#amministrativo #covid19 #coronavirus #sospensioneferiale: D.L. 11/2020 sospensione feriale per la giustizia amministrativa.
Il d.l. varato dal governo per fronteggiare l’emergenza covid-19 ha previsto misure d’emergenza anche nel settore giustizia. In primo luogo il decreto ha previsto un periodo di transizione dal 9 al 22 marzo 2020, nel corso del quale, salve le eccezioni espressamente previste, le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari d’Italia sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020.
Il decreto-legge, inoltre, introduce delle misure straordinarie riguardanti la giustizia contabile e amministrativa.
In particolare, il decreto, in relazione alla giustizia amministrativa, ha previsto l’operatività del disposto di cui all’art. 54, commi 2 e 3 del codice del processo amministrativo, ossia del regime della sospensione feriale. Dall’ 8 marzo 2020 inizia, pertanto, un periodo di sospensione feriale identico a quello che sospende i termini estivi.
Sostanzialemente tra l’8 e il 22 marzo inizia un periodo neutro per gli atti amministrativi, come se tale arco temporale fosse cancellato dal calendario.
Tuttavia i procedimenti cautelari, promossi o pendenti nel medesimo lasso di tempo, sono decisi, su richiesta anche di una sola delle parti, con il rito di cui all’articolo 56 del codice del processo amministrativo (ovverosia con misure cautelari monocratiche) e la relativa trattazione collegiale è fissata in data immediatamente successiva al 22 marzo 2020.
Avv. Gaspare Tesè
ContinuaAnche nelle cliniche private gli infermieri possono commettere i reati dei pubblici ufficiali.
Anche gli infermieri di una clinica privata possono rispondere del reato di falso in atto pubblico. Sul tema si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 9393/2020.
Le schede infermieristiche che confluiscono all’interno della cartella clinica sono considerate atti pubblici e chi le falsifica risponde del reato previsto dagli artt. 476 e 479 del codice penale.
In particolare, risponde dei reati di falso ideologico e falso materiale commesso dal pubblico ufficiale l’infermiere che falsifica le schede di annotazione sui pazienti e affermando di aver compiuto rilievi in realtà non effettuati.
La natura di atto pubblico della cartella clinica, perché finalizzata alla certificazione dello stato di salute delle persone, si estende alle proprie componenti come ad esempio le cartelle infermieristiche e le schede di annotazione che vi confluiscono, anche quando redatte all’interno di strutture private.
In sintesi, anche gli infermieri di una clinica privata possono commettere i reati degli incaricati di pubblico servizio che, vale la pena ricordarlo, sono puniti con maggior rigore!
Avv. Danilo Conti
Continua#Art121cpp #Memoria Difensiva #Vizio Legittimità #deducibilità #presupposti
Spesso come un mantra il primo motivo di un appello o di un ricorso in Cassazione è la omessa valutazione delle ragioni esposte nella memoria difensiva ex art. 121 cpp. Bisogna anche ribadire che spesso i giudici che intendono condannare, sposano la loro linea senza tenere in alcun conto le deduzioni difensive, così come impone il codice di procedura penale.
Sul tema è incidentalmente intervenuta la S.C. Sez. I pen. con la sentenza 7420/20 per ribadire:
1) non è causa di nullità del provvedimento impugnato;
2) incide solo se con le deduzioni difensive sia “sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo non valutato dal giudice del provvedimento impugnato”;
3) può essere dedotto in sede di legittimità (vizio di motivazione) se efficace, puntualmente dedotto nel ricorso e scardinante rispetto alle ragioni indicate nella motivazione della sentenza di condanna.
Mancando questi tre presupposti si rischia di versare nella genericità che determina l’inammissibilità del ricorso.
Avv. Giuseppe Scozzari
Continua#abbandonorifiuti – #detritidademolizione: la Corte di Cassazione si pronuncia sul tema dell’abbandono di rifiuti derivanti da opere di demolizione
La Suprema Corte con la sentenza n. 4700/2020, investita di una questione relativa all’abbandono di detriti da demolizione, ha affermato che, “in tema di gestione dei rifiuti, ai fini della configurabilità del reato di abbandono di rifiuti per titolare di impresa o responsabile di ente non deve intendersi solo il soggetto formalmente titolare dell’attività ma anche colui che eserciti di fatto l’attività imprenditoriale inquinante”.
I giudici di legittimità, inoltre, hanno rigettato la tesi difensiva secondo cui l’art. 181 d.lgs. n. 42/2004 non darebbe rilevanza all’opera di sbancamento del terreno, ma punirebbe solamente la realizzazione di lavori di natura edile. Invero, è stato osservato che “l’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 non prevede alcuna limitazione in ordine alla tipologia dei lavori oggetto della condotta vietata, essendo punito “chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici”, laddove tale ultima locuzione è idonea ad abbracciare qualsivoglia attività, tale da comportare una modificazione del bene paesaggistico; per altro verso, oggetto della tutela è pacificamente l’ambiente, che può essere leso non solo da lavori edili, ma da qualunque attività comportante una modificazione dell’assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi, quali, appunto, i lavori di sbancamento del terreno”.
Avv. Gaspare Tesè
Continua#Coronavirus #Agrigento #Instagramstories #ZonaRossa
In queste ore ad Agrigento sta circolando un video che sta destando allarme e preoccupazione.
Senza cedere ad inutili allarmismi, lo studio desidera informare sia sulle procedure da adottare, nei casi di persone che rientrano dalle zone a rischio, sia sulle conseguenze penali cui si va incontro a seguito di mancata osservanza dei decreti governativi.
Condotta da assumere da parte di chi rientra dalle zone rosse (Ordinanza del Presidente della Regione Siciliana n. 3 dell’8.03.2020):
– Allo stato provengono dalle zone rose i viaggiatori che rientrano dalla Regione Lombardia e dalle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini; Pesaro e Urbino; Venezia, Padova, Treviso; Asti e Alessandria, con destinazione Aeroporti, Porti e Stazioni ferroviarie della Regione Siciliana;
– Tutti coloro che abbiano fatto rientro dalle zone rosse a far data dal 23 febbraio 2020, ha l’obbligo di segnalarsi alle Autorità Sanitarie, con obbligo di autocensirsi sul seguente sito: https://www.costruiresalute.it/?q=coronavirus-sicilia#tab-2; inoltre, gli stessi devono segnalare il rientro al Comune, al Dipartimento di Prevenzione dell’ASP ed al proprio medico di famiglia oppure al pediatra se si tratta di minori.
Conseguenze penali per chi non ottempera:
– Art. 650 c.p – Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro.
– “Chiunque non osserva” significa che tutti coloro che abbiano fatto rientro dalle zone rosse hanno l’obbligo di osservare le prescrizioni governative dando le comunicazioni di cui sopra. Le ragioni d’igiene si riferiscono alla materia della sanità pubblica intesa in senso ampio,
quindi rientra perfettamente il caso del Coronavirus, dovendosi ricomprendere in essa anche la difesa del territorio e la tutela dall’inquinamento.
– Art. 438 c.p. – Epidemia: Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte].
– La condotta che integra il reato consiste nel diffondere germi patogeni (virus, bacilli, protozoi, ecc.). in modo da causare un’epidemia. La diffusione dei germi patogeni può avvenire in qualunque modo, nel caso del Coronavirus avviene attraverso la saliva, anche con micro gocce. Si definisce epidemia, non una qualunque malattia infettiva contagiosa, ma soltanto quella suscettibile di diffondersi nella popolazione in misura tale da aggredire, in uno stesso contesto di tempo, un numero rilevante di persone con carattere di straordinarietà (ad es. peste, colera, vaiolo, ecc.). Il Coronavirus ha le caratteristiche del virus epidemiologico.
– Art. 452 c,p. Delitti colposi contro la salute pubblica: Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la “pena di morte”; 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo; 3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione. Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.
– La norma in esame costituisce un rafforzamento della tutela della salute pubblica qualora insidiata, posta in pericolo o lesa (in conformità alle ipotesi tipiche delineate nelle norme richiamate dall’art. 452) da condotte contrarie a regole precauzionali.
– I delitti previsti dalla norma in esame sono puniti a titolo di colpa (richiedendosi a tal fine la violazione di una regola cautelare di origine sociale (colpa generica) o di una regola espressamente prevista da una fonte formale (colpa specifica) il cui scopo è rappresentato dalla prevenzione relativa alla verificazione di fatti del tipo di quelli previsti dagli articoli richiamati dalla norma in commento in relazione alle corrispondenti fattispecie dolose.
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Lo studio, pertanto, consiglia di attenersi scrupolosamente ai decreti governativi per evitare il rischio di incorrere in condotte penalmente rilevanti in spregio alla salute ed alla sicurezza pubblica.
Continua#DIVULGAZIONE SELFIE PORNOGRAFICI
Applicabile la previsione più grave ex art.600-ter pornografia minorile (pena nel massimo fino a 12 anni di reclusione) anche in caso di selfie erotici autoprodotti dai minorenni e messi in circolazione da terzi estranei. I giudici di legittimità ribaltano il vecchio orientamento giurisprudenziale.
L’inedita pronuncia della Corte di Cassazione, III sez. penale, n. 5522/2020, depositata il 12 febbraio, rivoluziona e colma quel vuoto normativo che il vecchio orientamento giurisprudenziale (C. n. 34357/2017) aveva creato escludendo il “selfie pedopornografico” dall’oggetto delle condotte divulgative tipizzate dall’art. 600-ter c.p., le quali non venivano punite perché ci si interrogava sulla valenza penale da riconoscere alla riproduzione e divulgazione da parte di terzi estranei di immagini sessualmente esplicite se scientificamente autoprodotte dalla persona offesa minorenne o se in questi casi bisognava applicare la sanzione meno grave: “detenzione di materiale pedopornografico”, art.600-quater c.p.
La sentenza della Suprema Corte prende spunto dal caso di uno studente che durante una gita, dopo aver scattato delle foto di gruppo con lo smartphone della vittima, prima di restituirle il telefono, si accorge di alcuni selfie erotici della ragazza e decide di fotografarli con il suo telefono e di inviarli ad un amico comune, che a sua volta li divulga in un gruppo chat WhatsApp.
Il padre della minore presenta querela alle autorità e si instaura il processo penale nei soli confronti del ragazzo che aveva inoltrato gli scatti la prima volta e non verso chi li aveva poi diffusi.
Il GUP assolveva lo studente per due ordini di motivi:
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Si trattava di selfie erotici e, quindi, in linea con una parte della giurisprudenza, le sanzioni riguardano le fattispecie che prevedono implicitamente lo sfruttamento della vittima che non vi è se il materiale è autoprodotto;
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Gli scatti erotici autoprodotti dalla vittima non erano stati divulgati a più persone, ma solo ad una.
La Corte d’appello, invece, condannava lo studente ex art. 600-ter, comma 4 (cessione di materiale pedopornografico).
L’imputato fa ricorso in Cassazione dando così occasione ai giudici di legittimità di far luce e mettere un punto sugli elementi costitutivi della disposizione di pornografia minorile ex art. 600-ter c.p.
La S. C. con la pronuncia 5522/2020, ritiene integrata la fattispecie di reato di divulgazione di selfie pornografici dei minorenni riprodotti e divulgati da parte di terzi estranei.
Secondo la Corte di Cassazione l’invio del materiale, anche ad un solo soggetto, integra la divulgazione, per la possibilità, insita nel mezzo telematico prescelto, di accesso ad un numero indeterminato di destinatari.
Dott.ssa Daniela Cappello
Continua#Rifiuti #tracciabilitáelettronica #esamedelgoverno
Si rivede la tracciabilità elettronica, sulla scorta delle quattro direttive approvate da Bruxelles nel 2018.
Il meccanismo non opererà direttamente ma sarà necessario un decreto interministeriale, allo stato al vaglio del Consiglio dei ministri, che disciplinerà le modalità di funzionamento, iscrizione e tenuta, anche allo scopo di consentire tutti gli adempimenti relativi al registro di carico e scarico ed al formulario per il trasporto.
Il decreto rafforzerà la responsabilità dei produttori dei beni da cui derivano rifiuti tra i quali: rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici, pile e accumulatori, veicoli fuori uso.
Di estremo interesse la parte che disciplinerà la tracciabilità dei rifiuti elettronici, riciclaggio rifiuti organici, prevenzione dei rifiuti.
Per il momento e fino all’entrata in vigore del nuovo decreto le imprese continueranno ad usare i documenti attualmente in uso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#casoContrada #sentenzaCEDU #SU Non costituisce precedente #dissenso
Le S.U. a corrente alternata sulle decisione della CEDU. Con la sentenza n. 8544/2020, infatti le SU hanno ribadito un principio, non condivisibile, secondo il quale in sintesi: non tutte le sentenze della CEDU costituiscono un precedente applicabile ai casi simili. Il precedente sarebbe la “sentenza Contrada” che ha determinato la revisione del processo dello stesso grazie alla sentenza CEDU. Il caso in esame riguarda un imputato di concorso esterno al quale è stata negata la revisione.
In altri termini le SU negano la c.d. “revisione europea”, affermando che gli imputati che desiderano avvalersene possono farlo solo se sussistono due presupposti: 1) se è stata definita “sentenza pilota” dal giudice europeo; 2) se è stata rilevata dal giudice europeo una lacuna strutturale nel sistema italiano. Pur capendone le ragioni sottese alla pronuncia delle SU, che hanno temuto il contagio questa volta giurisprudenziale, non se ne condivide affatto il contraddittorio e capzioso ragionamento giuridico espresso dalle S.U. in quanto è palesemente incoerente rispetto ad altre vicende simili (per tutte la sentenza Varvaro assunta a precedente assoluto dalla giurisprudenza di legittimità)
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#CEDU #ART6 #ITALIACONDANNATA #OMESSAMOTIVAZIONE #CASSAZIONECENSURATA #RICORSOCEDU
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha depositato una sentenza, nel ricorso n. 44221/14, di grande valore giuridico perché nell’affermare la violazione dell’art. 6 della convenzione europea, apre un nuovo fronte di censure legate alla violazione del principio dell’equo processo.
La vicenda in esame riguarda un ricorso presentato da un cittadino italiano per violazione degli articoli 6 e 7 della convenzione europea. Al ricorrente non gli erano state riconosciute le attenuanti generiche. La CEDU nel ribadire che non vi è stata violazione dell’art. 7 rileva la violazione dell’art. 6 (equo processo) condannando l’Italia.
Si tratta di un vero e proprio smacco ai giudici italiani perché la CEDU ha ribadito un principio spesso invocato, ma inascoltato, dagli avvocati ossia la indicazione delle motivazioni che portano a non accogliere una istanza difensiva soprattutto in materia di circostanze. La S.C., infatti, aveva omesso di spiegare le ragioni che la inducevano a ritenere inammissibile il ricorso pur avendo il cittadino il diritto di sapere perché le attenuanti generiche richieste non gli erano state riconosciute.
Posizione non condivisa da Strasburgo che ha ritenuto che la vicenda legata al riconoscimento delle circostanze attenuanti esigeva «una risposta specifica ed esplicita».
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#CEDU #ART6 #ITALIACONDANNATA #OMESSAMOTIVAZIONE #CASSAZIONECENSURATA #RICORSOCEDU
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha depositato una sentenza, nel ricorso n. 44221/14, di grande valore giuridico perché nell’affermare la violazione dell’art. 6 della convenzione europea, apre un nuovo fronte di censure legate alla violazione del principio dell’equo processo.
La vicenda in esame riguarda un ricorso presentato da un cittadino italiano per violazione degli articoli 6 e 7 della convenzione europea. Al ricorrente non gli erano state riconosciute le attenuanti generiche. La CEDU nel ribadire che non vi è stata violazione dell’art. 7 rileva la violazione dell’art. 6 (equo processo) condannando l’Italia.
Si tratta di un vero e proprio smacco ai giudici italiani perché la CEDU ha ribadito un principio spesso invocato, ma inascoltato, dagli avvocati ossia la indicazione delle motivazioni che portano a non accogliere una istanza difensiva soprattutto in materia di circostanze. La S.C., infatti, aveva omesso di spiegare le ragioni che la inducevano a ritenere inammissibile il ricorso pur avendo il cittadino il diritto di sapere perché le attenuanti generiche richieste non gli erano state riconosciute.
Posizione non condivisa da Strasburgo che ha ritenuto che la vicenda legata al riconoscimento delle circostanze attenuanti esigeva «una risposta specifica ed esplicita».
on. avv. Giuseppe Scozzari