PIGNORAMENTO PRESSO TERZI: NECESSARIA RITUALITÀ DELLA DICHIARAZIONE EX ART. 547 C.P.C.
La Corte di Cassazione, con sent. n. 16005 del 07.06.2023, ha ribadito la necessità del rispetto delle forme previste dall’art. 547 c.p.c. ai fini della dichiarazione di quantità del terzo, nel pignoramento presso terzi.
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal creditore procedente che ha lamentato la violazione dell’art. 547 c.p.c. da parte del Tribunale. Quest’ultimo, con ordinanza, aveva accolto l’opposizione agli atti esecutivi presentata dal terzo pignorato, sulla base del fatto che la dichiarazione effettuata da quest’ultimo, benché irrituale (in quanto effettuata a mezzo telefax), era stata comunque ricevuta dal destinatario.
Ritiene la Corte che, in ragione della natura formale della dichiarazione di quantità, la stessa debba essere effettuata osservando le modalità previste dal legislatore all’art.547 c.p.c. In particolare, in base alla lettera della norma, la dichiarazione del terzo deve essere effettuata “a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata”.
Occorre considerare che, in tale sede, non viene in rilievo un mero rapporto epistolare tra procedente e terzo pignorato, risolvibile alla stregua dei comuni canoni in ordine alla prova delle comunicazioni, ma il terzo assume la funzione di vero e proprio ausiliario del giudice (Cass. n.13143/2017).
Per cui, come sostenuto dalla Corte nella sentenza in esame, l’alternativa è secca: o detta comunicazione viene effettuata a mezzo lettera raccomandata o a mezzo PEC, “oppure, qualora effettuata con mezzi diversi da quelli indicati dalla citata disposizione e comunque non idonei a dimostrare immediatamente ed incontestabilmente l’esistenza e il contenuto della dichiarazione stessa, essa è da considerarsi tamquam non esset”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaRIFORMA CARTABIA: POSSIBILITÀ DI ACCEDERE AI BENEFICI PENITENZIARI ANCHE IN ASSENZA DI COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA.
In tema di benefici penitenziari, la Riforma Cartabia ha modificato l’art. 4 bis co.1 bis ord. pen. prevedendo la possibilità di concederli anche in assenza di collaborazione con la giustizia da parte dei detenuti, “purché gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento”. In questo modo, ai fini della concessione di tali benefici, il giudice deve tener conto di specifici elementi volti ad escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità e del pericolo di un loro rispristino, indipendentemente dalla collaborazione con la giustizia del condannato.
Tale norma si è rivelata centrale in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la sent. n. 23556/2023, con cui la stessa ha annullato l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato la richiesta di permesso premio avanzata da un condannato.
La decisione annullata si basava sulla natura ostativa dei reati commessi, perpetrati, peraltro, in contesto di ndrangheta, e sull’assenza di una revisione critica del proprio operato da parte del condannato.
In particolare, il Tribunale aveva sottolineato come dalla perdurante proclamazione di innocenza e di estraneità ai fatti da parte del ricorrente, oltre che dalla mancata collaborazione con la giustizia, non potesse trarsi un’effettiva interruzione dei suoi legami con il tessuto criminale e, quindi, il superamento della presunzione di pericolosità sociale. Sulla base di questi presupposti, il Tribunale aveva negato la possibilità di accedere al beneficio.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso presentato dalla difesa, sottolineando come il Tribunale di Sorveglianza non avesse fatto buon governo dei principi in materia.
Infatti, in base al principio enunciato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, il Giudice di sorveglianza, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, è tenuto ad effettuare “un esame in concreto di elementi di fatto “individualizzanti”, circa il percorso rieducativo compiuto dal detenuto” e deve accordare la richiesta anche in caso di mancanza di elementi di prova che dimostrino l’assenza di legami con la criminalità organizzata, “essendo a tal fine sufficiente l’allegazione di elementi fattuali che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità sancita dalla legge”.
Secondo la Cassazione, risulta fondamentale il fatto che il condannato abbia tenuto una condotta inframuraria commendevole, aspetto non tenuto in considerazione dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo è chiamato, infatti, a compiere un “concreto bilanciamento fra gli elementi connotanti la caratura criminale dei fatti commessi ed il percorso rieducativo portato avanti”, coerentemente ai principi costituzionali in tema di funzione rieducativa della pena, a nulla rilevando la scelta della mancata collaborazione.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaSCALA DEI TURCHI!! GESTIONE IN MANO AL PARCO ARCHEOLOGICO??? NON VERO!!!!
In merito alla notizia apparsa sui siti web che ci sarebbe un accordo tra il Comune di Realmonte, la Regione ed il Parco Archeologico di Agrigento, sulle futura gestione della “Scala dei Turchi”, su mandato espresso della famiglia Sciabbarrà comunichiamo che non esiste alcun accordo tra la famiglia Sciabbarrà (legittima proprietaria della Scala dei Turchi) e gli enti sopra indicati.
Si fa rilevare che né il Comune né altri Enti hanno la facoltà di decidere i termini, i ticket, la fruibilità, relative alla gestione della “Scala dei Turchi” senza il previo consenso della famiglia Sciabbarrà allo stato legittima proprietaria.
Ricordiamo a tutti che esiste una convenzione siglata alla Regione tra la famiglia Sciabbarrà ed il Comune che affidava a quest’ultimo la gestione temporanea fino al 30 luglio 2023 della Scala dei Turchi. Convenzione che siamo disposti a fornire ai giornalisti ed a chi ne farà richiesta.
Si informa inoltre che nel prossimo giugno si terrà presso il Tribunale di Palermo l’udienza relativa alla controversia civile tra la famiglia Sciabbarrà ed il Comune di Realmonte, ed inoltre si informa che in capo alla famiglia Sciabbarrà persiste la volontà di donazione del bene “Scala dei Turchi” al Comune di Realmonte, dal quale ad oggi si attende ancora una risposta in merito.
Si chiede rispetto e lealtà istituzionale nei confronti della famiglia Sciabbarrà che ha tenuto indenne da qualsiasi speculazione il sito di fama mondiale della “Scala dei Turchi”
PERTANTO NON PUÒ RISPONDERE AL VERO LA NOTIZIA FORNITA NEL CORSO DELLA CONFERENZA STAMPA ODIERNA (COSI SI LEGGE NELLE NEWS DEI SITI) TENUTA ALL’ENTE PARCO ARCHEOLOGICO.
Avv. Antonino Cremona – Avv. Giuseppe Scozzari


RECIDIVA REITERATA. INCOSTITUZIONALE IL DIVIETO DI PREVALENZA DELLE ATTENUANTI.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94 del 2023, ha dichiarato illegittimo il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata.
Nella sentenza in esame, il giudice delle leggi si è pronunciato sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Assise d’appello di Torino, in relazione all’art. 69 co. 4 c.p., nella parte in cui non consente al giudice di ritenere prevalente la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 c.p., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, co. 4 c.p.
In particolare, il citato art. 69 c.p., così come modificato dalla L. 251/05, impedirebbe al giudice di operare un bilanciamento tra le circostanze, al fine di calibrare la pena in base alle peculiarità del caso concreto. Da ciò deriva l’effetto automatico dell’applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata, con conseguente aumento della pena.
Secondo il giudice a quo, la norma censurata contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 27 co. 3 Cost., in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato ed essere proporzionata alla concreta lesività del fatto di reato, in ossequio al principio della necessaria proporzionalità della pena rispetto all’offensività del reato.
Contrasterebbe, in secondo luogo, con l’art. 25 co. 2 Cost., che impone di applicare sanzioni diverse a fatti diversi.
Infine, contrasterebbe anche con l’art.3 Cost., dal momento che la norma di cui all’art. 69 co. 4 c.p., violerebbe il principio di uguaglianza, comportando l’applicazione di un’unica pena per situazioni diverse sotto il profilo dell’offensività.
Il giudice, quindi, nel determinare in concreto la pena, deve poter operare l’ordinario bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. nei casi di concorso di circostanze e, quindi, deve poter ritenere le attenuanti prevalenti, equivalenti, o subordinate rispetto alla recidiva reiterata.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaCommette reato il PM che nel corso dell’interrogatorio minaccia di arrestare un teste/indagabile.
La Suprema Corte di Cassazione (sent. N.20365/23) ha ritenuto sussistente il reato di violenza privata in capo a due PPMM (caso accaduto alla Procura di Trani), i quali nel corso di un interrogatorio di ben tre testimoni, dolosamente interrogati come persone informate sui fatti e non come indagati (quindi con tutte le garanzie difensive), li hanno minacciati di applicare la misura cautelare più grave ossia l’arresto, se non avessero confessato quanto richiesto dagli stessi.
Le frasi di circostanza proferite dai PPMM quali “niente male la vista del carcere di Trani”, oppure il riferimento alle “arance”, sono stati alcuni dei particolari sconcertanti dell’interrogatorio.
Si tratta di una condotta riprovevole non nuova purtroppo nei pubblici ministeri, entrambi condannati alla pena di 6 e 4 mesi di reclusione.
#violenzaprivata #violenzaprivata #pm #reatopm #procura #trani #interrogatorio #minaccia #arresto
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaReati Tributari. Dlgs 74/00. Omessa dichiarazione. Legittima la prova testimoniale. Ires.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 42624/23 ha affermato che ai fini della determinazione dell’imposta evasa (art. 5 Dlgs 74/00), la prova dei costi effettivamente sostenuti può essere data anche attraverso testi (ritenuta non idonea dai giudici di merito). La Corte non ha ritenuto legittimo il criterio applicato dalla Corte territoriale perché fondato su criteri tributaristici e civilistici incompatibili con la legge processual-penalistica.
Secondo i giudici di legittimità per la determinazione dell’imposta evasa (IRES) concorrono anche le spese e gli altri componenti negativi, che siano certi o comunque determinabili in modo obiettivo, anche se non contabilizzati.
#reati #reatitributari #dirittotributario #omessadichiarazione #dlgs74 /01 #prova #provatestimoniale #ires #
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDlgs 231/01. Responsabilità degli enti giuridici. Le Sezioni Unite: il modello riparatore ed il risarcimento scongiurano le misure interdittive. Le sanzioni pecuniarie rimangono. conferma l’esclusione della messa alla prova.
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 14840/23 hanno statuito che le misure riparative adottate dall’ente fanno venir meno le misure interdittive, ma in caso di applicazione della pena pecuniaria questa permane.
Le S.U. dettano anche tre condizioni (previste peraltro dalla legge e da porre in essere prima dell’apertura del dibattimento) per evitare le misure interdittive: 1) avere risarcito il danno; 2) messa a disposizione del profitto; 3) avere rimosso le carenze organizzative.
#dlgs231 #responsabilitaenti #misureinterdittive #modelloriparatore #sanzionipecuniarie
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCon la sentenza n. 5/2023 la Corte Costituzionale ha ritenuto legittima la confisca obbligatoria delle armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione.
Con la sentenza in commento il giudice delle leggi ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.6 della legge n.152 del 1975 sollevate dal Tribunale ordinario di Milano il quale ha lamentato la violazione, da parte della norma, di fondamentali diritti costituzionali quali la presunzione di non colpevolezza e il diritto di proprietà.
Nel caso sottoposto al giudice a quo era stata contestata all’imputato la violazione dell’art. 38 TULPS, per avere omesso di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza il trasferimento delle armi regolarmente detenute presso la nuova residenza. Non essendo l’obbligo previsto da tale norma assistito da alcuna specifica sanzione, la recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenze n.10197/2018, n.27985/2016 e n.49969/2015) aveva stabilito l’applicazione dell’art. 17 TULPS che prevede, in caso di violazioni non assistite da una pena o da una sanzione amministrativa, l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a euro 206. Sulla base del combinato disposto degli artt. 17 e 38 TULPS ha quindi origine una contravvenzione punita con pena alternativa suscettibile di estinguersi mediante oblazione. Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità a tale contravvenzione si applica il contestato art.6 della L.152/1975 secondo il quale le armi non denunciate devono essere confiscate anche in caso di estinzione del reato per oblazione.
La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni sollevate dal rimettente attribuendo alla confisca, innanzitutto, una funzione non punitiva, come era stato lamentato dal giudice a quo, ma preventiva, utile a minimizzare il rischio che delle armi possano impossessarsi soggetti terzi e farne un uso illecito. In secondo luogo, ha ritenuto che la norma contestata non si ponga in contrasto con il diritto di proprietà, dovendosi fare riferimento alla ratio sottesa alla confisca obbligatoria, che è quella di tutelare l’ordine pubblico e prevenire condotte violente realizzate mediante l’uso delle armi.
Con riferimento alla circostanza che la confisca fosse stata disposta dal giudice con la sentenza che dichiarava l’estinzione del reato per intervenuta oblazione, la Corte ha proposto una interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale l’emanazione della misura ablativa avviene comunque a seguito di un accertamento dei presupposti di legge che ne giustificano l’applicazione e nel contraddittorio tra le parti. Tale accertamento è inoltre utile a verificare se permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili dal trasgressore o se il fatto sia grave: evenienze in presenza delle quali la domanda di oblazione dovrà o potrà essere respinta.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaInterdittiva antimafia. La Cassazione precisa: un parente mafioso non è sintomatico di mafiosità e permeabilità dell’impresa.
Secondo la S.C. (sent. n° 15156/23) non può essere considerata mafiosa un’impresa gestita da soggetti imparentati con persone che hanno rapporti qualificati con una cosca.
Non vale secondo la Cassazione «l’equazione tra rapporto familiare e comunanza degli interessi economici, in assenza di indicatori di conferma, ammette deroghe e finisce con il risultare meramente congetturale».
Si tratta di una pronuncia di estremo rilievo soprattutto per le imprese che operano nelle regioni in cui alcune prefetture prese da un impeto giustizialista emettono interdittive prive di qualsivoglia fondamento.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaReati tributari. Dlgs 74/00. Fatture inesistenti. Libertà di confisca al giudice penale. Dichiarazione fraudolenta
La Corte di Cassazione con una discutibile decisione (sentenza n° 16333/23) ha statuito che il giudice penale, nel caso di dichiarazione fraudolenta mediante fatture inesistenti (art. 2 dlgs 74/00) è libero di disporre la confisca anche in palese contrasto con quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate in sede di procedimento di adesione. In altri termini in caso di sequestro preventivo se il giudice penale motiva fornendo concreti elementi che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione può disporre la misura cautelare in contrasto. A nulla è valso l’accertamento della minore evasione dell’imposta. Tale conclusione se dovesse essere confermata dal legislatore vanificherebbe quanto previsto dall’art. 18 nel Ddl di delega, che prevede l’obbligo del giudice penale a conformarsi alle definizioni raggiunte in via amministrativa.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
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