Covid-19 e norme di sicurezza sul lavoro: Incorre nel reato ex art. 25 septies Dlgs. 231/2001 l’azienda che non fornisce strumenti di protezione idonei ai propri dipendenti sul posto di lavoro.
In questi tempi di pandemia, il tema della salute e sicurezza sul posto di lavoro assume un carattere centrale: non è mai stato più imperativo per piccole, medie e grandi aziende adoperare tutti gli accorgimenti e strumenti necessari non solo per la tutela della salute dei propri dipendenti, ma anche per scongiurare il rischio di condanne penali e/o amministrative per omissioni colpose in capo alle stesse.
La Corte di Cassazione, IV sez. pen., con sentenza n. 13575/2020, ha confermato la condanna per la S.p.a. al pagamento della sanzione amministrativa di euro trentamila per il reato ex art. 25-septies comma 3, D.lgs n.231/2001, ma ha annullato senza rinvio la sentenza emessa a carico dell’amministratore unico della S.p.a. per lesioni personali colpose, essendo il reato estinto per avvenuta prescrizione.
Il caso: un dipendente di un’azienda, con mansioni di attrezzista, si era ustionato durante una manovra che mirava a rimuovere il tappo di plastica, che si era formato su un iniettore, con l’ausilio di una bacchetta di rame senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica, ma dei guanti di cuoio dati in dotazione dall’azienda.
La Suprema Corte ha condannato la S.p.a. per due ordini di motivi:
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l’adozione di un modello organizzativo ritenuto insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi derivanti dalla rimozione della plastica. I guanti di cuoio o di gomma forniti dall’azienda proteggono dal rischio di taglio ma non dalle ustioni anzi, risultano pericolosi perché con il calore si incollano alle mani aumentando così la probabilità del verificarsi di eventi lesivi.
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il vantaggio economico ottenuto dal risparmio di spesa derivato sia dal mancato acquisto di dispositivi più efficaci di quelli in uso, sia nell’assenza di corsi di formazione, oltre che nel maggior guadagno dato da ritmi di produzione resi più veloci dall’assenza di misure stringenti sulla sicurezza.
Dunque, le aziende, per non incorrere nel reato di omicidio colposo o lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art.25- septies D.lgs. 231/2001), oltre a fornire adeguati dispositivi di protezione individuale, devono aggiornare il documento di valutazione dei rischi e informare nel dettaglio i propri dipendenti sui possibili rischi e pericoli e sulle modalità idonee per fronteggiarli.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#Stalking #Ammonimentodelquestore #Dirittoamministrativo
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2545/2020, è intervento chiarendo che, in materia di stalking, una delle misure attuabili per tutelare le vittime è l’ammonimento emesso dal Questore, un provvedimento da ritenersi sempre corretto e legittimo quando alla base c’è una situazione di violenza che induce la parte più debole a cambiare le proprie abitudini di vita.
La vicenda, oggetto della pronuncia, tratta di una relazione extraconiugale alla fine della quale l’uomo, non accettando la conclusione del rapporto, aveva messo in atto una condotta vessatoria nei confronti dell’amante, tale da determinare un mutamento delle sue abitudini di vita.
Il Questore di Milano emetteva il decreto di ammonimento.
Con tale provvedimento, il Questore, in base all’art. 8, comma, 1 del Dl n. 11/2009, invitava “lo stalker” a tenere una condotta conforme alla legge, avvertendolo che, in caso di reiterazione dei comportamenti persecutori censurati, la pena prevista per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. è aumentata e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da soggetto già ammonito.
Inoltre, il Questore, invitava l’uomo a recarsi presso il CIPM (Centro italiano per la promozione della mediazione) per prendere consapevolezza del disvalore penale delle azioni commesse.
A seguito del ricorso, il Tar censurava il giudizio del Questore ritenendo che, nel caso di specie, non erano ravvisabili quei comportamenti propri dello stalking e che non era stato neppure provato che il ricorrente si fosse reso responsabile di comportamenti a matrice violenta.
Ad avviso del Tar, peraltro, il questore de quo avrebbe dovuto sentire anche l’uomo, accusato di stalking, immediatamente dopo la ricezione della denuncia, dal momento che aveva sentito anche la madre e il marito della denunciante, in qualità di persone informate sui fatti.
Ricorrono in appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano ed il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado.
I giudici di Palazzo Spada, ai fini del decidere, hanno dato rilievo essenzialmente all’art. 8 Dl. n. 11 del 23 febbraio 2009, convertito con legge n. 38 del 23 aprile 2009, secondo cui: “fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore” (comma 1) e “il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni” (comma 2).
Il Consiglio di Stato nella sentenza in commento, dopo aver passato in rassegna la normativa amministrativa e penale ha ritenuto legittimo il decreto di ammonimento emesso dal Questore respingendo il ricorso introduttivo del primo grado.
Dunque, per i giudici amministrativi, l’ammonimento del Questore è un provvedimento da ritenersi corretto e legittimo quando alla base c’è una situazione di violenza che induce la parte più debole a cambiare le proprie abitudini di vita.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#Covid19 #231imprese #nuovemisure #rischioreati #bestpractice
Il lockdown a causa del Coronavirus comporterà per le aziende una ripresa in un mondo tutto nuovo, soprattutto dal punto di vista della tutela della salute dei lavoratori.
Del tema se ne è occupato il Consiglio nazionale dell’Ordine dei commercialisti che ha qualificato il rischio da Covid-19 come “rischio d’impresa”.
Qualche indicazione per evitare che una omissione colposa possa dar vita ad un procedimento penale per lesioni colpose (gravi o gravissime) o per omicidio colposo:
1) gli organi di controllo societari dovranno monitorare l’adeguamento degli strumenti di sicurezza alle esigenze imposte dalla pandemia;
2) mappatura dei nuovi rischi sanitari aziendali e pieno coordinamento dei medici aziendali con gli addetti al primo soccorso e alla gestione delle emergenze;
3) adeguamento dei protocolli di gestione dei rischi da reato previsti dal decreto 231/01;
4) verifica idoneità delle misure di prevenzione relativa ai reati associativi e societari che potrebbero con “virulenza” manifestarsi a causa della crisi che ha attanagliato le imprese;
5) valorizzazione del ruolo degli Organi di Vigilanza (OdV) i quali devono verificare la coerenza ed efficacia delle misure adottate con i DPCM e le “best practice” di settore.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Dirittopenale #Esercizioabusivodellaprofessione #ConsulenteTributario
L’art. 348 c.p. disciplina il reato di “esercizio abusivo di una professione” che si configura quando un soggetto svolge, senza averne i requisiti, qualcuna delle professioni che godono di riserve professionali ex lege.
Con la recente sentenza n.12282 /2020, VI sez. pen., depositata il 20 aprile scorso, la Suprema Corte ha confermato la condanna per il reato ex art. 348 c.p., sottolineando che il mancato utilizzo del titolo di commercialista in fattura ed anche la consapevolezza dei clienti circa la mancanza di abilitazione professionale non escludono il reato se le prestazioni invadono concretamente la sfera riservata agli iscritti all’Albo.
In particolare, nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione la ricorrente, non abilitata all’esercizio della professione di commercialista, era stata condannata in primo e secondo grado a causa delle diverse attività che la consulente svolgeva per due società: tenuta della contabilità, redazione delle dichiarazioni fiscali, predisposizione dei modelli per l’effettuazione dei pagamenti delle imposte, gestione dei dati contabili e fiscali, controllo e verificazione delle imposte patrimoniali ed economiche e, infine, anche un compito di rappresentanza nei rapporti con Equitalia e Agenzia delle Entrate mediante prestazione di assistenza fiscale e tributaria.
Ebbene la Corte, nel respingere la tesi difensiva, ha specificato che integra il reato de quo “il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva ad una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela”.
La Corte ha inoltre sottolineato che l’esplicitazione della mancanza di abilitazione e l’indicazione in fattura che si trattava di compenso per prestazioni di “consulenza di direzione-legale rappresentante iscritto all’Ancot”, non erano tali da poter configurare la scriminante del consenso del singolo destinatario della prestazione abusiva perché l’interesse protetto dalla norma si pone su un piano generale ed oggettivo che esula dai singoli rapporti interpersonali.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#BancarottaFraudolenta #FalsaFatturazione #continuazione #sussistenza #frodicarosello
La Corte di Cassazione (sez. III) con la sentenza 12632/2020 ha ribadito che può sussistere l’ipotesi della continuazione tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di falsa fatturazione.
La Corte di Appello aveva condannato l’imputato motivando la (1) diversità strutturale delle due norme, (2) la mancanza di contiguità temporale tra le diverse condotte e (3) l’assenza di unicità del disegno criminoso.
Relativamente al primo motivo la S.C. osserva l’art. 81 c.p. prevede l’ipotesi di continuazione tra reati diversi. Quanto al secondo e terzo motivo la S.C. osserva che proprio le operazioni inesistenti sono state il presupposto che ha determinato la bancarotta societaria.
Precisa la Cassazione che le operazioni dolose di acquisto di auto estere esenti da iva, la vendita sottocosto delle stesse auto con conseguente emissione di false fatture, l’avere ideato una serie di frodi c.d. carosello, costituiscono quell’unicità del disegno criminoso che integra perfettamente l’ipotesi di continuazione tra reati.
Per queste ragioni la S.C. ha annullato la sentenza della Corte territoriale limitatamente al mancato riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p..
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#DannoParentale: non è necessario il “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”.
La Corte di Cassazione, III sez. civ., con la sentenza n. 7748/20, è intervenuta su un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, ossia il danno parentale, chiarendo che ai fini della sua risarcibilità non è richiesto necessariamente che vi sia un totale stravolgimento delle abitudini di vita dei parenti. La lesione della persona di taluno, infatti, può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale), sia una perdita vera e propria di salute (danno biologico), come un’incidenza sulle abitudini di vita.
La vicenda, oggetto della pronuncia, riguarda il caso di un incidente stradale tra un’auto (colpa al 70%) e un motorino (colpa al 30%) con il decesso del guidatore di quest’ultimo.
I giudici di merito non avevano riconosciuto ai parenti della vittima il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ritenendolo sussistente ed ipotizzabile solo in presenza di una sofferenza che si fosse tradotta in uno “sconvolgimento dell’esistenza” rivelato da “drastici cambiamenti dello stile di vita” all’interno del nucleo familiare.
La Suprema Corte è intervenuta ribaltando la decisione dei giudici di merito, statuendo che le gravissime lesioni permanenti riportate da un soggetto in seguito ad un incidente, legittimano la richiesta dei genitori e dei fratelli al risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale, cd. parentale; danno, diretto e non riflesso, che deve ritenersi sussistente proprio in virtù del rapporto di parentela che fa presumere che genitori e fratelli soffrano per le lesioni del congiunto senza che ci sia bisogno che queste sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#Traffico di influenze illecite #art 346 bis cp #legittimo sequestro PC
La Suprema Corte con la sent. n. 12094/20 ha ritenuto legittimo il sequestro operato del PM nei confronti dell’ex presidente della Fondazione Open, indagato per il reato di cui all’art. 346 Bic c.p. (traffico di influenze).
Il ricorso della difesa mirava a far dichiarare nullo il sequestro perché sproporzionato e non mirato ai temi centrali dell’indagine.
Per contro la S.C. ha ritenuto legittimo il sequestro perché operato su “prove” informatiche connesse alle accuse soprattutto in relazioni a “strani” passaggi di denaro, di presunta provenienza illecita, tra l’ex presidente ed una fondazione.
Secondo i giudici di legittimità il sequestro riguarda sia il corpo del reato, sia cose pertinenti al reato, peraltro, la Procura procedente ha indicato percorsi e tempistiche tali da non arrecare alcun disagio all’indagato, contingentando i tempi del sequestro, delle copie forensi e della restituzione degli strumenti informatici all’avente diritto.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Bancarotta fraudolenta documentale #Scritture contabili #notevole lasso di tempo #inconfigurabilità reato
La Corte di Cassazione con la sent. n.8429/20 afferma un principio di diritto di estremo interesse ossia: non può essere riconosciuta la responsabilità penale per il reato di bancarotta fraudolenta documentale all’amministratore se questi dimostra l’impossibilità oggettiva del reperimento delle scritture contabili.
La S.C. pone a fondamento della decisione la mancanza del presupposto previsto dalla norma con riferimento all’elemento psicologico ed alla condotta materiale. Questa consiste nella volontaria condotta dell’amministratore, il quale priva i creditori sociali dei documenti necessari per ricostruire i movimenti finanziari che hanno portato al fallimento della società. In altri termini se l’imputato dimostra che il mancato reperimento dei documenti non è a lui imputabile, ma al notevole lasso di tempo trascorso, questi non può essere condannato perché mancherebbe oltre alla condotta materiale, anche l’elemento psicologico del dolo.
Si tratta di una sentenza coraggiosa coerente con i patologici tempi dei processi penali, soprattutto quelli relativi ai reati societari, spesso impantanati in una miriade di consulenze e perizie che ne appesantiscono oltremodo lo svolgimento.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Rito Abbreviato Condizionato #Divieto Di Modifica Imputazione #Sezioni Unite
Con la sentenza n. 5788/2020 le Sezioni Unite sono intervenute per chiarire e limitare l’ambito di operatività della legge 479/1999 che ha introdotto nell’ordinamento la possibilità di esperire ulteriori attività istruttorie nel giudizio abbreviato.
Il rito premiale ex artt. 438 c.p.p. e seguenti (giudizio abbreviato) viene richiesto ed attivato dall’imputato e si svolge “allo stato degli atti” ovvero sulla base dell’attività di indagine espletata fino al momento della chiusura delle indagini preliminari; pertanto l’imputato risponde dell’imputazione cristallizzata sull’indagine fino a quel momento svolta. Deroghe a tale corollario sono costituite dall’art. 438 comma 5 c.p.p. (l’imputato chiede di acquisite ulteriori prove e subordina la richiesta del rito all’acquisizione delle suddette prove, configurandosi nel caso il cosiddetto “rito abbreviato condizionato”) e dall’art. 441 comma 5 c.p.p. (il giudice quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume d’ufficio gli elementi necessari per la decisione).
Alle Sezioni Unite veniva chiesto se nel giudizio abbreviato condizionato il Pubblico Ministero poteva formulare contestazioni suppletive fondate su fatti non emersi dalle attività istruttorie richieste dalla parte (ex art. 438 comma 5 c.p.p) o dal giudice (ex art. 441 comma 5 c.p.p.p), ma già conosciute al momento della chiusura delle indagini preliminari, ma non contenute né contestate nell’imputazione, per la quale l’imputato chiedeva di accedere al rito alternativo.
Le Sezioni Unite, richiamando diverse pronunce della Cassazione, si soffermano soprattutto sull’art. 441 comma 1 c.p.p., il quale prevede che si osservano in quanto applicabili le disposizioni previste per l’udienza preliminare, nonché sulla visione logico-sistematica dell’istituto processuale del giudizio abbreviato.
Seguendo il ragionamento delle Sezioni Unite: se da un lato l’imputazione può essere modificata dal Pubblico Ministero durante l’udienza preliminare dall’altro si riconosce la valenza del sistema premiale previsto dall’art. 441, comma 1 c.p.p. che deve svolgersi “allo stato degli atti”, distinguendolo dalle disposizioni dettate per l’udienza preliminare in quanto applicabili al rito abbreviato, con la conseguente impossibilità per il Pubblico Ministero di modificare l’imputazione originariamente mossa e nota all’imputato nel momento in cui questi ha formulato la propria richiesta di ammissione al rito alternativo.
Come detto unica deroga logico-sistematica alla modifica dell’imputazione e della contestazione nel rito abbreviato è permessa qualora il fatto o la circostanza emerga per la prima volta dall’attività istruttoria richiesta dalla parte o dal giudice con la conseguenza dell’impossibilità di contestare circostanze già note in precedenza.
Nel caso concreto la Suprema Corte di Cassazione, originariamente investita della questione poi rimessa alle Sezioni Unite, era stata chiamata ad esaminare un caso nel quale il Pubblico Ministero aveva operato una contestazione in via suppletiva di alcune aggravanti per un omicidio all’esito delle attività istruttorie richieste in sede di giudizio abbreviato condizionato, ma per fatti non correlati alle disposte acquisizioni probatorie e agli esiti di questi ultimi.
Le Sezioni Unite con l’odierna sentenza hanno armonizzato i principi sopra illustrati, mantenendo ferme le garanzie processuali e le premialità del rito abbreviato che resta un giudizio “allo stato degli atti” ma precisando che la modifica dell’imputazione può avvenire soltanto per i fatti o le circostanze emergenti dagli esiti e dai limiti dell’attività di integrazione probatoria richiesta dall’imputato o dal giudice e non da fatti o circostanze già note e non contestate, prima della richiesta del giudizio abbreviato.
Dott. Biagio Cimò
Continua#Indagine #Epimediologica #nessodicausalità #insufficienza #polochimico
Condotta commissiva\omissiva\evento. Presupposti fondamentali per la ricerca di una condotta penalmente rilevante nell’ambito di determinati reati.
Una semplice rilevazione epidemiologica, è sufficiente per imbastire un processo? Ce lo siamo chiesti tante volte, le stesse volte abbiamo sottoposto ai PPMM tale problema sostenendo l’insufficienza di una semplice indagine, per impossibilità dell’accertamento del nesso di causalità.
Il GUP di Taranto (dott.ssa Romano), interviene sul tema con una pronuncia che farà discutere, non accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio per i manager e due medici dell’ex ILVA.
Per il Gup sui medici non può gravare una posizione di garanzia di tipo organizzativo; per i manager non ritiene sufficiente né idonea a determinare un processo una semplice indagine epidemiologica.
Il GUP non accoglie le tesi del CT del PM, per mancanza di un chiaro consenso scientifico sulla tesi della “dose-risposta”, mentre altra storia è la teoria della “dose-killer” che una volta inalata determinerà l’insorgenza della patologia.
Ma per il GUP è sempre necessario in questi casi circoscrivere il momento di innesco del nesso causale, che non può avvenire con una semplice indagine epidemiologia.
on. avv. Giuseppe Scozzari
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