La tenuità del fatto non esime da responsabilità ex Dlgs 231/01 l’impresa.
Il caso in esame riguarda una impresa che si occupa della gestione dei rifiuti.
Diverse pronunce del giudice regolatore hanno statuito che l’applicazione dell’istituito di cui all’art. 131 bis c.p. (non punibilità per particolare tenuità del fatto) non solleva da responsabilità per illecito amministrativo l’ente, né per converso ne determina una automatica responsabilità (si veda: Cass., Sez. III Penale, n. 38752/2019; Cass., Sez. III Penale, n. 16607/2016; Cass., Sezione III Penale, n. 37163/2020 )
Ovviamente tale istituto non può essere applicato ai casi ti traffico illecito la cui pena massima è pari ad anni sei od in casi similari.
Purtroppo la legge non ne regolamenta i casi e, come sempre, quando c’è un vuoto normativo subentra il diritto vivente che, come sempre assume orientamenti spesso contrastanti.
In conclusione la causa di non punibilità ex art. 131 bis. C.p. non si applica all’ente, la cui responsabilità potrà essere riconosciuta previo puntuale scrutinio delle connesse eventuali responsabilità derivanti dall’illecito amministrativo contestato.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaVaccino Covid: vaccinare i furbetti non è reato, con buona pace di tutti i giustizialisti.
In un’epoca nella quale, con la nomina di Marta Cartabia al Ministro della Giustizia, si sta finalmente iniziando a vedere una debole luce in fondo al tunnel del giustizialismo penale che ha intriso le più recenti riforme del diritto penale, l’Italia si dimostra ancora panpenalistica…
Continua
Dichiarazione infedele. Art. 4 dlgs 74/00. I costi fissi secondo la Cassazione fanno parte delle spese di carattere generale dell’imprenditore.
Con la sentenza n. 641/21 la 3^ sez. penale della Cassazione è intervenuta su un tema controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza, relativamente alla configurabilità del reato di dichiarazione infedele dell’imprenditore che, nella propria dichiarazione dei redditi, indichi elementi attivi e\o passivi non corrispondenti al vero. L’imposta evasa per essere penalmente rilevante deve superare la soglia prevista dall’art. 4 ossia € 100,000,00 (o superiore al 10% di quanto indicato nella dichiarazione oppure superare i 2 mln di €).
Nel caso in esame secondo i giudici di merito i c.d. “costi fissi” non avrebbero dovuto essere valutati, ai fini del “non” superamento della soglia, perché non inerenti ai costi sostenuti dall’impresa per produrre reddito.
La Cassazione ha annullato ricordando che i criteri di deducibilità dei costi sono rappresentati dall’effettiva tracciabilità degli stessi, nonché dell’inerenza di essi rispetto al ciclo produttivo, quindi la riferibilità va rapportata non ai ricavi ma all’oggetto dell’impresa.
Tema centrale del ricorso per Cassazione era la quantificazione ed individuazione della soglia di punibilità, ossia verificare l’eventuale superamento della stessa. Gli imprenditori che avevano fatto ricorso ai giudici di legittimità avevano prodotto una consulenza, non valutata dai giudici di merito, che dimostrava il non superamento della soglia e l’inerenza dei costi di produzione. La Cassazione nell’accogliere il ricorso ha affrontato il tema della deducibilità dei costi con espresso richiamo delle norme extrapenali di riferimento.
#Dichiarazioneinfedele #Art4dlgs74/00 #costifissi #spesegenerali
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#prescrizione #reatopresupposto #responsabilitàamministrativa #Dlgs.231/01
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 28210/20 conferma ancora una volta l’autonomia della responsabilità dell’ente anche quando il reato presupposto è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Si tratta di un orientamento consolidato ed in linea con quanto previsto dall’art. 8 d.lgs. 231/01. La sentenza in commento ribadisce ancora una volta che l’accertamento autonomo della responsabilità dell’ente non può prescindere “… da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato”.
In sostanza anche se il reato è prescritto, se vuoi perseguire l’ente devi accertare incidentalmente la fondatezza e la sussistenza del fatto illecito commesso per favorire l’ente stesso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#studiolegaleboutique #branding #naming #identità #comunicazione #coerenza
Gli studi legali sempre più proiettati nel mondo social. Essere presenti con i propri profili Facebook, Linkedin o Instagram costituisce segno di modernità, indice di affidabilità, proiezione verso un nuovo modo di interpretare il rapporto con i propri attuali e futuri clienti. Sia ben chiaro non è vero il contrario, ossia chi non ha una presenza social può ben essere affidabile, coerente e professionale.
Ma oggi la nuova clientela esige la presenza social, perché vuole studiare e capire gli ambiti di specializzazione dello studio legale prima di affidare il proprio futuro.
“Corporate Branding” e “Personal Branding” sono le due parole magiche che costruiscono il marketing di uno studio legale. Sono l’essenza delle scelte strategiche di ricerca cui mirano le aziende ed i privati quando scelgono un professionista oppure un team di professionisti.
Su tutti domina un valore: la “coerenza” della comunicazione che uno studio è in grado di profondere. I nuovi clienti hanno bisogno di conoscere l’identità ed i contenuti che è in grado di esprimere uno studio ed i professionisti dello studio, prima di affidare i propri affari oppure i propri problemi personali.
Una corretta comunicazione rafforza l’immagine del professionista, dello studio e rafforza la fiducia nella platea degli stakeholder.
(Sintesi di uno studio di Giuseppe Alviggi – Gruppo Stratego)
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#reatitributari #sequestro #primacasa #ammissibilità #art.2dlgs74.2000
Discutibile sentenza della Corte di Cassazione
la n° 5680/21 secondo la quale non sussisterebbero limiti né per la confisca, né per il sequestro preventivo della prima casa. Secondo il giudice regolatore nel caso di reati tributari non si applica la normativa sulla riscossione (art. 76 del Dpr 602/73), che invece pone un limite invalicabile.
Si tratta di un principio tutt’altro che pacifico essendoci numerose sentenze di senso opposto. Il caso riguarda un imprenditore condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false (art. 2 dlgs 74/00) a cui è stata sequestrata la prima casa.
Secondo la S.C. il limite della espropriazione immobiliare della prima casa non si applica nel caso della commissione di reati. Alla base della motivazione anche il riferimento all’art. 2740 del c.c. secondo il quale, il debitore risponde dei propri debiti con tutti i suoi beni, solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge tale responsabilità può trovare un limite. Nel caso dei reati tributari nessun limite sarebbe previsto dalla legge.
Questa sentenza, in contrasto con altri precedenti, aggredisce in maniera indiscriminata un bene che trova tutela primaria nella costituzione ossia, il diritto alla propria abitazione.
Urge intervento regolatore selle Sezioni Unite.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#231 #costituzione parte civile #ammissibilitá #grave decisione
Con la sentenza depositata il 29.01 scorso il tribunale di Lecce, con una decisione per nulla condivisibile, ha ammesso la costituzione di parte civile nei confronti di un ente imputato di illecito amministrativo derivante da reato ex DLGS 231/01.
Il tribunale in aperto contrasto non solo con autorevole dottrina ma anche con la giurisprudenza di legittimità (su tutte si veda sent. SC sez. IV, 5/10/2010, n. 2251, rv. 248791), costante sul tema, ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di una società imputata di reati ambientali. Secondo il tribunale il sistema sanzionatorio introdotto nel 2001 legittimerebbe l’ammissione affermando in sostanza che ciò che non è espressamente escluso, non è nemmeno vietato. Secondo i giudici leccesi “…il rinvio operato dagli articoli 34 e 35 del Decreto legislativo 231/2001 consente l’estensione al procedimento degli illeciti amministrativi dipendenti da reato delle norme di procedura penale in quanto compatibili e l’estensione all’ente della disciplina relativa all’imputato, sempre in quanto compatibile”.
Secondo i giudici di merito l’ente non puo esimersi dalla responsabilitá per colpa organizzativa, essendo rinvenibile in capo alla società un deficit di controllo, di diligenza, di applicazione delle regole di prudenza organizzativa che sono proprie dei vertici, quindi imputabili ad essi e per converso alla società.
Il tribunale di Lecce rinvia ad una serie di norme del DLGS 231 che, secondo l’interpretazione analogica data, consentirebbero l’ammissione della costituzione di parte civile, tra esse indica gli arti. 12,17,19 presupposto per l’esercizio dell’azione risarcitoria civile.
Tale interpretazione secondo il sottoscritto è in aperto contrasto con i principi che governano il processo penale, che non ammette interpretazioni estensive in malam parte, inoltre il DLGS citato è estremamente chiaro nel non prevedere tale possibilità.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Reatitributari #Dlgs231/01 #Responsabilità società #ChiarimentoGDF #Responsabilità Amministrativa
Con il DL 124/19 (e successivamente con il dlgs 75/20)è stata ampliata la platea dei reati presupposto, di cui al dlgs 231/01, includendo alcuni reati tributari.
Tra essi rientrano nei reati presupposto: a) dichiarazione fraudolenta; b) emissione fatture false; c) occultamente\sottrazione documenti contabili; d) dichiarazione infedele; e) indebita compensazione; f) evasione Iva non inferiore a 10 milioni. Tutti reati previsti dal dlgs 74/00.
In merito alla contestabilità automatica, ossia in caso di reato tributario commesso dal legale rappresentante di detti reati alle società, interviene, nel corso di Telefisco, un chiarimento del Comando Generale della Guardia di Finanza che ha precisato che la società rischia pesanti sanzioni che vanno da 300 a 500 (una quota varia da 258 a 1549 euro). La società per andare esente, secondo la GDF, deve dimostrare di avere adempiuto a quanto prescritto dal dlgs 231/01 in termini di modello organizzativo, in ogni caso la contestazione non sarebbe automatica, perché si impongono alcune verifiche: 1) idoneità del modello organizzativo adottato, in relazione alla prevenzione del reato contestato; 2) idoneità delle misure di controllo previste dal modello; 3) idoneità delle misure in relazione al ciclo forniture; 4) eventuale “dissociazione” fra la volontà del soggetto imputato e quello della società; 5) sussistenza di un beneficio per la società come ad esempio un indebito risparmio fiscale.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Video sorveglianza #nessun reato #datorelavoro #comportamento infedele lavoratore
Con la sentenza n. 3255/21 la Corte di Cassazione ha statuito che non commette reato il datore di lavoro che utilizza la videosorveglianza nei confronti del dipendente infedele, anche in assenza di accordo sindacale.
La S.C. con una pronuncia che farà discutere, soprattutto in ambito sindacale, ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale di Viterbo che aveva condannato un imprenditore alla pena di 200 di ammenda.
In sintesi il giudice regolatore ha ritenuto legittima l’installazione di un impianto di videosorveglianza a tutela del patrimonio aziendale, ribadendo che lo Statuto dei lavoratori non interdice al datore di lavoro la possibilità di effettuare i c.d. “controlli difensivi”.
La Corte sostiene, inoltre, che le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a presidio della loro riservatezza, non proibiscono i cosiddetti “controlli difensivi” del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio in ambito processuale.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaIl candidato al concorso per l’ammissione alla specializzazione in medicina deve riconoscere eventuali errori di stampa nelle domande.
Con ricorso di primo grado il ricorrente classificato in posizione non utile partecipava al concorso per l’ammissione al corso di formazione in Medicina Generale 2017-2020 indetto per n. 70 posti; impugnava la graduatoria finale degli ammessi unitamente agli atti del procedimento, tra i quali i verbali della Commissione e gli atti della Commissione ministeriale con i quali è stata predisposta ed approvata la griglia delle risposte ai quesiti di esame.
In particolare, si deduceva nel ricorso che nel quesito n. 51 “Quale tra gli antibiotici di seguito elencati non è consigliato nel trattamento della malattia di Lyme?”, tra le possibili opzioni veniva indicata la risposta Doxicillina (non esistente in commercio), in luogo di Doxiciclina.
Inoltre veniva precisato che la risposta esatta, secondo la Commissione, fosse “Cefalexina” e non anche la risposta “Amoxicillina” prescelta dal ricorrente.
Si deduceva che l’erronea indicazione della risposta era tale da trarre in inganno il candidato facendolo cadere in errore; veniva poi dedotto che, in ogni caso, la risposta “amoxicillina” sarebbe stata anch’essa esatta, essendovi plurime risposte corrette al quesito proposto, tra le quali quella indicata dal ricorrente.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n.3415/2020, ha respinto l’appello.
Nella specie la massima Corte amministrativa ha ritenuto che il candidato preparato, essendo a conoscenza dell’inesistenza in commercio di un antibiotico denominato “Doxicillina” e dell’esistenza di un prodotto denominato “Doxiciclina”, avrebbe dovuto immediatamente rendersi conto del mero errore di stampa.
Avv. Danilo Conti
Continua