#Giovaniavvocati #neolaureati #collaboratoristudio
Scozzari & Associati è alla ricerca di due neolaureati in Giurisprudenza, per la sede di Agrigento, da inserire nella propria organizzazione.
Requisiti richiesti: ottimo CV universitario con indicazione della tipologia di tesi; dimostrazione della assoluta disponibilità a lavorare in maniera intensa ed impegnata, anche attraverso spostamenti all’interno del territorio siciliano.
L’impegno richiesto riguarderà le materie del diritto penale tributario, societario, “collar white crime” ed ambientale, la cui formazione sarà a cura dello studio. La conoscenza della lingua inglese è titolo di preferenza.
Si procederà attraverso un colloquio iniziale, ed una breve prova scritta in una data successiva concordata.
La ricerca riveste il carattere di urgenza, con disponibilità immediata o a breve termine.
Gli interessati sono pregati di inviare al seguente indirizzo mail il proprio curriculum: info@scozzarieassociati.it
avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaINTERDITTIVE ANTIMAFIA. In aumento durante il lockdown. Un potere devastante che sfugge di fatto al controllo giurisdizionale. Auspicabile una riforma.
Nonostante il lockdown le Prefetture hanno emesso un numero maggiore di interdittive rispetto al 2019, con un trend di crescita di oltre il 25%.
L’obiettivo delle interdittive è ben noto ossia evitare l’infiltrazione illegale nell’economia legale. A volte però una interdittiva paradossalmente produce l’effetto opposto, ossia consegna all’economia illegale una azienda che con grande difficoltà cerca di rimanere legalmente in vita facendo i conti con contesti sociali ed urbani complicati.
Una azienda interdetta è una azienda morta, a cui viene negato ogni sorta di rapporto con lo Stato e le amministrazioni periferiche.
Spesso con estrema leggerezza le prefetture emettono interdittive sulla base di semplici illazioni, altro che indizi gravi precisi e concordanti, emergenti nelle relazioni superficiali delle forze di polizia.
Il dato oggettivo, peraltro, che emerge da una analisi delle decisioni giurisdizionali amministrative è che manca qualsiasi controllo giurisdizionale. I T.A.R. ed il Consiglio di Stato, infatti, raramente annullano una interdittiva, con il triste risultato che un provvedimento che ha effetti devastanti simili a quelli di una sentenza penale, viene gestito da una autorità amministrativa (Prefetto e forze di polizia), sfuggendo di fatto a qualsiasi controllo giurisdizionale.
Il tribunale di Palermo ha sollevato una corretta questione di legittimità costituzionale rigettata dalla Corte, anche se in quel provvedimento di rigetto vi sono delle opportune puntualizzazioni. Per Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali «È uno dei problemi cruciali del rapporto tra amministrazione della giustizia e sistema economico – dice – Ed ormai è un’emergenza. Il Consiglio di Stato respinge il 100% dei ricorsi».
La soluzione? Basterebbe giurisdizionalizzare il procedimento che porta all’interdittiva antimafia, circostanza che darebbe maggiori garanzie alle imprese.
#interdittive #antimafia #prefettura #lockdown #aumentointerdittive #nessuncontrollo #giurisdizionale
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#confisca #sequestro #nuovorientamento #cassazione #proporzionalità #peculato #truffaaggravata #contocointestato
Finalmente la Cassazione muta orientamento in merito alla sequestrabilità di un conto corrente cointestato.
Di estremo interesse la sentenza della VI sez. penale n. 25427-20, che accogliendo il ricorso di una indagata ha sancito che è illegittimo il sequestro finalizzato alla confisca di un conto corrente bancario se esso è cointestato a persona non indagata.
Tale orientamento supera un ingiusto ed eccessivo precedente orientamento, che consentiva il sequestro indiscriminato di conti correnti, anche quando ad esempio in esso vi erano somme di un terzo estraneo ai fatti.
Si tratta di una procedimento penale per fatto di peculato e truffa aggravata a carico di una dottoressa, che aveva un conto cointestato con il suo ex marito.
In sostanza i giudici di legittimità hanno ristretto il perimetro della misura cautelare a tutela di chi non ha avuto alcun ruolo nell’indagine.
La Cassazione precisa che a nulla serve la sola disponibilità ma «quanto piuttosto il fatto che il denaro sia causalmente riconducibile allo stesso indagato, provenga cioè da questi, perché solo ciò consente di affermare, in ragione della sua fungibilità, che quel bene sia profitto o prezzo del reato».
on. avv. Giuseppe Scozzari
#Art.595cp #reatipenali #diffamazioneaggravata #postsuisocial
Rischia una condanna per diffamazione aggravata chi pubblica un post offensivo e/o diffamatorio sulla propria bacheca Facebook.
Il Tribunale di Campobasso, con una recente sentenza, si è pronunciato sulla rilevanza penale dell’uso distorto dei social network. Ed infatti, con la sentenza n. 574/2019, ha affermato che l’utilizzazione della bacheca di Facebook per insultare l’ex partner costituisce reato di diffamazione aggravata ex art. 595 terzo comma cod. pen. punibile con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Il caso: un uomo sporgeva querela per diffamazione aggravata nei confronti della sua ex compagna, la quale aveva pubblicato un post su Facebook in cui lo accusava di “non passare un euro” al figlio ed in cui lo metteva a paragone con il nuovo compagno, che al contrario, si prendeva cura di un figlio non suo. Il post “incriminato” veniva, in brevissimo tempo, visionato da un numero imprecisato di utenti, ricevendo nel giro di qualche ora, numerosi “Mi piace”, commenti e diverse condivisioni, divenendo così virale.
Il giudice ha ritenuto penalmente responsabile l’imputata per il reato a lei ascritto, affermando che:
-le dichiarazioni della donna non fossero del tutto veritiere –l’ex partner, infatti, non aveva ottemperato solo alle ultime cinque mensilità dell’assegno di mantenimento- avendo peraltro interposto richiesta di assegnamento esclusivo del figlio presso di lui;
-il contenuto del post fosse effettivamente lesivo della reputazione dell’uomo, considerato che i social network, consentono visibilità e rapida diffusione di contenuti tra un gruppo di persone apprezzabile per composizione numerica.
La pronuncia del Tribunale di Campobasso, peraltro, è in linea con l’orientamento ormai consolidato in materia, secondo il quale: “l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione. La condotta di postare un commento sulla bacheca facebook realizza, pertanto, la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell’art. 595 c.p.” (Cfr. sent. Cass. n. 24431/2015).
La genericità della formulazione relativa al “mezzo di pubblicità” di cui all’art. 595 c.p. comma terzo è stata interpretata in senso estensivo e oggi, in cui i social network impazzano, include anche i post su Facebook, trattandosi di condotta “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.
L’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, terzo comma dell’art.595 c.p., trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando e aggravando, in tal modo, la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa.
Dott.ssa Daniela Cappello
ContinuaFoto dei figli minori sui social network: divieto di pubblicazione in assenza di consenso espresso, qualora sul punto esistano dissidi tra i genitori.
Il codice civile agli articoli 147 e 357 prescrive i doveri dei genitori nei confronti dei figli e impone ad ambedue l’obbligo di mantenerli, istruirli, educarli e assisterli. In queste norme rientra anche la corretta gestione dell’immagine dei minori sui social. In determinati casi, però, è possibile che questi doveri vengano compressi se in contrasto con il diritto alla privacy dei figli, anche se non ancora divenuti maggiorenni.
Il Tribunale di Chieti, con la sentenza n. 403/2020, oltre a dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto da una coppia, è intervenuto su una particolare tematica: la pubblicazione da parte dei genitori di fotografie dei propri figli minori sui social network. Il giudice ha dato rilevanza alla volontà del minore e ha statuito che sarà lui a decidere se e quando prestare il proprio consenso ai genitori riguardo la pubblicazione di proprie fotografie sui social.
Il caso: in una causa di divorzio veniva contestato, da parte di entrambi i genitori, la pubblicazione di fotografie “non opportune” del figlio minore sui rispettivi profili social e veniva chiesto al giudice di ordinarne la rimozione.
Il giudice di merito, nel pronunciare la sentenza, ha deciso di dar rilievo all’età del ragazzo, ritenendo quest’ultimo capace di autodeterminarsi, e ha ordinato “a entrambe le parti di astenersi da dette pubblicazioni in assenza di consenso esplicito del figlio (minore ma ormai entrato nel diciassettesimo anno d’età)”:
-in ossequio al D.lgs 101/2018, che ha recepito in Italia il Regolamento europeo sulla privacy, il cd. Gdpr (Ue 679/2016), che fissa a 14 anni la soglia minima per iscriversi a un social network senza il consenso dei genitori;
-e in linea con le ultime pronunce della Cassazione che ha definito come “grandi minori” i figli che, pur non avendo ancora raggiunto i 18 anni, hanno la facoltà di orientare le proprie scelte di vita.
La sentenza emessa dal Tribunale di Chieti potrebbe costituire un utile precedente nei casi, ad esempio, dei genitori che utilizzano nel loro smarthphone l’applicazione cd. parental control, per vigilare sugli spostamenti dei propri figli. Anche in questo caso, infatti, il figlio che abbia raggiunto almeno i 14 anni d’età potrà appellarsi alla propria capacità di autodeterminazione e al suo diritto alla privacy e ottenere l’inibizione dell’utilizzo dell’App da parte dei genitori, se ingiustificato.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#falsoideologico #consulentePM #sussitenza #processoambientale #polveri #acciaieria
Importantissima (e auspicata) sentenza della Corte di Cassazione (18/20 n.18521, che ha ritenuto sussistente il reato di falso ideologico commesso dal consulente tecnico del PM il quale, pur esprimendo un giudizio valutativo, si è discostato dai criteri approvati dalla comunità scientifica e dai dati tecnici ufficiali vigenti.
In altri termini il consulente tecnico del PM che si discosta dai parametri “normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi”, commette il reato di falso ideologico se con false attestazioni prive di valore scientifico se ne discosta in maniera arbitraria.
Il giudice in questo caso avrà l’obbligo di motivare adeguatamente la trasmissione degli atti alla procura, ponendo in evidenza la discrasia scientifica rilevante ai fini del decidere.
Il caso esaminato dalla S.C. riguarda la compatibilità delle polveri emesse da un impianto di sinterizzazione dell’acciaio, il consulente tecnico del PM nella propria consulenza se ne era discostato consapevolmente, sottacendo che i “congeneri” presenti erano scientificamente compatibili, perché caratterizzanti il processo di lavorazione.
Una sentenza che dovrà far riflettere i tanti consulenti tecnici al servizio dei PPMM.
on. avv. Giuseppe Scozzari
#Bancarottafraudolenta #bancarottapatrimoniale #bancarottadocumentale #obbligomotivazionecondanna #corteappelloBrescia #nullitasentenza
La Corte di Cassazione (sent. n.15427/20) ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Brescia (nota per l’altissima percentuale di conferme) perché ha ritenuto inidonea a supportare una condanna la motivazione in essa contenuta.
La S.C. tiene a precisare che nel caso di reati fallimentari l’obbligo motivazionale va ulteriormente salvaguardato, non potendo essere esaurito con il mero richiamo a formule di stile, perché in tal caso verrebbe violato il diritto di difesa.
La vicenda riguarda un imprenditore condannato in 1° e 2° grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale accertati nel corso di un fallimento. La Corte osserva che è onere del giudice di appello non frustrare le aspettative dell’appellante sussistendo un preciso obbligo di analitica motivazione rispetto alle censure mosse alla sentenza di 1° grado. In altri termini la sentenza di appello difettava di tassatività, circostanza che ha determinato una lesione irreversibile del diritto di difesa.
Si tratta di una importante sentenza, che ripristina un rigore troppo spesso ignorato dai giudici di appello.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua“Beyond any reasonable doubt” (B.A.R.D.) #Ragionevoledubbio #ricorsocassazione #ammissibilità\inammissibilità
Il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” entra nel nostro processo con la riforma del 2006 (L: n° 46), mutuato dal principio anglosassone del c.d. B.A.R.D. (acronimo inglese presente nel processo nordamericano).
La Cassazione con la sentenza n. 18313/20 ha chiarito i termini ed i contenuti del suddetto principio affermando che per l’applicazione di esso, bisogna distinguere a seconda che ci si trovi in sede di merito oppure di legittimità.
La S.C. ha chiarito che l’applicabilità di esso è consentita anche innanzi il giudice di legittimità, ma la censura mossa alla sentenza impugnata dovrà riguardare la assoluta carenza della tenuta logica della motivazione. In altri termini bisognerà dimostrare che sussiste una frattura decisiva del percorso logico argomentativo. Altro tema se la censura viene mossa in sede di merito, in questo caso oltre al vizio logico argomentativo, si potrà rilevare l’errata valutazione delle prove operata dal giudice di primo grado, sostenendo, sulla base delle evidenze difensive, che una valutazione alternativa di esse renderebbe logico e coerente il percorso motivazionale. Tale rilievo non è ammissibile in sede di legittimità.
La conseguenza è che la regola del “beyond any reasonable doubt” può essere proposta in Cassazione ma solo nei termini indicati.
In conclusione nel processo americano il giudice fa una raccomandazione alla giuria nel corso delle “instructions”.
Nel nostro processo il principio in esame, invece, trova il riferimento normativo nell’art. 27 comma 2 della Costituzione.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaRimborso Iva 78 mln. #rimborsoiva #operazioniinfragruppo #esteroitalia #evasioneimpostaregistro #sequestronullo
La Cassazione con la sentenza n. 20900/20 ha annullato il sequestro di 78 miln di € per rimborso IVA, disposto dal tribunale di Pescara nei confronti di una multinazionale italiana
La S.C. ha annullato per mancanza di motivazione, ma in realtà ha anche affrontato la questione di diritto posta dai ricorrenti.
Per il Tribunale di Pescara l’operazione intervenuta tra due società, una belga ed una italiana, facenti parte dello stesso gruppo, camuffava una cessione di ramo di azienda che andava sottoposta a tassazione di imposta di registro, che sarebbe in altri termini l’imposta, sempre secondo il tribunale, evasa.
La Cassazione nell’annullare il sequestro preventivo di oltre 78 milioni di euro a carico della multinazionale farmaceutica, ha ritenuto priva di motivazione l’ipotesi prospettata nel decreto di sequestro e nel rinviare al tribunale in diversa composizione, ha indicato un preciso percorso giuridico affermando che il nuovo riesame dovrà, da un lato “rivalutare” le tesi difensive dedotte con il primo ricorso; dall’altro verificare la sussistenza di ipotesi di reato riconducibile a fattispecie diversa rispetto a quella provvisoriamente contestata.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Art378cp #Infortunisullavoro #reatipenali
Corte di Cassazione penale n. 22253/20: risponde del reato di favoreggiamento il lavoratore che fornisce notizie mendaci all’Autorità sulla dinamica di un infortunio sul lavoro accaduto ad un collega. La paura del licenziamento non giustifica le false dichiarazioni.
L’art. 378 del codice penale disciplina il reato di “favoreggiamento personale” che si configura quando un soggetto aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti.
La Corte di Cassazione, VI sez. penale, con la sentenza n. 22253/20, ha confermato la condanna dei giudici di I e II grado per il reato ex art. 378 c.p. a carico di un lavoratore che aveva mentito alla Polizia Giudiziaria sulle modalità di un infortunio avvenuto sul posto di lavoro ad un collega.
In particolare, i giudici di merito ritenevano che l’imputato avesse reso dichiarazioni che avrebbero sviato le indagini che si svolgevano, per quel sinistro, nei confronti del datore di lavoro e del responsabile della sicurezza per l’ipotesi di reato di cui all’art. 590 c.p.
La difesa interponeva ricorso in Cassazione avverso la decisione dei giudici di primo e secondo grado per due ordini di motivi:
• Vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla ritenuta configurabilità del favoreggiamento contestato.
• Vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla ritenuta non configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384 c.p.
La difesa sottolineava che il lavoratore aveva il timore di eventuali ritorsioni da parte del datore di lavoro ed, inoltre, che non erano state considerate le dichiarazioni degli altri colleghi presenti sul cantiere i quali avrebbero riferito che l’imputato non si trovava nel luogo dove era avvenuto l’incidente.
La S. C. ritiene il ricorso inammissibile e ribadisce che il timore di un licenziamento “non risponde ad una concreta dimostrazione in punto di fatto ma ad una mera suggestione logica” dal momento che l’imputato non ha mai cambiato versione neppure quando, nel corso del giudizio, avrebbe potuto avvalersi del ricorso all’art.376 c.p., essendo stato peraltro licenziato da tempo.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua