D.LGS.231/01: I PRESUPPOSTI CHE GIUSTIFICANO L’APPLICAZIONE DI UNA MISURA CAUTELARE INTERDITTIVA NEI CONFRONTI DELL’ENTE
Con la sent. n. 17371/23 la II sezione penale della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza circa la questione dei presupposti in presenza dei quali è possibile applicare la misura cautelare dell’interdizione dall’esercizio dell’attività ai sensi del D.Lgs.231/01.
L’art.13 del citato decreto dispone che:
“Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
b) in caso di reiterazione degli illeciti”.
La Corte ha chiarito che “ai fini dell’applicazione delle sanzioni interdittive, è sufficiente che sussista uno dei due presupposti indicati nell’art.13”.
Pertanto, la misura interdittiva, nel caso in cui è prevista, troverà senz’altro applicazione quando vi sia o un notevole guadagno dell’ente derivante dalla commissione dell’illecito, oppure un pericolo di reiterazione dello stesso, non essendo necessario che ricorrano entrambi i presupposti.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.Lgs 231/01. IL MANTENIMENTO DI UN MACCHINARIO VECCHIO ED IRREGOLARE, DAL CUI UTILIZZO DISCENDA UN INFORTUNIO PER IL LAVORATORE, COMPORTA LA CONFIGURABILITÀ DEL REATO DI LESIONI COLPOSE IN CAPO ALL’ENTE.
Con la sent. n. 2848/2020 la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza della responsabilità da reato dell’ente in caso di violazione della normativa antinfortunistica.
Ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n.231/01, infatti, con riguardo all’imputazione oggettiva della responsabilità all’ente, è necessario che il reato presupposto sia commesso da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o gestione o da dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza di tali soggetti, nell’interesse dell’ente.
La Suprema Corte ha statuito che tale interesse va letto, nella prospettiva patrimoniale dell’ente “come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale”.
Rientra in tale circostanza il mancato acquisto di nuovi macchinari o la mancata messa in sicurezza di quelli vecchi, consentendo all’ente un risparmio di spesa.
In tale situazione, nemmeno l’eventuale colpa concorrente del lavoratore, in termini di negligenza, è idonea ad escludere la responsabilità dei soggetti aventi l’obbligo di sicurezza.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaIl rifiuto si identifica attraverso dati obiettivi. La Cassazione ribadisce i termini per la corretta attribuzione della qualifica. Art. 256 co. 2° Dlgs 152/06.
Secondo la Suprema Corte (sentenza n. 24680/2023) la scelta personale del detentore del rifiuto se qualificarlo o meno rifiuto non è sufficiente se non è supportata da dati obiettivi. La Cassazione sulla base della definizione di cui all’art. 183 Dlgs 156/06, precisa che si intende rifiuto «tutto ciò di cui il detentore si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo». Per la Corte “disfarsi” significa anche recuperare e\o smaltire, ritenendo, inoltre, che ben poco vale la volontà del detentore se ad essa non corrispondono elementi oggettivi che ne provino l’eventuale processo di recupero.
Nel caso esaminato dalla Corte, a seguito di accertamento tecnico, il rifiuto era stato abbandonato alla “rinfusa” ed esposto agli agenti atmosferici, cosa che ne rendeva improbabile la qualifica di sottoprodotto destinato al recupero e, pertanto, ha ritenuto sussistente il reato di gestione non autorizzata di rifiuti.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDECRETO 231/01. SICUREZZA SUL LAVORO E RESPONSABILITÀ: LE NUOVE LINEE GUIDA INAIL
Con le nuove linee guida rese disponibili sul proprio sito l’INAIL fornisce le direttive per il monitoraggio e la valutazione del rischio della commissione dei reati relativi a salute e sicurezza sul lavoro.
L’istituto fornisce alle imprese un importante strumento per rilevare i potenziali rischi e adeguare, di conseguenza, il modello organizzativo in modo da raggiungere l’efficacia esimente della responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs.231/01.
A causa della molteplicità dei potenziali rischi presenti e delle disposizioni normative applicabili, non sempre è facile per l’impresa individuare le modalità più opportune per una corretta organizzazione della sicurezza.
A tal fine, in base alle nuove linee di indirizzo, un modello organizzativo rispondente alle necessità di cui al D.Lgs. 231/01 deve rispondere a requisiti specifici, quali:
– rappresentare le attività di funzione potenzialmente sensibili;
– consentire l’identificazione dei responsabili di processo;
– guidare nella rappresentazione realistica della situazione “as is”;
– svolgere una valutazione oggettiva delle performances sulla base di una attenta valutazione delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro;
– guidare nell’identificazione ed attuazione delle azioni correttive.
https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-linee-guida-monit-valut-rischio-commis-reati.pdf
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaDlgs 74/00. Omessa presentazione dichiarazione. Patteggiamento ammesso anche in assenza del pagamento debito tributario.
La Corte di Cassazione con una importantissima sentenza (n. 31024/23) ha statuito che l’imprenditore che omette la presentazione della dichiarazione (Redditi ed Iva art. 5) può patteggiare la pena anche se non ha assolto al pagamento del debito tributario.
La Corte con un ragionamento di straordinaria logicità ha asserito che il pagamento del debito tributario, se assolto nei termini previsti dalla legge, comporta la non punibilità, quindi in caso contrario non avrebbe senso negare il patteggiamento.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaRESPONSABILITÀ DELL’ENTE: IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEVE ESSERE REALIZZATO “SU MISURA” PER CIASCUNA IMPRESA
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sent. n.27148/2023, ha specificato le caratteristiche che deve presentare il modello di organizzazione e gestione ai fini dell’esclusione della responsabilità da reato dell’ente.
Ai sensi dell’art. 6 co.1, lett a) del d.lgs. 231/01, infatti, “l’ente non risponde se prova che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.
Con specifico riferimento al modello di organizzazione e gestione (MOG), il secondo comma dello stesso articolo precisa che lo stesso deve rispondere ad alcune esigenze, quali: individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli.
Come sottolineato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, “è ormai dato di comune esperienza che il modello di organizzazione e gestione debba essere realizzato «su misura» (taylored) per ciascuna impresa e per ogni diversa organizzazione”.
In particolare, la Corte ha chiarito che, soprattutto con riguardo alle peculiarità dei reati ambientali, per cui si pone la necessità di una mappatura del rischio in modo specifico per ciascun reato, l’ente deve dotarsi di un modello di organizzazione e gestione aderente alla struttura e all’attività dell’impresa.
Il MOG non può limitarsi a descrivere genericamente l’attività svolta e la conformità alle norme della gestione dei rifiuti, ma deve prevedere, in concreto, i compiti, le responsabilità individuali e gli strumenti volti a prevenire la commissione di reati contro l’ambiente.
Ai fini di una sua completa efficacia, inoltre, esso deve essere attuato tramite l’istituzione di un organismo di vigilanza (ODV) che sia dotato di concreti poteri di controllo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaWHISTLEBLOWING: LE NOVITÀ IN MATERIA DI SEGNALAZIONE DI CONDOTTE ILLECITE
Il D.Lgs. 24/2023 (cd Decreto Whistleblowing), emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, ha rafforzato la disciplina italiana in materia di segnalazione di condotte illecite, offrendo maggiori tutele ai cd whistleblower.
Il “whistleblower”, o “segnalante”, è colui che, testimone di un illecito o una irregolarità sul luogo di lavoro, decide di fare una segnalazione a riguardo.
Il Decreto si preoccupa di tutelare tali soggetti e di estendere l’ambito di applicazione dell’obbligo di attivare un sistema di segnalazione delle violazioni del diritto nazionale.
Tale obbligo, infatti, oggi grava, oltre che sui soggetti del settore pubblico, anche sugli enti privati che abbiano impiegato nell’ultimo anno almeno 50 lavoratori subordinati e su quelli con meno di 50 lavoratori dipendenti purché siano dotati di Modello organizzativo ex D.Lgs. 231/01 o si occupino di alcuni specifici settori (servizi e prodotti finanziari, sicurezza dei trasporti, tutela dell’ambiente ecc.).
Oggetto di segnalazione possono essere tutti quei comportamenti lesivi dell’interesse pubblico o dell’ente e che possono consistere, ad esempio, in illeciti amministrativi, contabili, civili, penali o illeciti rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231 o violazioni del modello organizzativo.
Ogni impresa operante in Italia e rientrante nell’ambito di applicazione del “Decreto Whistleblowing” dovrà adeguarsi alla nuova disciplina, istituendo canali interni per consentire le segnalazioni, mettendo a disposizione dei segnalanti informazioni chiare e precise sulle procedure da seguire e sui presupposti per effettuare segnalazioni interne o esterne (attraverso il canale istituito dall’ANAC), predisponendo adeguate misure di tutela per i segnalanti, in particolare della loro riservatezza, al fine di evitare ritorsioni nei loro confronti (es. licenziamento, demansionamento, intimidazioni, ecc.).
Tale sistema di segnalazione, con il nuovo decreto, diventa un vero e proprio obbligo giuridico, sanzionabile dall’Autorità Nazionale Anticorruzione in caso di violazione.
Il termine per adeguarsi alle nuove disposizioni scade il 15 luglio 2023, per gli enti privati con 250 o più dipendenti (e per gli enti pubblici) e il 17 dicembre 2023 per gli enti privati con 50 o più dipendenti.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaLA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE DEVE ESSERE ACCERTATA ANCHE IN CASO DI PRESCRIZIONE DEL REATO PRESUPPOSTO
Con la sentenza n. 21640/2023 la Corte di Cassazione ha ulteriormente specificato la portata del principio di autonomia della responsabilità dell’ente nel caso di declaratoria di prescrizione del reato presupposto.
La norma di riferimento è sancita dall’art. 8, co.1 lett. b) del D. Lgs. 231/01, il quale prevede che “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”.
In questo caso, infatti, l’accertamento della responsabilità dell’ente segue un “percorso processuale autonomo”, pur rimanendo ferma la necessità di procedere ad una verifica, anche incidentale, circa la sussistenza del fatto di reato.
La configurabilità della responsabilità dell’ente, pur essendo legata alla commissione di un reato da parte della persona fisica, si basa sulla valutazione di un “deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall’ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei Modelli di organizzazione, gestione e controllo”.
Il Giudice, quindi, deve procedere all’accertamento della sussistenza del reato presupposto e dell’eventuale responsabilità dell’ente, anche nel caso in cui tale reato sia dichiarato prescritto nei confronti della persona fisica imputata nel medesimo processo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaPRINCIPIO DI AUTONOMIA DELLA RESPONSABILITÀ: LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE SUSSISTE ANCHE QUANDO L’AUTORE DEL REATO NON È STATO IDENTIFICATO
Con la sentenza n.10143/2023 la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio di diritto inerente l’annosa tematica della responsabilità dell’ente derivante da reato.
L’art.8 del D.Lgs. 231/01 dispone che “La responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”.
In base al citato articolo, il presupposto dell’affermazione della responsabilità dell’ente è la commissione di un fatto che costituisce reato da parte di un soggetto funzionalmente legato ad esso; con la conseguenza che, mancando tale presupposto, l’addebito all’ente collettivo deve essere escluso.
Pertanto, l’assoluzione delle persone fisiche “perché il fatto non sussiste” esprime una formula che accerta l’assenza del reato-presupposto, con conseguente esclusione della responsabilità dell’ente.
Diverso è, invece, il caso in cui la sentenza assolutoria ritenga che il fatto sussista, ma non sia ascrivibile alla responsabilità degli imputati. In questo caso, pur rimanendo non individuate le figure dei responsabili dell’accaduto, non discende automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente.
Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha quindi ribadito che: “ove in separato giudizio si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata”.
Se il fatto sussiste, la responsabilità dell’ente deve essere affermata.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaVIOLAZIONE DISCIPLINA ANTINFORTUNISTICA: L’ESIGUITÀ DEL RISPARMIO DI SPESA NON ESCLUDE LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE
In materia di responsabilità da reato dell’ente, la Corte di Cassazione, con sent. n.33976/2022, ha stabilito che il criterio di imputazione oggettiva dell’illecito sussiste anche in presenza di un risparmio di spesa legato all’inosservanza della disciplina antinfortunistica esiguo, ma apprezzabile.
Perché possa configurarsi la responsabilità dell’ente, è necessario che il reato sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, come stabilito dall’art. 5 del D.Lgs. 231/01, che fissa i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità.
Nella sentenza in commento, la Suprema Corte chiarisce che il vantaggio per l’ente può derivare anche dalla inosservanza delle prescrizioni cautelari.
In particolare, qualora dalla commissione di un reato derivante dalla trasgressione della normativa antinfortunistica discenda un vantaggio per l’ente, la sua responsabilità deve essere affermata anche se si tratta di un vantaggio esiguo (ad es. in termini di risparmio di spesa) e pur in assenza di una sistematicità delle violazioni.
Il vantaggio, infatti, deve essere ritenuto comunque apprezzabile allorché sia collegato al mancato rispetto delle regole cautelari “a prescindere da una astratta valutazione aritmetica della spesa non sostenuta rispetto alle capacità patrimoniali dell’ente ovvero alle maggiori somme da questi impiegate per la tutela della sicurezza dei lavoratori”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
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