#Processopenale #depositotelematico #querela #nominadifensore #opposizione archiviazione
Ogni tanto qualche buona notizia nell’ambito del processo penale.
Dal 5 febbraio (Decreto Ristori) alcuni atti della fase delle indagini preliminari, potranno essere depositati telematicamente, ecco quelli rilevanti per gli avvocati: 1) atto di opposizione alla richiesta di archiviazione; 2) dichiarazione di querela proposta dai privati, anche se per mezzo di procuratore speciale; 4) nomina del difensore, rinuncia e revoca del mandato difensivo.
Le modalità di trasmissione telematica non sono chiare perché si rinvia al solito decreto attuativo, ma quasi sicuramente saranno come a quelli attualmente vigenti.
Qualche riflessione: A] quanto al deposito della querela è consigliabile che essa avvenga tramite un legale che ne autentica la firma. Giurisprudenza di merito infatti ha ritenuto non valida la querela proposta dal privato per impossibilità di certificarne la firma. B] Recente Cassazione (n. 25606/20), però, ha statuito che la Pec inviata da privati equivale ad un atto inviato per racc. a.r., facendo leva su quanto previsto dall’art. 337 cpp che prevede l’invio per posta previa autentica di firma del querelante.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaNON DISPORRE L’ESAME ISTOLOGICO INTEGRA IPOTESI DI COLPA MEDICA SE DAL MANCATO ESAME DIAGNOSTICO DERIVA UNA RIDUZIONE DELLE ASPETTATIVE DI VITA.
CASSAZIONE PENALE SEZ. IV, 16/09/2020, N.28294.
È stato contestato ad un medico responsabile di chirurgia generale e medico curante, di aver cagionato la morte di un paziente per carcinoma vescicale metastatico. Nella specie veniva contestato di avere omesso di praticare – in occasione di due interventi relativi a resezione di neoplasia vescicale e successiva cistoscopia – l’esame istologico sul materiale resecato, privando il paziente della possibilità di definire la natura della malattia, di codificare il necessario follow-up e di attuare i provvedimenti terapeutici più appropriati, così riducendo drasticamente le aspettative di vita del paziente che andava incontro a morte. Secondo giurisprudenza è “causa” di un evento “quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa)”. Con riguardo alla responsabilità professionale del medico secondo la giurisprudenza il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (ex multis Cass. pen. Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure volte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, quando risulti accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa (Cass. pen. Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013). La Cassazione ritiene che in materia di gravi malattie tumorali, l’anticipazione del decesso – comunque inevitabile – dovuto a errori diagnostici e/o a cure inadeguate, è circostanza che rientra nella tipicità del delitto di omicidio colposo, trattandosi di evento-morte a tutti gli effetti riconducibile alla condotta colposa del medico, il quale è sempre tenuto ad 2 apprestare una terapia adeguata alla malattia, al fine di curare e mantenere in vita il paziente per tutto il tempo consentito dalla migliore scienza ed esperienza medica. Dopo aver svolto le argomentazioni sopra riassunte la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata affinché venga stabilito se l’omissione addebitata al sanitario, in assenza di fattori causali alternativi, sia condizione dell’evento; con la precisazione che per evento del reato di omicidio colposo deve considerarsi anche l’anticipazione della morte determinata dalla condotta colposa del medico.
AVV. DANILO CONTI
ContinuaVARICOCELE SX DI TERZO GRADO E ART. 590 C.P. – IL CHIRURGO È RESPONSABILE DI LESIONI PERSONALI COLPOSE SE CON L’INTERVENTO HA DETERMINATO UNA PERFORAZIONE INTESTINALE CON CONSEGUENTE PERITONITE STERCORACEA DIFFUSA
Corte di Appello Ancona, 23/10/2020 n.1379. Il processo ha ad oggetto il reato di lesioni colpose a carico di un chirurgo e del medico di guardia responsabile del decorso post-operatorio perché, durante un intervento per varicocele sx di terzo grado, si determinava una lesione che esitava in una peritonite stercoracea diffusa.
➔ I FATTI. Nel corso del processo veniva sentito come teste un chirurgo, con 38 anni di esperienza e almeno cinquemila interventi per varicocele, il quale dichiarava di aver partecipato all’intervento chirurgico in aiuto all’imputato. Riferiva che: “… la finalità dell’intervento è quella di prendere le vene spermatiche, il taglio è un taglio trasverso inguinale alto, è un taglio estremamente piccolo – tre o quattro centimetri – che è una finestra estremamente precisa che cade esattamente a livello della vena, cioè la vena al di sotto e al di sopra di quelle finestre praticamente non si vede … la vena giace al di dietro della prima plica peritoneale che però è dell’intestino tenue … quindi si va là, si isola la vena, si prende con una pinza, si chiude a destra e a sinistra, si taglia al centro e si legano i due capi … per la legatura vien utilizzato un filo riassorbibile in 60-90 giorni…”. Tuttavia, il ragazzo dopo l’operazione accusava dolori alla parte bassa dell’addome e gli venne somministrato un antidolorifico da un’infermiera. Il ragazzo, dopo l’intervento e sino alle dimissioni, non venne visitato da alcun medico, ma ricevette solo l’antidolorifico dall’infermiera, gli venne detto anche che poteva riprendere a mangiare.
➔ L’OPINIONE DEI CTU. I ctu accertavano che alla persona offesa era stato diagnosticato un “varicocele sx III grado. Si richiede spermiogramma. Seguirà legatura del varicocele presso la Casa di Cura …”. L’intervento consisteva nella legatura retroperitoneale alta dei vasi spermatici: “… nell’intervento di Palomo, che richiede un’incisione sulla parete anteriore dell’addome, è necessario spostare il sacco peritoneale con il suo contenuto, in particolare il colon sinistro, per arrivare ai vasi spermatici … lo spostamento mediale del sacco peritoneale è una manovra facile. Raramente può risultare più indaginosa in presenza di aderenze … è eseguito con un tamponcino di garza montato su un ferro chirurgico o con uno strumento smusso”. Nelle successive 12 ore dopo l’intervento la persona offesa veniva trattata due volte con terapia antidolorifica per “dolore alla ferita”. Hanno ritenuto i CTU che se il dolore serale poteva essere interpretato come secondario al recente trauma della ferita, quello della mattina successiva avrebbe dovuto indurre una valutazione clinica più approfondita. Infatti, la TAC successivamente effettuata rivelava “la presenza di un aspetto pinzato del colon al passaggio discendente-sigma che mostra oltremodo una breve porzione stirata verso il canale inguinale: tali reperti potrebbero essere suggestivi per trauma iatrogeno del sigma con conseguente perforazione”. La lesione riscontrata (perforazione iatrogena del colon sin) veniva posta quale conseguenza diretta della peritonite fecale e veniva ascritta all’intervento effettuato dall’imputato.
➔ IL RITARDO DIAGNOSTICO. In aggiunta, veniva individuato un ritardo diagnostico di circa 10-12 ore: sebbene la persona offesa avesse riferito dolori durante la notte e lamentasse dolore alle ore 7, non risultava dalla cartella clinica alcun accertamento clinico-strumentale che valutasse la regolarità del post-operatorio (nella cartella era indicato: “dolore alla ferita chirurgica. Praticato antidolorifico. Dimesso”. La precocità della diagnosi avrebbe ridotto la gravità della peritonite ed avrebbe probabilmente permesso la chiusura diretta della perforazione, evitato la confezione della colostomia e reso non necessario il secondo intervento chirurgico di ricanalizzazione intestinale. 2 I ctu ritenevano che le cause erano riconducibili ad un errore tecnico provocato da una manovra chirurgica non adeguata in corso di intervento.
➔ IL DIRITTO. In tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Persiste pertanto la responsabilità anche del primo medico in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata (Cass. pen. n. 46824/2011).
➔ LA DECISIONE DELLA CORTE DI APPELLO. Il medico non avrebbe dovuto disporre le dimissioni il giorno stesso dell’intervento senza valutare il decorso clinico. In tal modo ha dimostrato di disinteressarsi del decorso post-operatorio. La condotta colposa del chirurgo, non consente di attribuire in via esclusiva al medico di guardia, successivamente intervenuto, la responsabilità delle lesioni. Conferma la sentenza di primo grado e ritiene responsabili del reato di lesioni colpose il chirurgo che ha cagionato la lesione ed il medico di guardia che non ha visitato il paziente.
AVV. DANILO CONTI
ContinuaIl laureato in medicina ha diritto ad accedere alla scuola di specializzazione anche in presenza di borse di studio “non intonse”.
Con l’ordinanza cautelare n. 3407/20 il Consiglio di Stato ha disposto l’immediata ammissione del ricorrente alla Scuola di specializzazione di Radiologia presso l’Università degli studi ove aveva fatto domanda.
Il ricorrente aveva partecipato alla procedura selettiva per l’accesso alla scuola di specializzazione collocandosi alla posizione n. 7243 con punti 92; senza tuttavia ottenere l’immatricolazione sebbene con DDG 859/2019 fossero state stanziate ben 8.920 borse.
Il Consiglio di Stato con l’ordinanza in esame ha ribadito il principio della tendenziale necessità di saturare le risorse disponibili e non ha ravvisato alcun divieto specifico di assegnare borse non “intonse”, né l’inutilizzabilità di quelle parzialmente ottenute, sancendo che è compito della P.A. recuperare dal rinunciatario, che goda per effetto del trasferimento d’una borsa intera, la parte della borsa ottenuta nella prima sede assegnatagli in tal modo ammettendo ulteriori specializzandi.
avv. Danilo Conti
Continua#risarcimento #reati violenti #normativa comunitaria
In mancanza di risarcimento, è lo Stato a dover indennizzare le vittime di reato violento.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 5321 del 2020, ha evidenziato che le vittime di reati violenti hanno diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, qualora risulti impossibile ottenere il risarcimento del danno da parte dell’autore dell’illecito.
Tale statuizione richiama l’inadempimento dell’Italia per il mancato recepimento della direttiva 2004/80/CE, che già dal 2005 prevedeva una tutela indennitaria a favore di tutte le vittime di reati violenti non risarcite dagli autori: inadempimento a cui è stato possibile porre rimedio con la Legge n. 122 del 2016 e con l’art. 1 del relativo decreto applicativo del 2019 e attraverso cui – mediante la pronuncia richiamata – il Tribunale di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pagare la somma di 50.000 euro in favore dei parenti di una vittima di omicidio.
Dott. Roberto Sciacchitano
Continua#Dlgs231/2001 #Messaallaprova #Inammissibilità #penalesocietario
La giurisprudenza di merito si orienta sempre di più nel ritenere inammissibile l’applicazione dell’istituto della messa alla prova alle società imputate ai sensi del dlgs 231/01.
Il GIP di Bologna con propria ordinanza del 10/12/20 ha ritenuto inapplicabile l’istituto della messa alla prova alla società indagata per il reato di induzione indebita. Per il Gip si tratta di una in compatibilità sostanziale e processuale, ritenuto che l’art. 464 quater cpp (che disciplina il suddetto istituto) è pensato per la persona fisica e non anche per le persone giuridiche. Secondo il Gip la valutazione che deve fare il giudice nel momento in cui ammette il reo alla messa alla prova è una valutazione sulla personalità del reo, in una prospettiva di un giudizio prognostico che propende favorevolmente sulla circostanza che quest’ultimo si asterrà dal porre in essere altre attività delittuose. La motivazione dell’ordinanza è chiara e asserisce che il programma di trattamento riguarda «le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonchè del suo nucleo familiare, e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale», in altri termini se l’imputato supera la prova ha diritto ad un’altra chance. Le prescrizioni del programma riabilitativo, infatti, tendono al reinserimento sociale del reo attraverso una attività di volontariato, oppure lo svolgimento di lavori socialmente utili, attività che cozzerebbero con un percorso applicabile in capo ad una società. Un ragionamento contrario porterebbe alla creazione di un istituto giurisprudenziale non previsto dalla legge e probabilmente contraria ad essa.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#arruolamento #tatuaggi
Nelle procedure di selezione per l’arruolamento nelle Forze armate i tatuaggi e le cicatrici determinano l’esclusione se ritenuti indice di alterazione della psiche.
Con sentenza n. 7621/2020, il Consiglio di Stato è ritornato sulla c.d. riserva in favore dell’amministrazione.
È compito dei singoli bandi di reclutamento indicare cosa determini una “lesione del decoro della funzione” ed in questi casi è compito delle apposite commissioni valutare l’idoneità psico – fisica dei candidati e le alterazioni volontarie permanenti dell’aspetto fisico.
Le valutazioni espresse dalle commissioni non possono essere sostituite dalle valutazioni del giudice amministrativo al quale è precluso decidere in sostituzione degli organi amministrativi a ciò preposti, tranne nei casi in cui la valutazione sia arbitraria o abnorme.
avv. Danilo Conti
Continua#penale #abusodufficio #323cp
Con la sentenza in commento la Cassazione ha chiarito l’esatta portata della recente riforma sul reato di abuso d’ufficio.
A seguito della riforma, infatti, integra il reato di cui all’art. 323 c.p. la condotta del Pubblico Ufficiale, realizzata in violazione di regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e rispetto alla quale non residuino margini di discrezionalità.
In tema di diritto urbanistico la violazione di un atto amministrativo generale come un piano urbanistico determina la violazione della normativa in materia urbanistica e costituisce a tutti gli effetti violazione di legge ai sensi dell’art. 323 c.p..
avv. Danilo Conti
Continua#AMMINISTRATORE DI FATTO #BANCAROTTA FRAUDOLENTA PATRIMONIALE #BANCAROTTA PREFERENZIALE
La Corte di Cassazione con la sentenza n° 34508/2020 affronta ancora una volta il tema legato alla figura dell’”amministratore di fatto” di una società di capitali. La sentenza in linea con il prevalente orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che la figura dell’”amministratore di fatto” può evincersi da “elementi logici – quali la successione nella carica a carattere meramente fittizio – e rappresentativi – quali la disponibilità e la consegna delle scritture contabili al curatore fallimentare”.
Il caso riguarda le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale addebitate all’ex amministratore, per Corte rimasto l’effettivo amministratore, il quale ha sapientemente distratto dalla cassa cospicuo contante effettuando pagamenti nei confronti della società controllante.
Non ha colto nel segno il ricorso dell’imputato\amministratore di fatto perché la S.C. nel ripercorrere il ragionamento svolto dai giudici di merito, rilevando l’inammissibilità di gran parte delle censure proposte (perché avevano come tema una rilettura di dati probatori non ammessa in sede di legittimità), non si è sottratta ad uno scrutinio della posizione dell’imputato relegato a vero amministratore della società. Tra gli elementi addotti dalla S.C. a sostegno di tale tesi vi è la consegna ad opera dell’imputato (ex amm.re) al curatore, di tutte le scritture contabili della fallita società.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#DichiarazioneFraudolenta #Art2_Dlgs74-00 #Presunzionitributarie #Riscontroelementiesterni #doloeventuale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 36915/2020 ha messo un importante punto fermo in relazione al reato di cui all’art. 2 del Dlgs 74/20 (dichiarazione fraudolenta), stabilendo che le “presunzioni tributarie” non assurgono a dignità di prova, bensì hanno efficacia in chiave indiziaria. Per assurgere a prova devono trovare riscontro in dati oggettivi esterni oppure in altre presunzioni gravi, precisi e concordanti. Il caso riguardava l’uso di fatture false ad opera di un imprenditore, per forniture (secondo l’accusa) mai effettuate. Il primo ed il secondo grado si chiudevano con una condanna dell’imprenditore che ricorreva in Cassazione. La Cassazione pur confermando la condanna stabiliva che le presunzioni tributarie possono costituire un elemento di libero convincimento per il giudice, ma nel caso in esame il riscontro esterno era costituito dal fatto che la società emittente la fattura non era abilitata ai servizi fatturati ed inoltre la stessa non è stata in grado di provare (foto, biglietti…) l’effettivo svolgimento dell’evento fatturato.
on. avv. Giuseppe Scozzari
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