale».
on. avv. Giuseppe Scozzari
Penale tributario: art. 10 ter dlgs 74/00. Evasione Iva. No alla tenuità. Si alla doppia sanzione.
La Cassazione con la sentenza n. 25734/19 mette un freno alla giurisprudenza che si stava affermando in gran parte dei giudici di merito, laddove l’omissione IVA di poco superiore alla soglia di punibilità (pari ad € 250.000), veniva giudicata di particolare tenuità e dava vita a pronunce di non luogo a procedere. Il caso esaminato dalla S.C. riguarda una evasione d’IVA pari a 256.000 quindi, stando all’orientamento finora adottato da alcuni giudici di merito, si tratterebbe di una evasione di soli € 6.000 e quindi giudicabile tenute. La Cassazione non ci sta e sposa l’orientamento della Corte di Appello di Messina la quale rileva che la condotta va giudicata nel suo complesso, ritenendo che nella vicenda in esame l’erario abbia ricevuto un danno grave anche rispetto all’entità del tributo non versato. Relativamente alla dedotta questione della doppia sanzione la S.C. ritiene legittima la sentenza, considerato che alla sanzione penale è stata applicata all’amministratore, mentre quella amministrativa alla società.
Si sollevano dubbi circa questo orientamento restrittivo, considerato che la condotta ove commessa nell’ambito del 250.000 non sarebbe penalmente rilevante, quindi lo score di giudizio non dovrebbe vertere sull’intero importo della somma non versata, bensì sul differenziale che ne determina la rilevabilità in sede penale.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDanni da ecoreati, la Cassazione a maglie strette. Provvedimenti cautelari anche senza indagini tecniche.
Il legislatore con la legge 68/15 ha introdotto una serie di reati a tutela dell’ambiente.
La Cassazione a distanza di quattro anni ne interpreta i contenuti laddove non tutto legislativamente era chiaro e lo fa restringendo le maglie soprattutto in fase cautelare.
La legge non aveva specificato i contenuti della nozione di “ambiente”. La S.C. conferma la tutela costituzionale primaria dell’ambiente, lo qualifica come «un bene della vita» ed estende il presidio penale sia ai beni naturali che a quelli determinati dall’uomo (ad es. bei archeologici, storici ecc…). L’abusivismo, reato diffuso nel nostro Paese, se determina una lesione grave o peggio ancora irreversibile dell’ambiente, troverà tutela nei nuovi ecoreati.
Per quanto riguarda la nozione di “Inquinamento e disastro” la S.C. specifica che nel primo caso (inquinamento pena da 2 a 6 anni) la lesione dell’ambiente è reversibile, nel secondo (disastro pena da 5 a 15 anni) irreversibile. Le sanzioni possono diminuire fino a due terzi solo se la condotta è colposa, cioè involontaria.
Quello che sorprende è l’atteggiamento estremamente rigorista della S.C. che ha statuito che la prova del danno ambientale non deve necessariamente fondarsi su indagini tecniche. Questo approccio per fortuna è per il momento limitato alla fase cautelare. Nel processo per il momento sarà imprenscindibile il dato tecnico che va acquisito con tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale.
I nuovi ecoreati tutelano l’ambiente sia in termini di effettiva lesione, sia la eventuale messa in pericolo.
Non rilevano le modalità della condotta, paradossalmente la violazione di norme extrapenali esterne alla legislazione ambientale potrebbe comportare una lesione irreversibile dell’ambiente (ad es. pesca in periodi vietati) e trovare tutela nei nuovi reati.
Il decreto legislativo 231/2001, anche in tale ambito prevede pesanti sanzioni pecuniarie e afflittive misure interdittive.
Nota positiva è che il legislatore ha valorizzato il “ravvedimento operoso”, attenuante speciale che si applica se interviene un ripristino ambientale efficace, consentendo all’imputato di usufruire di una diminuzione della pena fino a due terzi, in questi casi il processo rimarrebbe sospeso per tre anni (la prescrizione non decorrerebbe).
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale – Responsabilità medica: Risponde del reato di lesioni personali l’ostetrico che non segue le linee guida.
La Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi su un caso di colpa medica, ha confermato la condanna di un ostetrico, per il reato di lesioni personali, il quale durante l’assistenza ad un parto non rilevava i segni indicatori di una distocia di spalla e per l’effetto ometteva di porre in essere quelle condotte doverose previste dalle linee guida di riferimento.
I giudici di legittimità, in particolare, hanno osservato che la Corte di Appello aveva correttamente disposto il rinnovo dell’istruzione dibattimentale, per l’espletamento di una perizia collegiale, atteso che la cartella clinica non aveva fornito nessun elemento utile al fine dell’individuazione del nesso eziologico circa la causazione dell’evento.
La Corte ha, altresì, precisato che nell’ipotesi in cui il quadro probatorio, emerso in sede dibattimentale, presenti elementi tecnico-scientifici discordanti, il giudice del merito “dispone dello strumento privilegiato, dato dalla perizia, da espletarsi nel contraddittorio delle parti e dei rispettivi consulenti tecnici”.
La IV Sezione della Suprema Corte, per quanto riguarda l’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento lesivo, ha affermato che lo stesso debba essere effettuato mediante il c.d. giudizio controfattuale, in altre parole il giudice deve interrogarsi su cosa che sarebbe accaduto se il soggetto agente avesse posto in essere la condotta doverosa, nella specie previste dalle linee guida adeguate al caso concreto.
Per concludere è possibile osservare che, seppur a distanza di 17 anni, risultano ancora attuali i principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione con la celeberrima sentenza Franzese, fatti propri ancora una volta dai giudici della IV Sezione nella sentenza n. 19386 del 08.05.2019.
ContinuaDiritto del Lavoro: Le emoticon possono salvare una lavoratrice dal licenziamento.
Con ricorso ex art. 414 del c.p.c una lavoratrice impugnava il licenziamento per giusta causa che le era stato intimato dalla società presso la quale lavorava e da cui era stata assunta a tempo indeterminato. La giusta causa del licenziamento, secondo il datore di lavoro, andava ricercata in pesanti offese personali che la lavoratrice aveva rivolto allo stesso in un gruppo Whatsapp, gruppo chiuso e formato da tre colleghe. Il Tribunale di prime cure dopo aver esaminato tutte le prove ha emesso una innovativa sentenza (Cfr. Sentenza Trib, Parma n. 327 del 2019). Infatti, secondo il Giudice, non è possibile ravvisare un atteggiamento diffamatorio da parte della lavoratrice, perché dal tenore della conversazione e dall’utilizzo delle emoticon dopo ogni frase, non è possibile comprendere se alcune frasi vengano dette seriamente in quanto il contesto in cui vengono pronunciate è deformalizzato e amichevole.
Altresì, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21965 del 2018, ha affermato che non è possibile configurare una condotta diffamatoria quando questa si svolga all’interno di un contesto privato, chiuso, come posso essere i gruppi Whatsapp o le mailing list.
La sentenza del Tribunale di Parma e l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione sono il frutto del cambiamento epocale portato dal web, cambiamento a cui i tribunali di merito e di legittimità per fortuna a volte non si sottraggono. In questa vicenda una faccina ha salvato un posto di lavoro.
Dott.ssa Roberta Mossuto
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