XVII CONGRESSO SEZIONE CAMPANO SICILIANA SOCIETÀ ITALIANA DI NEFROLOGIA
L’avv. Giuseppe Scozzari sarà relatore e tratterà il tema: la responsabilità penale, civile ed erariale.
Noto, 9-11 MAGGIO 2019 – Grand Hotel Sofia
ContinuaReati tributari: anche i professionisti devono giustificare i movimenti dei propri conti correnti bancari.
Le presunzioni nel processo tributario non costituiscono prova nel processo, ma indizi che dovranno essere valutati liberamente dal giudice, unitamente ad elementi esterni che convalidino l’illiceità della condotta.
La S.C. con un costante orientamento che delinea i limiti di applicabilità delle presunzioni tributarie nell’ambito del processo penale, pur non costituendo di per sé prova della sussistenza del reato, costituiscono dati di fatto che devono essere valutati dal giudice liberamente, insieme ad elementi di riscontro a riprova della illiceità della condotta. La S.C. con la pronuncia della Sezione III penale, sentenza 27 marzo 2019 n. 13334 ha esteso l’applicabilità del suddetto principio anche ai compensi dei professionisti.
Secondo la S.C. “il principio ha portata generale visto che si applica sia al reddito di impresa che a quello da lavoro autonomo e professionale”.
Pertanto sia i prelevamenti che i versamenti che transitano nel conto del professionista devono avere una loro giustificazione, sia nel caso che derivino da attività professionale, sia che derivino da attività diverse non imputabile alla professione.
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaProcedura Penale. Art. 517 cpp. Nuove contestazioni. La Corte Costituzionale innesta nel codice un nuovo tassello garantista.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 82/19 ha ritenuto illegittima la mancata previsione, nell’art. 517 cpp, per l’imputato di chiedere nel corso del dibattimento l’applicazione della pena (patteggiamento) nel caso di nuove contestazioni.
Secondo il giudice a quo tale mancata previsione determinava una ingiustificata violazione del diritto di difesa ed una disparità tra soggetti processuali, ossia tra un imputato che ha ricevuto sin dalle prima battute le contestazioni di reato complete e chi, per responsabilità spesso dei PPMM, invece le ha “subite” nel corso del processo.
La Consulta sposa un orientamento decisamente garantista che va nella direzione dello spirito accusatorio cui dovrebbe essere uniformato il nostro codice di procedura penale.
Questa pronuncia costituisce un importante argine in chiave garantista rispetto al deleterio fenomeno delle contestazioni tardive, benevolmente quasi sempre fatte passare dai tribunali in soccorso dei PPMM, soprattutto nei casi di contestazioni “patologiche”, che sono un vero e proprio affronto al sistema accusatorio.
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale Tributario: Omesso versamento Iva: va dimostrata la forza maggiore che ha impedito l’assolvimento dell’obbligo
Sempre più stringenti le condizioni poste dalla S.C. per dimostrare la sussistenza della scriminante della forza maggiore (art. 45 c.p.) nell’ipotesi di reato di omesso versamento dell’Iva (art. 10-ter Dlgs n. 74/00).
La S.C. torna ancora sull’argomento con la sentenza 12909/2019 ponendo, nella scia delle precedenti pronunce, ulteriori paletti asserendo che un imprenditore per dimostrare la sussistenza della “forza maggiore” non deve limitarsi ad enunciare lo stato di crisi della propria impresa e nemmeno che a causa della crisi ha preferito, ad esempio, pagare le cose più urgenti quali gli stipendi ai dipendenti. Secondo la S.C. spetta alla difesa un ulteriore onere di allegazione probatorio atto a dimostrare che l’imprenditore ha fatto l’impossibile per far fronte al debito tributario. In altri termini la scriminante sussiste se la difesa prova la crisi non è imputabile all’imprenditore, che questi ha fatto ricorso a tutti i mezzi (incluso l’indebitamento bancario) anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale. Invocare le precarie precarie condizioni economiche non è di per se sufficiente ad integrare la scriminante in oggetto. La causa di “forza maggiore” non può fondarsi sulla semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso, ma deve sostanziarsi nell’assoluta impossibilità di far fronte al versamento dell’imposta collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente. In altri termini all’imprenditore viene richiesta una probatio diabolica che avrebbe come base anche la condotta dello stesso mirata ad esaurire le proprie risorse personali, nonché al conseguente rischio di sopravvivenza dello stesso e della propria famiglia.
ContinuaDiritto Penale: Il Giudice dell’esecuzione può modificare l’esecuzione di una decisione passata in giudicato.
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12916 del 2019 ha affermato che il Giudice dell’esecuzione può modificare l’esecuzione di una decisione passata in giudicato. La decisione prende le mosse dal rigetto, da parte del Giudice dell’esecuzione, dell’istanza di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 2016 che aveva dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 181, comma 1-bis, d.lgs 42/2004, che ha integrato la fattispecie della contravvenzione prevista dal primo comma per ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente. La sentenza della Corte di Cassazione, a fronte di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha affermato che in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale che incida sul trattamento sanzionatorio, il Giudice dell’esecuzione deve intervenire non solo sulla misura della pena ma anche dichiarare l’estinzione del reato quando accerti che i termini di cui agli artt. 157 ss. cod. pen. siano interamente spirati alla data dell’ultima sentenza di merito.
La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione si inserisce nel processo di erosione dell’intangibilità del giudicato. Molte pronunce della Suprema Corte (cfr. Corte cost. n. 210/2013, Sez. U. n. 18821/2014) hanno ribadito il concetto secondo cui, la restrizione della libertà personale del condannato deve avvenire secondo delle leggi conformi alla Costituzione. Se in fase di esecuzione una legge viene dichiarata incostituzionale, il Giudice dell’esecuzione, che è garante della legalità della pena in fase esecutiva, deve ricondurre la pena inflitta a legittimità.
Dott.ssa Roberta Mossuto
ContinuaDiritto Civile: Il Comune è responsabile per l’errore commesso dal proprio funzionario.
l Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 803 del 2018, ha accolto la domanda di risarcimento dei danni promossa da un cittadino, a causa del fatto illecito commesso dal funzionario del Comune.
La vicenda trae origine dalla richiesta, da parte di un cittadino, di rilascio del certificato di destinazione urbanistica di un immobile che lo stesso intendeva acquistare. L’ingegnere capo del Comune, pertanto, rilasciava il suddetto certificato, dal quale risultava che il terreno fosse idoneo all’edificazione in ossequio al PRG dello stesso Comune.
Sicché il cittadino, facendo affidamento sulla certificazione rilasciata dall’ente, procedeva all’acquisto del terreno, sul quale intendeva costruire un fabbricato. Tuttavia, al momento del rilascio della concessione edilizia, un altro funzionario dello stesso Comune rilevava l’improcedibilità dell’istanza, poiché l’immobile risultava insistente su un’area inedificabile.
Pertanto, l’acquirente adiva l’autorità giudiziaria al fine di ristorare il danno subìto dalla condotta illecita del funzionario, che aveva rilasciato il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile.
Il Tribunale, investito della questione, ha osservato che, la condotta del funzionario, che aveva rilasciato un documento attestante una situazione urbanistica non rispondente al P.R.G., costituisce fatto illecito colposo, con conseguente violazione dell’affidamento ingenerato nel privato dall’atto amministrativo.
Ciò posto, dal fatto illecito commesso dal funzionario del comune, e per l’effetto riconducibile all’ente di appartenenza, ne sarebbe derivato al privato un danno, riconducibile alla categoria del c.d. danno conseguenza.
Pertanto, il Tribunale di Frosinone ha condannato il Comune al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa, subìti dal cittadino a causa delle spese sostenute per l’avvio della procedura amministrativa connessa all’edificazione del fabbricato.
Dott. Gaspare Tesè
ContinuaAmministrativo ambientale: Il responsabile dell’inquinamento risponde anche alla sola presenza di indizi.
In materia ambientale, com’è noto, uno dei principi che governa il settore è quello del “chi inquina paga”, sancito dalla normativa nazionale, europea ed internazionale.
Tuttavia, spesso risulta estremamente difficoltoso procedere all’individuazione del responsabile dell’inquinamento, come nell’ipotesi, finita sui banchi del Consiglio di Stato e decisa con la sentenza n. 7121 del 16.12.2018, di cessione di un ramo di azienda.
Ed è proprio quando non è possibile individuare con certezza il responsabile dell’inquinamento che il principio “chi inquina paga” rischia di essere vanificato.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7121/2018 ha risolto un contrasto giurisprudenziale in merito all’applicabilità del suddetto principio. Secondo un primo orientamento, fatto proprio dalla difesa, in base al principio “chi inquina paga” sarebbe responsabile solo colui che “abbia … in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità” (Cfr. Cons. di Stato, VI, 5 ottobre 2016, n. 4119).
Per un secondo orientamento, invece, al fine di accertare la sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area ed inquinamento dell’area medesima trova applicazione il canone civilistico del “più probabile che non” (Cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5668/2017).
Il Consiglio di Stato ha, pertanto, aderito a tale orientamento precisando che, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, la giurisprudenza amministrativa, suffragata anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esclude l’applicazione dei canoni penalistici dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che, al fine di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, tra la produzione del rischio ed il verificarsi dell’evento, occorre che vi siano indizi plausibili in grado di dar fondamento alla presunzione di responsabilità del soggetto individuato, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato, nonché la corrispondenza delle sostanze inquinanti ritrovate con quelle prodotte.
In conclusione, il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha notevolmente alleggerito l’onus probandi” in capo all’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale.
ContinuaCOMPRAVENDITA IMMOBILI ABUSIVI: BASTA UN TITOLO EDILIZIO PER ESCLUDERE LA NULLITA’.
La corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 8230/2019), risolvendo un precedente contrasto, ha emesso un’importante pronuncia in materia di compravendita di immobili “abusivi”, sancendo la commerciabilità di un edificio in presenza di un titolo edilizio pur se la costruzione è stata realizzata in difformità.
Con la detta pronuncia la Suprema Corte ha risolto il contrasto giurisprudenziale sorto in merito all’interpretazione della sanzione della nullità prevista dalla Legge n. 47 del 1985, articoli n. 17 e 40, e dall’articolo 46 del Testo Unico in materia Edilizia, D.P.R. n. 380/2001.
Ed infatti, in materia si contrapponevano due diversi orientamenti: il primo, in affermazione di un principio di cd. “nullità formale”, riteneva la validità delle compravendite sulla base della semplice esistenza del titolo edilizio anche in presenza di variazioni essenziali nella realizzazione dell’immobile; in altre parole, le necessarie dichiarazioni nell’atto da parte dell’alienante costituiscono il requisito formale del contratto cosicché è la loro eventuale assenza a determinare la nullità dell’atto.
Il secondo orientamento, più recente, aveva invece accolto la tesi della cd. “nullità sostanziale”, ritenendo la nullità di tutte le compravendite relative ad immobili costruiti in assenza di titolo edilizio o comunque realizzati in difformità o con variazioni essenziali rispetto al titolo medesimo; alla luce di tale orientamento l’adempimento dell’obbligo di dichiarazione in seno all’atto del titolo edilizio presuppone che detta documentazione vi sia effettivamente e riguardi la costruzione in concreto realizzata, con la conseguenza di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico.
La Suprema Corte, in accoglimento della teoria della cd. “nullità formale”, ha aderito all’indirizzo più risalente, riconducendo la nullità nell’ambito dell’articolo 1418, comma, 3 c.c. e definendola come “nullità testuale”.
Si tratta di un’importante pronuncia che, si spera, potrebbe dare un impulso al mercato delle compravendite immobiliari, attualmente in crisi, favorendo anche la commercializzazione di quegli immobili realizzati con “abusi minori” che non poche incertezze avrebbero determinato nella pratica concreta.
La più facile commercializzazione degli immobili urbanisticamente non in regola, naturalmente, non deve scoraggiare gli acquirenti: quest’ultimi, infatti, potranno tutelarsi con i normali rimedi previsti dal codice civile (risoluzione, riduzione del prezzo, risarcimento del danno).
Avv. Angelo Sutera
ContinuaDiritto penale: L’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non impedisce la disposizione della confisca urbanistica.
La sanzione della confisca è prevista all’art. 240 del codice penale ed in base alle sue disposizioni secondo il quale il giudice può ordinare che le cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato o le cose che sono state “prodotto” o “profitto” del reato, siano sottoponibili alla misura di sicurezza patrimoniale della confisca, ma solo nel caso in cui vi sia condanna dell’imputato.
La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito, a seguito di una vicenda processuale avviata per il reato di lottizzazione abusiva ex art. 44 lett c) del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’edilizia), che la prescrizione del reato (che costituisce causa di estinzione del reato) non incide necessariamente sulla confisca urbanistica di terreni ed immobili. Sulla questione si era già pronunciata la Corte di Appello di Catania, che aveva dichiarato estinto il reato per il maturare della prescrizione ed aveva confermato la confisca dei terreni e delle opere abusive in sequestro. Gli ermellini, tuttavia, hanno annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello poiché, quest’ultima, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, aveva confermato la confisca dei beni oggetto del reato senza però procedere all’analisi delle doglianze sollevate dalla difesa degli imputati e senza aver accertato in contraddittorio -con tutte le garanzie che da esso discendono, prima fra tutte quella del diritto di difesa- la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, necessari affinchè potesse confermare la disposizione della misura di sicurezza della confisca.
Sul tema della disposizione della confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza formale di condanna a causa della prescrizione, è risultata fondamentale e di estremo rilievo una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha chiarito che i principi di legalità e colpevolezza (art. 7 CEDU) e della presunzione di non colpevolezza (art. 6 CEDU), non risultano violati (come è invece è accaduto nel caso in esame con la pronuncia sopracitata della Corte d’Appello di Catania) qualora i giudici aditi si pronuncino accertando, nel corso del processo, l’esistenza del reato e la responsabilità degli imputati e non mancando di attuare ogni garanzia di tipo processuale penale. Dunque, nel caso in cui i Tribunali dovessero pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere a causa della sola prescrizione e dovessero, a loro volta, accertare che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva, potranno ordinare la confisca dei terreni e delle opere abusive. Proprio secondo tale criterio ermeneutico della Corte europea, con sentenza n. 5936 del 2018, la Suprema Corte ha quindi annullato la pronuncia della Corte d’Appello di Catania, disponendo il rinvio ad altra sezione per un nuovo esame che verta sui principi testé enunciati.
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