SEPARAZIONE: BASTANO LE FOTO CHE FANNO PRESUMERE IL TRADIMENTO PER GIUSTIFICARE LA PRONUNCIA DI ADDEBITO
Con la sentenza n. 4899/2020 la Corte di Cassazione ha confermato le sentenze di merito del Tribunale e della Corte di Appello di Roma che avevano pronunciato una separazione con addebito a carico del coniuge sulla base delle produzioni fotografiche che lo ritraevano in atteggiamenti intimi con l’amante.
La detta sentenza è degna di nota perché, da un lato, esprime il principio della piena utilizzabilità nell’ambito del procedimento di separazione delle produzioni fotografiche della parte che richiede l’addebito; dall’altro lato, afferma che la prova del tradimento può essere ritenuta sussistente anche ricorrendo al meccanismo delle presunzioni.
Ed infatti nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, il tradimento è stato ritenuto sussistente sulla base delle risultanze probatorie emergenti dalle produzioni fotografiche che, secondo la valutazione dei giudici di merito, ritraendo l’uomo in atteggiamento di intimità con una donna che secondo la comune esperienza portava a presumere l’esistenza tra i due di una relazione extraconiugale, erano dimostrative della violazione del dovere di fedeltà coniugale.
La decisione in commento sembra allargare un po’ le maglie in materia di prova della relazione extraconiugale e si distingue da un orientamento giurisprudenziale più rigoroso che richiede, invero, la prova della certezza del tradimento. In tal senso, si veda la sentenza n. 2060/2019 della Corte di Appello de L’Aquila con la quale è stata rigettata la richiesta di addebito in quanto, pur in presenza di una foto cd. “selfie” che ritraeva la moglie sul letto con un altro uomo a dorso nudo, non è stata ritenuta provata l’infedeltà in quanto, a detta dei giudici, non emergeva un atteggiamento intimo tale da far ritenere l’effettiva sussistenza di una relazione extraconiugale.
Avv. Angelo Sutera
Continua#confiscabeni hashtag # confiscaperequivalente hashtag # naturapenale
La Suprema Corte con una recente pronuncia conferma l’indirizzo ormai prevalente in tema di “confisca per equivalente”. Con la sentenza n° 10649/2020 dello scorso marzo, nel ribadire che la confisca è si una misura di sirena patrimoniale essa non può che avere natura giuridica squisitamente penale e per tale ragione deve sottostare ai principi di tassatività e determinate tipici del nostro ordinamento. Quindi il giudice penale che dispone la confisca per equivalente “deve determinare la somma di denaro costituente il prezzo, il prodotto o il profitto/vantaggio effettivamente ottenuti dall’attività illecita”. In caso contrario, come spesso avveniva nel passato, la pena è illegittima è va annullata (Conforme Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza 11 settembre 2019 n. 37590).
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaNessun peculato se la somma trattenuta è esigua. #Peculato #Intramoenia #MedicoOspedaliero
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11003/20 ha statuito che non c’è peculato nella condotta del medico che non versa nelle casse dell’Azienda sanitaria una somma esigua rispetto all’attività dallo stesso svolta in intramoenia.
La S.C. ritiene penalmente non censurabile la condotta del medico perché mancante dell’elemento psicologico del dolo.
Infatti il medico ginecologo tratto a giudizio è stato condannato perché non aveva versato nelle casse dell’Azienda sanitaria gli importi relativi a soli «… tre casi, a fronte di circa seicento interventi», per una somma totale pari a circa € 300. Si tratterebbe di interventi effettuati e non fatturati.
Il medico ha proposto ricorso fondando le proprie ragioni sulla mancanza dell’elemento soggettivo del dolo, considerato che i tre omessi versamenti corrisponderebbero allo 0,50% del totale degli interventi negli ultimi tre anni, ritenendo tale omissione come condotta di “mera negligenza”.
La S.C., accogliendo il ricorso con rinvio, ha ritenuto che «in termini percentuali l’omissione corrisponderebbe, ad una misura quasi insignificante dei casi complessivamente trattati», tenuto conto anche dell’occasionalità della condotta stessa.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCoronavirus: D.L. 19-20
§ 0. Brevi note per i cittadini, le attività commerciali e le istituzioni locali.
Dal 26 marzo 2020 è in vigore nel nostro Paese il nuovo decreto legge (n.19) che disciplina le misure di contenimento del COVID-19.
Questo decreto legge ha un merito, ossia quello di sanare le molte falle sul fronte del principio di legalità, in cui erano incorsi soprattutto i DPCM (decreti del Presidente del Consiglio).
Non è il momento di fare polemiche e non ne abbiamo fatte, ma era inconcepibile che una serie di DPCM (che assurgono a fonte regolamentare la penultima nella scala delle fonti a seguire troviamo gli usi e le consuetudini), incidessero in maniera preponderante su principi e valori (tra tutti la libertà personale ed il libero esercizio dell’attività di impresa) tutelati dalla Costituzione oltre che dalle leggi ordinarie.
Ma vediamo cosa cambia in concreto con l’entrata in vigore del nuovo decreto, che avrà efficacia fino al 31 luglio 2020, data indicata in via molto cautelativa dal Governo, quale probabile data del cessato allarme COVID.
§ 1. Non più conseguenze penali, ma sanzioni amministrative,
per chi non ottempera alle ordinanze.
Le precedenti sanzioni da penali, per le medesime condotte indicate nei DPCM e nel D.L. n. 6/20, diventano quasi tutte amministrative, in altri termini fedina penale quasi salva, un po’ meno il portafogli. Nel D.L. ovviamente viene utilizzata la formula residuale “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, ciò significa che se un soggetto sa di essere positivo al virus e se ne va in giro a contagiare altre persone volontariamente o colposamente, non potrà invocare a suo favore l’applicazione della sanzione amministrativa, perché in questi casi ne risponderà penalmente.
L’art. 4 del D.L. 19/20 statuisce che il mancato rispetto delle misure di contenimento (leggasi ordinanze di vario titolo e grado) sarà punito in alcuni casi con la sanzione amministrativa, che va da un minimo di 400 euro ad un massimo di 3.000 euro, mentre in altri casi rimane condotta penalmente rilevante . Ma andiamo con ordine:
- La prima ipotesi riguarda soggetti che non sanno di essere positivi e decidono deliberatamente o colposamente di violare le ordinanze (nazionali, regionali o comunali), questi rischiano una sanzione amministrativa, applicata dal Prefetto, che va euro 400 ad euro 3000, salvo che non commetta la violazione a bordo di auto o motociclo, in questi casi la sanzione dovrà essere aumentata fino ad un terzo; è stato eliminato il riferimento all’applicabilità degli artt. 650 c.p. e 260 T.U. leggi sanitarie.
- La seconda ipotesi riguarda gli esercizi e le attività produttive e commerciali, questi infatti, in caso di violazione dei provvedimenti amministrativi, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria (€ 400\5000), rischiano di vedersi chiuso l’esercizio commerciale e\o l’attività per un periodo che va da cinque a trenta giorni. Se il titolare dell’esercizio commerciale reitera la condotta rischia di vedersi applicata la sanzione della chiusura nella misura massima.
§ 2. Quando la condotta diventa reato?
Ovviamente non tutto può essere ricondotto nell’alveo della sanzioni amministrative, ci sono condotte che per forza di cose sfuggono alla legge amministrativa e rientrano in quella penale, si tratta di condotte estremamente gravi che il legislatore ha, ovviamente, voluto mantenere tali e punirli con la legge penale.
In sintesi:
- La prima ipotesi penalmente rilevante, riguarda soggetti risultati positivi al virus che deliberatamente decidono di violare la quarantena. In questi casi i contravventori rischiano da tre a diciotto mesi di arresto e l’ammenda che va da un minimo di euro 500 ad un massimo di euro 5.000. Il D.L. in esame, infatti, nel richiamare l’art. 260 T.U. leggi sanitarie, si è preoccupato di modificare la precedente sanzione che prevedeva sanzioni non più attuali e pregnanti.
- Seconda ipotesi: l’art. 4 co. 6 del D.L. in esame prevede, inoltre, il caso di epidemia colposa, ossia quando un soggetto sapendo di essere positivo al virus viola le misure di contenimento; in questi casi rischia da uno a cinque anni di reclusione (art. 452 c.p. ”Epidemia colposa”).
- Terza ipotesi: gli stessi fatti di cui al punto 2) se commessi con dolo, ossia con coscienza e volontà, sono riconducibili alla ipotesi di ”Epidemia dolosa” (art. 438 c.p.), anche nella forma del dolo eventuale, ipotesi realistica, considerato che è sufficiente l’accettazione esplicita del rischio di contagiare altre persone. In questi casi la pena è dell’ergastolo.
§ 3. Rapporto Stato/Regioni/Comuni.
Grandissima confusione si è ingenerata nel corso di questi tumultuosi mesi tra le istituzioni locali, regionali e centrali.
Spesso i presidenti delle regioni presi da ansia da prestazione o da vere preoccupazioni, hanno emesso provvedimenti di contenimento estremamente restrittivi, distonici rispetto a quelli statali ed a quelli delle altre regioni.
Se a tutto ciò si aggiungono i provvedimenti di sindaci interventisti e\o iper-protagonisti, ne viene fuori un quadro normativo-regolamentare da rabbrividire in termini di omogeneità e coerenza giuridica.
Il D.L. in commento cerca di mettere ordine disciplinando tali aspetti ed interdicendo potestà autonome contrastanti con quelle statali.
Ecco cosa prevede il D.L.:
- REGIONI. Potere intertemporale delle Regioni di emettere ordinanze a tutela della salus pubblica. In altri termini le Regioni, nella vacatio delle ordinanze governative, se dovessero registrare situazioni di aggravamento del contagio potranno emettere ordinanze restrittive delle misure di attenuazione del contagio stesso. Le suddette ordinanze avranno una efficacia limitata fino alla emissione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, non potranno incidere nelle attività produttive né di quelle a rilevanza strategica nazionale. Quindi è stato messo un freno all’orda regolatrice delle regioni. In poche parole se il Presidente del Consiglio dei Ministri dovesse decidere che i supermercati dovranno rimanere aperti nei week end, nessun presidente di regione potrà emettere una ordinanza in contrasto.
- COMUNI: regulation ai sindaci! Questi non potranno adottare ordinanze in contrasto con le misure statali né potranno adottare ordinanze che vadano oltre le materie tracciate dal D.L. in esame. In caso contrario le ordinanze dovranno essere ritenute devono inefficaci.
§ 4. Breve chiosa giuridica.
Siamo in uno stato di gravissima emergenza sanitaria e certamente non si va per il sottile né tanto meno si vogliono fare raffinate disquisizioni giuridiche, ma qualche problema giuridico esiste e probabilmente verrà fuori quando tutto questo sarà terminato ed i nodi (rectius: provvedimenti dei Prefetti) verranno al pettine.
Il D.L. in commento cancella di fatto gli emittendi decreti penali di condanna derivanti dalle migliaia di contestazioni che in questi giorni sono state elevate dalle forze di polizia. Lo fa badando alla sostanza nel senso che, con una alchimia giuridica, quelle “multe” elevate in precedenza al D.L. del 25.03.20 si trasformeranno in sanzione amministrativa, la cui somma non deve andare oltre € 200,00. Così facendo il Governo ha aggirato due problemi che avrebbero potuto nascere:
- il primo riguarda il principio della riserva di legge. Una condotta che integra il reato non può essere depenalizzata, viene depenalizzata la norma che la prevede. Il D.L. del 6.02.20 prevedeva il reato di violazione delle disposizioni date per ragioni di sanità pubblica e rinviava per la pena all’art. 650 c.p.. Con il D.L. in commento il governo ha evitato un pastrocchio giuridico, depenalizzando con norma di pari rango (legge ordinaria) un precedente reato previsto dal D.L. del 6.02.20, pericolo scampato!!!
- Il secondo problema era ugualmente serio perché si rischiava di violare una norma costituzionale ossia l’art. 3 della Costituzione! In che senso: pensate cosa sarebbe successo se il governo non avesse ridotto al minimo del minimo le sanzioni precedentemente elevate dalle forze di polizia. Ci saremmo trovati innanzi la violazione del principio di uguaglianza tra: cittadini che avevano commesso la stessa identica condotta prima e quelli che l’avrebbero commesso dopo l’approvazione del D.L. del 25.03.20. Anche in questo caso il Governo è stato attento a non intaccare diritti tutelati dalla Costituzione.
*****
Cosa c’è da augurarsi? C’è da augurarsi che in primo luogo cessi questo dramma mondiale ed in secondo luogo che venga meno, grazie all’azione responsabile dei cittadini, questa confusa, contraddittoria e selvaggia consecuzione di provvedimenti che oltre a determinare sconforto nei cittadini ne determina uno stato di perenne angoscia, su ciò che è lecito e ciò che non lo è!!
Una cosa è certa: se si sta a casa tutto è lecito, non sempre è facile soprattutto quando di mezzo ci sono i bisogni essenziali dell’essere umano.
Palermo\Agrigento lì 10 marzo 2020
Scozzari e Associati
Continua#Bancarottaperdistrazione #Incorporantefallita
Con la sent. n. 9398/20 la Corte di Cassazione si occupa di una vicenda societaria che ha visto la fusione per incorporazione due società, ritenendo sussistente il reato di bancarotta per distrazione anche per la società incorporata, in quanto sarebbe stata dimostrata (ex ante) la pericolosità dell’operazione di fusione posta in essere dall’incorporante successivamente fallita.
La S.C. considera elemento centrale del reato l’elemento psicologico, considerato che il reato di bancarotta per distrazione è un reato di pericolo concreto, con dolo generico in cui è sufficiente «la consapevole volontà di conferire al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte».
Per la Corte non è necessaria nè la volontà di provocare il fallimento nè lo scopo di provocare un pregiudizio ai creditori.
Secondo la Corte il fallimento della incorporante pone tutti gli atti di amministrazione sul un piano valutativo sensibile perché ogni atto può avere determinato un pregiudizio ai creditori.
La S.C., in conclusione, ritiene che le operazioni rischiose, nel caso in esame l’assunzione di un rilevante debito fiscale, sono sufficienti ad integrare il reato di bancarotta per distrazione.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDECRETO PENALE DI CONDANNA? OBLAZIONE? CASELLARIO PENALE COMPROMESSO? Tanti tecnicismi che confondono il cittadino comune. ecco cosa significano e cosa fare.
Stiamo vivendo un periodo molto particolare.
Se da un lato viviamo ore di grande sconforto per l’epidemia che sta attanagliando il nostro paese, la nostra professione ci impone di stimolare un’attenta riflessione anche su altri aspetti.
Ci riferiamo, in particolare, alle conseguenze penali che possono derivare da un nostro agire sconsiderato.
È noto a tutti, ciò che maggiormente sta caratterizzando questo periodo, oltre la malattia è chiaro, è la sensibile compressione dei diritti fondamentali della persona come la libertà personale. Occorre quindi considerare le conseguenze penali che potremmo subire qualora violassimo le disposizioni governative.
Molto spesso sentiamo dire che, se fermati ad un posto di controllo, ci sarà comminata una multa. Falso.
Nessuna multa ci sarà comminata, molto peggio; avremo commesso uno o più reati che potremmo portarci dietro per il resto della nostra vita.
Nella migliore delle ipotesi ci sarà contestato l’art. 650 c.p. – “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, reato contravvenzionale che, spesso, segue l’iter del Decreto penale di condanna.
Si, di condanna.
Un decreto penale di condanna è uno strumento processuale con il quale vengono trattati alcuni reati, per dirla in breve i reati meno gravi, che sono puniti per lo più con sanzioni pecuniarie.
È uno strumento rapido ma anche “subdolo”.
Subdolo perché rischia di lasciare il povero indagato, rectius condannato, nella (erronea) convinzione di non aver commesso nulla di particolare e anche a causa della sospensione della pena, sovente disposta, rischia di lasciare il neo condannato nella convinzione che lo Stato gli abbia riservato nulla di più che una reprimenda.
Non è così.
Il decreto penale di condanna, sebbene caratterizzato da alcuni effetti premiali, rimane ugualmente una condanna che potrebbe avere delle conseguenze con riferimento – è solo un esempio – alla “condotta irreprensibile” richiesta per i più importanti concorsi pubblici.
È chiaro che in ogni caso il decreto penale, sussistendone i presupposti, debba essere impugnato – rectius opposto – cosi determinando l’instaurarsi di un processo penale che potrà concludersi con una assoluzione o con una condanna.
Insomma, una possibilità su due di essere condannati se non si è in presenza di una valida ragione per essere in giro per le strade in questo periodo di “coprifuoco”.
Si osserva, inoltre, che solo alcuni dei reati contestabili possono essere estinti mediante oblazione, ovvero quell’istituto del diritto penale che consente di estinguere i reati contravvenzionali mediante il pagamento di una somma di denaro.
Lo studio Scozzari e Associati ha già più volte raccomandato di restare a casa e di uscire esclusivamente per lo stretto necessario cercando così, da un lato di limitare quanto più possibile il contagio e, dall’altro lato, di evitare di portare a casa una possibile condanna penale che potrà stravolgere la vostra vita futura.
Abbiamo già affrontato le conseguenze penali di una condotta contraria alle disposizioni governative ma, vista l’importanza, si coglie l’occasione per ribadirle.
I reati contestabili potrebbero essere:
– Art. 650 c.p – Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: “Chiunque non osserva un
provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica,
o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro”.
– Art. 438 c.p. – Epidemia: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi
patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la
pena [di morte]”.
– Art. 452 c,p. Delitti colposi contro la salute pubblica: “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:1) con la reclusione da tre a dodici
anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la “pena di morte”; 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo; 3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione. Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto”.
– Art. 483 c.p. – Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: “Chiunque attesta
falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare
la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”.
Art. 658 c.p. – Procurato allarme presso l’Autorità: “Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 10
euro a 516 euro”.
Art. 495 c.p. – Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri: “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.
La reclusione non è inferiore a due anni:
1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;
2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.
Vale la pena rischiare?
Scozzari e Associati
Continua#Coronavirus #Inadempimenticontrattuali #cosacambia
Gli effetti del Covid-19 sulle obbligazioni contrattuali: rimessa al giudice la valutazione caso per caso sulla forza maggiore.
L’art. 1218 del nostro codice civile statuisce che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Dunque il debitore, al fine di esonerarsi dalle conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, deve provare che ricorrono due presupposti: uno oggettivo, cioè l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e uno soggettivo, cioè la non imputabilità di questa impossibilità. In ogni altro caso l’inadempimento è colpevole e obbliga il debitore inadempiente a risarcire il danno.
La diffusione del virus COVID-19 nel nostro Paese, dapprima nella regione Lombardia e successivamente nell’intera Nazione, sta generando, tra l’altro, un possibile aumento del rischio di inadempimento contrattuale o di ritardo nell’adempimento delle reciproche obbligazioni contrattuali per le aziende presenti sul mercato.
L’imposizione di quarantene, di limiti alla circolazione, la chiusura dei porti o dei traffici aerei hanno, infatti, un’incidenza inevitabile sulla corretta e tempestiva esecuzione delle obbligazioni contrattuali e, conseguentemente, le aziende si chiedono se ed in quale misura, in virtù di tali provvedimenti restrittivi assunti dal Governo per il contenimento del virus, si possano ritenere “giustificati” gli inadempimenti od i ritardi contrattuali da ciò determinati.
L’articolo 91 del Dl 18/2020, nel suo intento di “sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, fornisce una prima risposta prevedendo che il rispetto delle misure di contenimento da Covid-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche ai fini dell’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi od omessi adempimenti.
Tuttavia, dovrà essere comunque il giudice, di volta in volta, ad operare un bilanciamento tra i due interessi: da un lato l’inadempimento od il ritardato adempimento contrattuale, dall’altro il rispetto delle “misure di contenimento” (ad esempio: le limitazioni agli spostamenti).
Dunque, la necessità di osservare le misure di contenimento ed il possibile conseguente inadempimento o ritardato adempimento delle obbligazioni contrattuali in questo periodo, se da un lato non configura automaticamente un’ipotesi di responsabilità contrattuale del debitore, dall’altro non fornisce garanzia alcuna che l’epidemia possa essere considerata una causa di forza maggiore tale da escludere la colpa dell’obbligato inadempiente.
Si rileva, infine, che il secondo comma dell’art. 91 del Dl 18/2020, in materia di contratti pubblici, ha esteso la previsione dell’erogazione dell’anticipazione del 20% del prezzo anche ai casi di affidamento in via d’urgenza.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#covid19: Le scadenze ambientali previste dal DPCM n.18/2020.
Tra le misure introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 Marzo 2020, rilevanti in materia ambientale sono quelle di cui all’art. 113 relative al “rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti“.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 113 del DL 18/2020 sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di:
a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70;
b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente, di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonché trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188;
c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all’articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 14 marzo 2014, n. 49;
d) versamento del diritto annuale di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali di cui all’articolo 24, comma 4, del decreto 3 giugno 2014, n. 120.
Pertanto, possono tirare un sospiro di sollievo gli operatori del settore ambientale che avrebbero dovuto far fronte a tali scadenze.
#staytuned per ulteriori aggiornamenti #covid19!
Scozzari e Associati
Continua#covid19: Le scadenze ambientali previste dal DPCM n.18/2020.
Tra le misure introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 Marzo 2020, rilevanti in materia ambientale sono quelle di cui all’art. 113 relative al “rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti“.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 113 del DL 18/2020 sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di:
a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70;
b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente, di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonché trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188;
c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all’articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 14 marzo 2014, n. 49;
d) versamento del diritto annuale di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali di cui all’articolo 24, comma 4, del decreto 3 giugno 2014, n. 120.
Pertanto, possono tirare un sospiro di sollievo gli operatori del settore ambientale che avrebbero dovuto far fronte a tali scadenze.
#staytuned per ulteriori aggiornamenti #covid19!
Scozzari e Associati
Continua#Art.5dlgs74/00 #omessapresentazione #penaletributario Corte di Cassazione: se il consulente sbaglia, paga il contribuente.
L’Art. 5 del d.lgs n. 74/2000 disciplina l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi, non esonerando il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per l’eventuale delitto di omessa dichiarazione.
La Suprema Corte, III sez. pen., con la sentenza n. 9417/2020, ha precisato che l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche su chi ne abbia legale rappresentanza, egli è infatti tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità.
La vicenda in esame coinvolge una Società Cooperativa alla quale, in via preventiva, il Tribunale del riesame aveva disposto il sequestro delle somme di denaro depositate nei conti correnti, nonché dei titoli e di altre disponibilità finanziarie della medesima società per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni IVA e dei redditi, per gli anni 2014 e 2015.
Il Tribunale riteneva, in particolare, la sussistenza del fumus commissi delicti avendo rilevato che, le dichiarazioni erano state presentate per gli anni contestati da soggetto non legittimato, ex amministratore e moglie dell’indagato, in quanto privo della legale rappresentanza e dovevano, dunque, considerarsi omesse.
I giudici di legittimità hanno confermato il sequestro preventivo dei beni della Società, precisando che il contribuente o il legale rappresentante, nell’ipotesi in cui si tratti di persone giuridiche come nel caso de quo, può delegare la predisposizione delle dichiarazioni fiscali ad un commercialista o consulente fiscale, tuttavia rimane personalmente obbligato alla presentazione delle stesse, pena la configurabilità della fattispecie di reato di omessa dichiarazione ex art. 5 del d. lgs n. 74/00.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua