Rimborso Iva 78 mln. #rimborsoiva #operazioniinfragruppo #esteroitalia #evasioneimpostaregistro #sequestronullo
La Cassazione con la sentenza n. 20900/20 ha annullato il sequestro di 78 miln di € per rimborso IVA, disposto dal tribunale di Pescara nei confronti di una multinazionale italiana
La S.C. ha annullato per mancanza di motivazione, ma in realtà ha anche affrontato la questione di diritto posta dai ricorrenti.
Per il Tribunale di Pescara l’operazione intervenuta tra due società, una belga ed una italiana, facenti parte dello stesso gruppo, camuffava una cessione di ramo di azienda che andava sottoposta a tassazione di imposta di registro, che sarebbe in altri termini l’imposta, sempre secondo il tribunale, evasa.
La Cassazione nell’annullare il sequestro preventivo di oltre 78 milioni di euro a carico della multinazionale farmaceutica, ha ritenuto priva di motivazione l’ipotesi prospettata nel decreto di sequestro e nel rinviare al tribunale in diversa composizione, ha indicato un preciso percorso giuridico affermando che il nuovo riesame dovrà, da un lato “rivalutare” le tesi difensive dedotte con il primo ricorso; dall’altro verificare la sussistenza di ipotesi di reato riconducibile a fattispecie diversa rispetto a quella provvisoriamente contestata.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Art378cp #Infortunisullavoro #reatipenali
Corte di Cassazione penale n. 22253/20: risponde del reato di favoreggiamento il lavoratore che fornisce notizie mendaci all’Autorità sulla dinamica di un infortunio sul lavoro accaduto ad un collega. La paura del licenziamento non giustifica le false dichiarazioni.
L’art. 378 del codice penale disciplina il reato di “favoreggiamento personale” che si configura quando un soggetto aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti.
La Corte di Cassazione, VI sez. penale, con la sentenza n. 22253/20, ha confermato la condanna dei giudici di I e II grado per il reato ex art. 378 c.p. a carico di un lavoratore che aveva mentito alla Polizia Giudiziaria sulle modalità di un infortunio avvenuto sul posto di lavoro ad un collega.
In particolare, i giudici di merito ritenevano che l’imputato avesse reso dichiarazioni che avrebbero sviato le indagini che si svolgevano, per quel sinistro, nei confronti del datore di lavoro e del responsabile della sicurezza per l’ipotesi di reato di cui all’art. 590 c.p.
La difesa interponeva ricorso in Cassazione avverso la decisione dei giudici di primo e secondo grado per due ordini di motivi:
• Vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla ritenuta configurabilità del favoreggiamento contestato.
• Vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla ritenuta non configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384 c.p.
La difesa sottolineava che il lavoratore aveva il timore di eventuali ritorsioni da parte del datore di lavoro ed, inoltre, che non erano state considerate le dichiarazioni degli altri colleghi presenti sul cantiere i quali avrebbero riferito che l’imputato non si trovava nel luogo dove era avvenuto l’incidente.
La S. C. ritiene il ricorso inammissibile e ribadisce che il timore di un licenziamento “non risponde ad una concreta dimostrazione in punto di fatto ma ad una mera suggestione logica” dal momento che l’imputato non ha mai cambiato versione neppure quando, nel corso del giudizio, avrebbe potuto avvalersi del ricorso all’art.376 c.p., essendo stato peraltro licenziato da tempo.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua
#bancarottafraudolenta #nessunacondannaimpiegati #attivitàmanuale #nessunattogestione
La Corte di Cassazione con la sentenza 21796-20 ha annullato la sentenza della Corte di Appello che confermava la condanna di primo grado, nei confronti di due imputati che pur sedendo nel board societario di fatto erano i carpentieri della società che svolgevano solo attività manuale.
La Procura aveva promosso il giudizio per bancarotta a seguito dell’omesso deposito dei bilanci societari. Il tribunale aveva ritenuto sussistente l’elemento psicologico, sentenza confermata in secondo grado.
La Cassazione non ci sta è annulla, perchè il fatto non costituisce reato, sostenendo che nonostante i dipendenti sedessero nel CDA della società fallita, erano dei carpentieri che nulla sapevano della gestione societaria men che meno dell’omessa presentazione e sottrazione di bilanci e scritture contabili. La S.C. afferma che il dato normativo richiede ben altro per procedere alla condanna.
La Corte di Appello aveva ravvisato la sussistenza dell’elemento psicologico sostenendo che l’attività dei dipendenti aveva impedito al curatore di ricostruire l’intera gestione poi rivelatasi fallimentare, adducendo un oggettivo obbligo di controllo. Tesi non condivisa dalla S.C.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Iva #sanzionimprese #231applicabile #direttivaPIF #recepimento
Il governo ha recepito la Direttiva PIF (Protezione Interessi Finanziari) n. 1371-17 che estende, tra i reati presupposto del DLGS 231, le maxi frodi IVA.
Le imprese risponderanno dei reati dei propri dipendenti nel caso in cui questi commettano reati contro la P.A..
Si tratta di reati che, nella ratio della norma, compromettono il bilancio dell’U.E..Questo in sintesi quanto previsto dal decreto emanato dal Capo dello Stato il 6/7/2020, che va a completare la riforma tributaria che ha introdotto i reati fiscali, prevedendo la punibilità per le forme più gravi di evasione dell’IVA, anche nell’ambito transnazionale.
Vengono introdotti anche i reati di peculato, indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato e induzione indebita, per i casi in cui si verifica un danno superiore a 100.000 euro per il bilancio Ue, la pena detentiva aumenta fino a un massimo di 4 anni
In ambito dei reati fiscali la pena si applica nei casi di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione e indebita compensazione, in ambito internazionale, se l’evasione supera i 10 milioni di euro, è punibile anche il tentativo, con sanzione pecuniaria sino a un massimo di 400 quote. Previste pene anche per il contrabbando e le frodi agricole.
on. avv. Giuseppe Scozzari
#Confiscabeni #imprenditore #appellooltre18mesi #dissequestro #confiscaannullata
Importante sentenza che farà discutere molto quella della Suprema Corte (n. 21532/2020) che ha statuito la restituzione dei beni all’imprenditore, nel caso in cui l’appello non si concluda entro 18 mesi.
La Cassazione ha annullato la confisca e dissequestrato tutti i beni all’imprenditore ricorrente, precisando che in un procedimento che ha ad oggetto misure patrimoniali, l’appello deva avere un limite temporale dovendosi chiudere entro 18 mesi. Solo eccezionalmente, precisano i giudici di legittimità, possono essere date due proroghe ma esse devono essere motivate dalla difficoltà oggettiva dell’indagine.
Il dies a quo decorre dal deposito del decreto, presupposto che radica giuridicamente il provvedimento tra gli atti ufficialmente e giuridicamente esistenti.
Se la Corte di Appello non chiude il procedimento entro il suddetto termine si riespande il diritto dell’imprenditore ad avere restituiti i propri beni. Il procedimento aveva preso avvio dalla contestazione all’imprenditore dei reati di gravi indizi di intestazione fittizia e provenienza illecita.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#abusodufficio #art323cp #riformane cessaria #meno discrezionalita
Finalmente in Parlamento la riforma del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) Il testo è contenuto nel decreto legge sulle semplificazioni che a giorni sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
La pena prevista rimane da 1 a 4 anni, ma la condanna scatterebbe nel caso di violazione di norme «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
In sostanza sparisce il riferimento alla violazione dei regolamenti che apriva la strada ad una serie infinita di ipotesi di condanna, perché amplificava enormemente la discrezionalità dei giudici sia in sede di contestazione del reato, sia in sede di condanna, ad onore del vero di ridottissimo numero (nel 2017, 6. 582 fascicoli aperti e 57 condanne, ma nel 2016 erano state 46, con 6.970 procedimenti).
In poche parole saranno punibili solo le condotto fortemente illecite.
Sulla riforma c’è un ampio consenso, speriamo vada in porto, ovviamente si confida nel buon senso in fase di applicazione normativa.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCorte di Cassazione penale n.16002/2020: risponde dei reati di falso e di truffa aggravata in danno della ASL il medico che si sostituisce al titolare della convenzione per il servizio di medicina di base.
Il caso: un medico anestesista e rianimatore è stato ritenuto responsabile dei delitti di truffa aggravata in danno della ASL e di falso poiché, in concorso con il fratello medico convenzionato per il servizio di base (giudicato con il rito del patteggiamento), si è accordato con quest’ultimo per sostituirlo nelle ore di servizio ambulatoriale pomeridiano, rendendolo così libero di poter svolgere in quelle ore la libera professione di odontoiatra. Inoltre, l’anestesista è stato giudicato penalmente responsabile per aver formato ricette false, utilizzando il timbro recante il nome del fratello medico, non diffondendo, peraltro, i dati sulla piattaforma “medicina in rete” e per aver fatto risultare che l’attività ambulatoriale fosse svolta dal sanitario sostituito.
La difesa interponeva ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte territoriale sostenendo, in particolare:
-la non configurabilità del delitto di truffa, in ragione del difetto del requisito dell’offensività, del danno e dell’elemento costitutivo dell’induzione in errore con artifici e/o raggiri;
– la non configurabilità del delitto di falso, in virtù della ritenuta innocuità del fatto e della carenza di prova sull’elemento psicologico del reato.
La Suprema Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha sottolineato che il danno a carico dell’Ente pubblico è ravvisabile dalla condotta posta in essere dai due medici, dal momento che il numero dei pazienti è stato mantenuto solo ed esclusivamente con la presenza dell’anestesista e che senza quest’ultimo la reazione dell’utenza sarebbe stata diversa, visto il contestuale impegno svolto, dal medico convenzionato, come odontoiatra. Inoltre, sulla scorta degli orientamenti consolidati in materia –da ultimo Sez. II, sentenza n. 29628/2019- gli ermellini hanno statuito che “il danno quale elemento costitutivo del delitto di truffa deve avere contenuto patrimoniale, cioè deve concretarsi in un detrimento del patrimonio (inteso come complesso di diritti, rapporti e situazioni giuridiche dal contenuto patrimoniale) del soggetto passivo”, e nel caso de quo è ravvisabile nel mancato svolgimento delle prestazioni di cd. “medicina in rete” per le quali, invece, il medico convenzionato è stato regolarmente retribuito.
Nessuna scriminante per il fatto che i pazienti visitati fossero consapevoli della reale identità del medico curante: la S.C. ha chiarito, infatti, che è del tutto irrilevante ai fini della configurabilità dell’elemento costitutivo dell’induzione in errore con artifici e raggiri, poiché il soggetto destinatario dell’induzione in errore (aspetto necessario per l’integrazione del reato) è chiaramente la ASL ed è evidente come l’Ente pubblico sia stato lungamente ingannato proprio in relazione alla reale identità del soggetto che effettuava le prestazioni in convenzione.
In merito al reato di falso ideologico, infine, i giudici di legittimità hanno sancito che nella condotta dei medici vi è stata “idoneità ingannatoria” rispetto alla fede pubblica sulla base delle ricette mediche sottoscritte da parte di sanitario diverso da quello indicato nel timbro ASL; ingenerando così una falsa rappresentazione della riconducibilità al medico convenzionato delle visite ed inoltre rilevando l’indicazione dell’identità fisica del medico responsabile delle prescrizioni, anche riguardo ad eventuali contestazioni in ordine all’operato del sanitario.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#know how aziendale #art623cp #reato exl avoratori
La Corte di Cassazione con la sentenza 4 n. 16975/20 ha sancito l’applicabilità dell’art. 623 c.p. nei confronti di quei lavoratori che dopo aver lavorato in una grande azienda, avevano fondato in proprio una loro azienda, ponendo in essere atti concorrenziali diretti, avendo creato apparecchiature elettroniche identiche a quelle prodotte dalla loro ex azienda.
La Corte ritiene applicabile l’art. 623 c.p. che tutela il diritto alla non divulgazione di notizie relative ai metodi di produzione di una azienda.
In altri termini trova tutela penale il Know how aziendale, ossia trova tutela quel complesso di beni materiali ed immateriali costituito dal complesso cognitivo ed organizzativo che porta alla produzione e commercializzazione di un bene prodotto da una azienda.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#Bancarottaperdistrazione #postfallimentare #nessunreato
La Cassazione precisa che necessita la distinzione tra costi e ricavi.
La Cassazione con la sentenza 15650 del 21.05.2020 nell’accogliere il ricorso proposto da un imputato dichiarato fallito, ha precisato che per ritenere sussistente il reato di bancarotta post fallimentare per distrazione, non ci si può limitare – come nel caso in esame – ad accertare l’avvenuto utilizzo di proventi societari per il sostentamento proprio e della propria famiglia, ma serve un quid pluris, ossia bisogna accertare che vi sia stata concreta sottrazione di somme, tale da superare il limite massimo di cui alla legge fallimentare (art. 46).
Il reato di bancarotta post fallimentare si concreta nella distrazione delle somme pervenute al fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, nel caso in cui queste superino la somma assegnata dal giudice per l sopravvivenza del fallito e della sua famiglia.
In assenza di una determinazione del giudice l’utilizzo di proventi da parte del fallito non integra il reato di bancarotta per distrazione.
La Cassazione specifica che non vanno versati i ricavi ma i guadagni nella misura indicata dal giudice delegato, precisando che in ogni caso, l’eventuale superamento del limite va concretamente accertato non essendo sufficiente la presunzione di superamento di tale limite, dalla semplice condotta di prensione del denaro.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaReati Tributari: Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 10 ter d.lgs.74/2000, eseguito su somme depositate sui conti correnti intestati alla società beneficiaria del reato, non si può trasferire su un immobile appartenente alla stessa società anche se c’è il consenso di quest’ultima.
La Corte di Cassazione, III sez. penale, con la sentenza n. 15308/2020, ha stabilito che in caso di omesso versamento IVA non si può confiscare un bene immobile in sostituzione del sequestro delle somme depositate sul conto corrente di una società, poiché si verificherebbe un’illegittima trasformazione da sequestro diretto del profitto del reato a sequestro per equivalente. L’art. 12 bis, comma 1, d.lgs. 74/2000, infatti, prevede che la confisca per equivalente può essere disposta solo in caso di impossibilità di acquisizione diretta del profitto del reato tributario e solo nei confronti dell’autore dello stesso, non della società, in ossequio all’art. 19 d. lgs. 231/2001.
Il caso: ad una Srl veniva contestato il reato di omesso versamento IVA e veniva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla futura confisca, di somme depositate sui conti correnti societari. Il Tribunale, accoglieva parzialmente la richiesta di riesame della difesa disponendo che il sequestro preventivo delle somme di denaro depositate sul conto della società, fossero sostituite su richiesta della stessa società con analoga misura cautelare su un immobile di proprietà. Il Procuratore della Repubblica impugnava l’ordinanza per la violazione degli artt. 322-ter, primo comma, c.p. e l’art. 19 d. lgs. 231/2001, e proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, uniformandosi all’orientamento ormai consolidato in materia –da ultimo sent. Cass. nn. 37660/2019 e 12245/2014- ha ribadito che “le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore, perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato”.
La S.C. ha rammentato che:
- 
le disposizioni sulla confisca rivestono carattere di stretta interpretazione e avendo natura pubblicistica, il loro contenuto e i loro effetti non possono formare oggetto di pattuizioni;
 - 
la sostituzione della misura cautelare de qua non è ammissibile neppure qualora vi sia il consenso del soggetto interessato, poiché sottoporre a vincolo un bene immobile di proprietà dell’autore del reato non costituisce profitto, nemmeno indiretto, dell’illecito;
 - 
l’eventuale sentenza di condanna non potrebbe mai disporre la confisca del bene immobile, con la conseguenza che il provvedimento cautelare si rileverebbe del tutto privo di effetti.
 
Gli ermellini, infine, osservano che la società non avrebbe avuto alcuna difficoltà a richiedere un prestito dello stesso importo del denaro sequestrato, dando in garanzia l’immobile, ottenendo così il medesimo risultato senza la necessità di proporre interpretazioni delle norme in materia di confisca in contrasto con la legge.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua