#Discarica abusiva: nessuna confisca se il proprietario è ignaro del deposito.
La Cassazione con la sentenza n. 847/2020 fa chiarezza in relazione al reato di discarica abusiva statuendo che il proprietario dell’area dove i rifiuti sono posti da terzi non risponde dell’illecito se ignaro della condotta altrui.
La sentenza ribadisce anche la differenza tra discarica e deposito incontrollato. Infatti non è discarica abusiva il luogo ove si trovano gli impianti in cui sono scaricati i materiali al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno.
La Cassazione afferma, inoltre, che il deposito incontrollato è un illecito connotato dalla provvisorietà e precarietà delle condizioni di accumulo e rischio di pericolosità per l’ambiente e dalla temporaneità.
In ultimo la S.C. ribadisce che per discarica si intende l’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito temporaneo per più di un anno.
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale: Sicurezza sul lavoro_La società non è responsabile se manca la prova.
La Cassazione con la sentenza n. 49775/19 scrive una pagina importante in materia di responsabilità ai sensi del dlgs n. 231/01 (articolo 25-septies, comma 3).
In sintesi la S.C. statuisce che per affermare la responsabilità della società nelle ipotesi di illecito derivante da reato connesso a fatti relativi alla sicurezza sul lavoro, va provata la prassi contra legem sistematicamente posta in essere dalla società stessa. Non solo la Corte afferma che oltre alla prassi va data la prova concreta del vantaggio che trarrebbe la società da tale prassi, con una motivazione che deve essere specifica (criteri di imputazione del vantaggio) e stringente, «sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso».
Nella sentenza vi è peraltro una inversione di tendenza rispetto al principio formalistico della <<delega>> sulla sicurezza, sussistendo quest’ultima, secondo la S.C., anche in mancanza di elementi che ne provino documentalmente l’esistenza.
Il caso esaminato riguarda un autotrasportatore (dipendente di un’altra ditta) di bitume rimasto vittima di gravissime ustioni nel corso dell’attività lavorativa.
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale tributario: Nessuna confisca all’esito positivo della messa alla prova nell’ipotesi di omesso versamento IVA.
La Terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47104/2019, ha chiarito i limiti entro cui è possibile disporre la confisca nell’ipotesi di reato di omesso versamento IVA previsto dall’art. 10 ter del D.lgs. 74/2000.
In particolare, il difensore dell’imputato impugnava la sentenza del Tribunale di Potenza, che dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in relazione al reato di omesso versamento IVA, perché estinto per esito positivo della messa alla prova, disponendo, tuttavia, la confisca per equivalente di quanto oggetto di sequestro preventivo.
Ebbene, la Suprema Corte osserva che la confisca per equivalente, prevista dall’art. 12 del D. Lgs. 74/2000 può essere disposta, per espressa previsione di legge, soltanto con la sentenza di condanna o di patteggiamento.
Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza nella parte in cui disponeva la confisca per equivalente, in ragione dell’intervenuta estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
dott. Gaspare Tesè
ContinuaPenale: la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 43829/2018 individua il soggetto responsabile per gli infortuni sul lavoro nell’ipotesi di committente pubblico.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 48329/2018, ha affrontato la questione relativa all’attribuzione di datore di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni specie nell’ipotesi di delega di funzioni.
La questione affrontata dal supremo consesso assume una rilevante importanza al fine di individuare quei soggetti responsabili nell’ipotesi infortuni sul lavoro, qualora il committente sia una pubblica amministrazione, ossia per individuare il soggetto cui attribuire la posizione di garanzia. E ciò si rende necessario proprio al fine di evitare l’incertezza in merito all’identità del soggetto cui spetta la posizione di garanzia nell’ipotesi di delega di funzioni all’interno degli apparati amministratici, nella specie pubblici.
In particolare, la Cassazione nel proprio iter argomentativo prende le mosse dalla disposizione di all’art. 2 lett. b) D. Lgs. n.81/2008 secondo cui per datore di lavoro si intende «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
Orbene, la Suprema Corte una volta definito il concetto di datore di lavoro, ai sensi della normativa di settore, afferma che, “nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo” precisando, altresì, che “…l’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l’attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico”.
Segnatamente, con la decisione in commento viene affermata la necessità di un atto espresso da parte della pubblica amministrazione mediante il quale il dirigente o il funzionario viene individuato nella funzione di datore di lavoro con il conseguente conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale. In mancanza di un atto espresso da parte della P.A., la posizione di garanzia rimarrebbe in capo al vertice politico dell’amministrazione pubblica committente.
dott. Gaspare Tesè
ContinuaPenale tributario: si al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario.
La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 48029/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale, proposto avverso la pronuncia del tribunale di Brescia che aveva applicato la pena su richiesta delle parti in relazione ai reati di omessa dichiarazione e di indebita compensazione. In particolare, il Procuratore censurava la sentenza in relazione alla mancata verifica dell’integrale pagamento del debito tributario, considerato dallo stesso come il presupposto per la configurabilità del rito.
Ebbene, la terza sezione della Cassazione, mutando orientamento a distanza di poche settimane, ha osservato che il pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento rappresenta causa di non punibilità dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter, 10 quater del D.lgs. 74/2000 e conseguentemente non configura il presupposto di legittimità per l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p..
Pertanto, colui il quale si trova imputato dei suddetti reati avrà la possibilità o di pagare il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento, anche mediante ravvedimento operoso, e per l’effetto beneficiare della causa di non punibilità o affrontare il processo, o ancora richiedere ed ottenere l’applicazione della pena su richiesta delle parti.
dott. Gaspare Tesè
Continua#manetteaglievasori. Penale tributario. Una riforma sproporzionata perché punitiva soprattutto per le aziende.
La riforma penale-tributario approvata dal governo, se non dovesse subire ulteriori modifiche, si tradurrà in una riforma estremamente penalizzante per le aziende. Per le persone fisiche il testo finale per fortuna è stato in parte modificato, rispetto al testo originario, rendendolo meno pesante.
Per le persone fisiche: 1) è stata introdotta la causa di non punibilità di pagamento del debito tributario se avviene prima di qualsiasi accertamento; 2) sono state mitigate le pene, in alcuni casi di soli sei mesi ma bastevoli per evitare le misure cautelari e le intercettazioni; 3) rimaste intatte le soglie di rilevanza penale: € 150.000 per omesso versamento delle ritenute ed € 250.000,00 omesso versamento Iva; 4) confisca di sproporzione solo in casi di evasione di imposta con due soglie 100 mila e 200 mila euro a seconda dei reati.
Per le persone giuridiche: 1) i casi di reati presupposto sono i 2 casi di dichiarazione fraudolenta (fatturazione o documentazione oppure attraverso altri artifizi); 2) Le sanzioni pecuniarie, attraverso il meccanismo delle quote che può variare da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.549, aumentabile fino ad 1\3; 3) quanto alle sanzioni interdittive inizialmente non previste nella riforma si applicano anche in via cautelare e prevedono il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, la decadenza da finanziamenti e agevolazioni pubbliche, il divieto di pubblicizzare prodotti.
Nessuna norma compensatoria rispetto alla durezza della riforma, se si pensa che moltissime aziende vanno in concordato o falliscono a causa degli omessi pagamenti della P.A..
On. Avv. Giuseppe Scozzari
Continua#ambientecodiciaspecchio. Corte di giustizia UE e Cassazione criteri unici codici a specchio.
La Corte di Cassazione con la sentenza 47288/2019, recepisce le indicazioni della Corte di Giustizia UE relativamente alla procedura per la classificazione dei rifiuti con “codice a specchio”. Si tratta di quei rifiuti non immediatamente individuati né individuabili relativamente alla loro pericolosità e ciò per le caratteristiche intrinseche degli stessi. In tema di rifiuti a specchio i problemi sono stati sempre legati al procedimento per la verifica della pericolosità, la giurisprudenza ha da sempre oscillato tra un criterio decisamente garantista (la pericolosità va provata con analisi affidabili) ed un criterio probabilista (bastano alcuni indici rivelatori per dichiararne la pericolosità). La Corte europea traccia una terza via attraverso una ricerca modulare e sostanzialmente mediana tra le due opposte tesi. La Corte infatti individua tre criteri da seguire nella ricerca della pericolosità: 1) ricercare le informazioni sul processo chimico di fabbricazione di determinati prodotti; 2) verifica delle informazioni del produttore originario del prodotto prima che diventasse rifiuto; 3) verifica delle banche dati degli Stati membri relative alle analisi e campionamenti dei rifiuti.
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua#controllogiudiziale – CDS L’interdittiva va sospesa.
L’art. 34-bis del Codice Antimafia (L. 161/2017) introduce l’istituto del “Controllo Giudiziale” concesso dal giudice penale nel caso in cui riscontri una collaborazione “occasionale” tra i vertici di una impresa e l’organizzazione criminale. Si tratta di un istituto che mira da un lato a non spossessare l’imprenditore della propria azienda, tutelando il diritto costituzionale della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), dall’altro a tutelare l’ordine pubblico. Ovviamente sono previste una serie di misure a cui l’imprenditore dovrà attenersi in funzione del risanamento aziendale. È una azione meno pesante dell’amministrazione giudiziaria foriera di innumerevoli fallimenti di imprese sottoposte al controllo totalizzante, che lo Stato spesso ha affidato a soggetti poco competenti i quali hanno avuto solo di mira i propri interessi economico personali, piuttosto che quelli dell’azienda che amministravano.
Il Consiglio di Stato con due ordinanze, n. 5482\19 (presidente Lipari) e n. 4873 (presidente Frattini), ha disposto la sospensione del processo amministrativo «sino al decorso del termine di efficacia del controllo giudiziario». Tale provvedimento sospende gli effetti dell’interdittiva, cui era stata destinataria l’impresa, dando quindi piena operatività economica alla stessa successivamente sottoposta al “Controllo Giudiziale”.
Il CDS ha dato preminenza al monitoraggio soft da parte dello Stato concedendo un’altra opportunità all’impresa che per ragioni varie può avere avuto un rapporto con l’organizzazione criminale del territorio in cui opera.
Finalmente un po’ di buon senso!!
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale Tributario (art. 3 Dlgs 74/00): può essere condannato a titolo di dichiarazione fraudolenta chi fa un uso improprio del regime del margine.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 42147 della III sez. penale, si è soffermata sul tema della qualificazione penale della condotta di chi, impropriamente, fa ricorso al meccanismo che permette di applicare l’IVA solamente sul margine di vendita, ovvero sulla differenza tra il corrispettivo percepito e il valore di acquisto del bene.
La vicenda, oggetto della sentenza, coinvolgeva l’amministratore di una serie di società che acquistava all’estero autovetture, esenti da IVA, che sarebbe dovuta essere poi caricata per l’intero valore del bene in occasione della prima operazione di rivendita in Italia; senonché le successive cessioni dei veicoli ai privati venivano effettuate mediante il ricorso al cd. Regime del margine, il quale implica l’applicazione dell’IVA solo sulla differenza tra il prezzo finale del bene e quello pagato precedentemente dal rivenditore, facendo figurare così gli acquirenti finali come diretti acquirenti delle auto all’estero, sulla base di false dichiarazioni sostitutive di atto notorio.
La S. C. ha rigettato il ricorso del difensore che contestava la stessa configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante “altri artifizi” e l’inesistenza di un fenomeno di evasione dell’Iva, atteso che non si trattava di un’imposta riscossa e non versata, ma solo non applicata.
In particolare, la S. C., nel confermare il sequestro preventivo per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti a carico dell’amministratore legale delle società, ha sottolineato che nell’annotazione delle fatture, recante la dizione “operazioni in regime del margine ex Dl 41 del 1995”, rinviene proprio quel quid pluris rispetto alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligatorie e, cioè, una condotta connotata da particolare insidiosità derivante dall’impiego di artifici idonei ad ostacolare l’accertamento della falsità contabile, necessario ai fini della configurabilità del reato ex art. 3 del D. lgs 74/00.
In questi casi, ha chiarito la Corte, le fatture recano un’annotazione che qualifica l’operazione economica in modo non corretto, prefigurando l’esistenza di presupposti in realtà insussistenti pur se annotate nei registri in considerazione del regime giuridico indebitamente applicato, così venendo confermata la presenza degli indicati presupposti atti a creare un artificioso apparato documentale.
La S.C., citando l’art. 1 dello stesso decreto legislativo ha chiarito, inoltre, che ai fini della configurabilità del fatto di “evasione di imposta”, non è necessario che il tributo sia stato riscosso e non versato, ma è sufficiente che l’importo stesso sia stato indicato in dichiarazione in misura diversa ed inferiore rispetto a quello dovuto.
Circostanza, quest’ultima, che era stata riscontrata nel caso di specie, in cui nella dichiarazione fiscale l’Iva era stata determinata con l’illegale applicazione del regime del margine, indicando quindi, una misura inferiore a quella effettivamente dovuta, perché calcolato non sull’intero valore del bene, così come giuridicamente necessario in applicazione dell’ordinaria disciplina delle operazioni intracomunitarie, bensì solo sulla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rivendita del bene.
Alla luce della richiamata pronuncia della Corte di Cassazione, dunque, si può ritenere che:
-la scorretta applicazione del cd. Regime del margine, in caso di insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, integra uno dei “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre l’amministrazione in errore”, quando è realizzata mediante l’apposizione sulle fatture della dicitura “operazione in regime del margine ex D.L. N.41 del 1995;
– l’indicazione in misura diversa ed inferiore del tributo rispetto a quello dovuto è sufficiente ai fini della configurabilità del reato di cui all’ art. 3 del D.lgs 74/00 per impiego illecito del regime del margine.
Dott.ssa Daniela Cappello
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaInfortuni sul lavoro: la Cassazione prosegue sulla linea di una interpretazione ragionevole e coerente con la vita reale di chi fa impresa.
La Cassazione con la sent. 32507/19 ha escluso la responsabilità del datore di lavoro quando il lavoratore agisce in maniera imprudente.
Due i temi esplorati dalla S.C.: 1) verifica della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato sotto l’aspetto del nesso di causalità; 2) analisi dell’elemento soggettivo in termini di colpa in capo al datore di lavoro.
La novità della pronuncia consiste nel fatto che la condotta imprudente del lavoratore può interrompere il nesso causale, quindi non solo nel caso in cui sia abnorme ma anche imprudente e quindi rientrante nell’ambito delle sue attribuzioni lavorative.
Con riferimento all’elemento soggettivo, secondo la S.C., la causalità della colpa deve essere valutata in relazione alla violazione della norma cautelare, nei confronti della quale il datore di lavoro assume la posizione di garante.
La vicenda in esame riguarda un lavoratore del settore RSU deceduto a seguito di caduta da un camion durante le operazioni di raccolta.
La S.C. ha annullato senza rinvio la condanna nei confronti del datore di lavoro perché, il lavoratore imprudentemente e violando le indicazioni impostegli dal capo squadra e dal documento di valutazione dei rischi, si era “appeso” al mezzo in movimento nonostante la mancanza dell’apposita pedana. Non riconosciute come concausa la mancata formazione e informazione del lavoratore né l’omessa vigilanza sul comportamento del lavoratore.
La Corte ha sostenuto che la pericolosità della manovra era tale che anche se fosse stato formato l’incidente si sarebbe verificato lo stesso.
on. avv. Giuseppe Scozzari
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