SEQUESTRO PER OMESSO VERSAMENTO RITENUTE. SEQUESTRABILE SOLO IL SALDO PRESENTE SUL CONTO ALLA SCADENZA DEL TERMINE PER VERSARE L’IMPOSTA.
Il tempus commissi delicti costituisce il limite temporale di riferimento per circoscrivere la somma sequestrabile.
La S.C. con una decisione (22061/19) che finalmente fa chiarezza, ha statuito l’illegittimità del sequestro eseguito per somme superiori ai saldi presenti sul conto corrente al momento di scadenza del versamento dell’imposta omessa.
Si tratta di una vicenda nella quale un imprenditore aveva omesso il versamento delle ritenute. Il GIP aveva disposto il sequestro di una somma ben superiore rispetto a quella presente nei saldi del conto corrente alla data di scadenza dell’imposta.
Si confida in una futura uniformità di orientamento sia della S.C. che dei giudici di merito.
on. avv. Giuseppe Scozzari
XVII CONGRESSO SEZIONE CAMPANO SICILIANA SOCIETA’ ITALIANA DI NEFROLOGIA. INTERVENTO AVV. GIUSEPPE SCOZZARI LA RESPONSABILITA’ PENALE, CIVILE ED ERARIALE.
La tematica della colpa professionale del medico rappresenta una di quelle questioni maggiormente dibattute dalla letteratura giuridica penalistica e civilistica.
ContinuaXVII CONGRESSO SEZIONE CAMPANO SICILIANA SOCIETÀ ITALIANA DI NEFROLOGIA
L’avv. Giuseppe Scozzari sarà relatore e tratterà il tema: la responsabilità penale, civile ed erariale.
Noto, 9-11 MAGGIO 2019 – Grand Hotel Sofia


Reati tributari: anche i professionisti devono giustificare i movimenti dei propri conti correnti bancari.
Le presunzioni nel processo tributario non costituiscono prova nel processo, ma indizi che dovranno essere valutati liberamente dal giudice, unitamente ad elementi esterni che convalidino l’illiceità della condotta.
La S.C. con un costante orientamento che delinea i limiti di applicabilità delle presunzioni tributarie nell’ambito del processo penale, pur non costituendo di per sé prova della sussistenza del reato, costituiscono dati di fatto che devono essere valutati dal giudice liberamente, insieme ad elementi di riscontro a riprova della illiceità della condotta. La S.C. con la pronuncia della Sezione III penale, sentenza 27 marzo 2019 n. 13334 ha esteso l’applicabilità del suddetto principio anche ai compensi dei professionisti.
Secondo la S.C. “il principio ha portata generale visto che si applica sia al reddito di impresa che a quello da lavoro autonomo e professionale”.
Pertanto sia i prelevamenti che i versamenti che transitano nel conto del professionista devono avere una loro giustificazione, sia nel caso che derivino da attività professionale, sia che derivino da attività diverse non imputabile alla professione.
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaProcedura Penale. Art. 517 cpp. Nuove contestazioni. La Corte Costituzionale innesta nel codice un nuovo tassello garantista.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 82/19 ha ritenuto illegittima la mancata previsione, nell’art. 517 cpp, per l’imputato di chiedere nel corso del dibattimento l’applicazione della pena (patteggiamento) nel caso di nuove contestazioni.
Secondo il giudice a quo tale mancata previsione determinava una ingiustificata violazione del diritto di difesa ed una disparità tra soggetti processuali, ossia tra un imputato che ha ricevuto sin dalle prima battute le contestazioni di reato complete e chi, per responsabilità spesso dei PPMM, invece le ha “subite” nel corso del processo.
La Consulta sposa un orientamento decisamente garantista che va nella direzione dello spirito accusatorio cui dovrebbe essere uniformato il nostro codice di procedura penale.
Questa pronuncia costituisce un importante argine in chiave garantista rispetto al deleterio fenomeno delle contestazioni tardive, benevolmente quasi sempre fatte passare dai tribunali in soccorso dei PPMM, soprattutto nei casi di contestazioni “patologiche”, che sono un vero e proprio affronto al sistema accusatorio.
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaPenale Tributario: Omesso versamento Iva: va dimostrata la forza maggiore che ha impedito l’assolvimento dell’obbligo
Sempre più stringenti le condizioni poste dalla S.C. per dimostrare la sussistenza della scriminante della forza maggiore (art. 45 c.p.) nell’ipotesi di reato di omesso versamento dell’Iva (art. 10-ter Dlgs n. 74/00).
La S.C. torna ancora sull’argomento con la sentenza 12909/2019 ponendo, nella scia delle precedenti pronunce, ulteriori paletti asserendo che un imprenditore per dimostrare la sussistenza della “forza maggiore” non deve limitarsi ad enunciare lo stato di crisi della propria impresa e nemmeno che a causa della crisi ha preferito, ad esempio, pagare le cose più urgenti quali gli stipendi ai dipendenti. Secondo la S.C. spetta alla difesa un ulteriore onere di allegazione probatorio atto a dimostrare che l’imprenditore ha fatto l’impossibile per far fronte al debito tributario. In altri termini la scriminante sussiste se la difesa prova la crisi non è imputabile all’imprenditore, che questi ha fatto ricorso a tutti i mezzi (incluso l’indebitamento bancario) anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale. Invocare le precarie precarie condizioni economiche non è di per se sufficiente ad integrare la scriminante in oggetto. La causa di “forza maggiore” non può fondarsi sulla semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso, ma deve sostanziarsi nell’assoluta impossibilità di far fronte al versamento dell’imposta collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente. In altri termini all’imprenditore viene richiesta una probatio diabolica che avrebbe come base anche la condotta dello stesso mirata ad esaurire le proprie risorse personali, nonché al conseguente rischio di sopravvivenza dello stesso e della propria famiglia.
ContinuaDiritto Penale: Il Giudice dell’esecuzione può modificare l’esecuzione di una decisione passata in giudicato.
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12916 del 2019 ha affermato che il Giudice dell’esecuzione può modificare l’esecuzione di una decisione passata in giudicato. La decisione prende le mosse dal rigetto, da parte del Giudice dell’esecuzione, dell’istanza di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 2016 che aveva dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 181, comma 1-bis, d.lgs 42/2004, che ha integrato la fattispecie della contravvenzione prevista dal primo comma per ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente. La sentenza della Corte di Cassazione, a fronte di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha affermato che in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale che incida sul trattamento sanzionatorio, il Giudice dell’esecuzione deve intervenire non solo sulla misura della pena ma anche dichiarare l’estinzione del reato quando accerti che i termini di cui agli artt. 157 ss. cod. pen. siano interamente spirati alla data dell’ultima sentenza di merito.
La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione si inserisce nel processo di erosione dell’intangibilità del giudicato. Molte pronunce della Suprema Corte (cfr. Corte cost. n. 210/2013, Sez. U. n. 18821/2014) hanno ribadito il concetto secondo cui, la restrizione della libertà personale del condannato deve avvenire secondo delle leggi conformi alla Costituzione. Se in fase di esecuzione una legge viene dichiarata incostituzionale, il Giudice dell’esecuzione, che è garante della legalità della pena in fase esecutiva, deve ricondurre la pena inflitta a legittimità.
Dott.ssa Roberta Mossuto
ContinuaDiritto Civile: Il Comune è responsabile per l’errore commesso dal proprio funzionario.
l Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 803 del 2018, ha accolto la domanda di risarcimento dei danni promossa da un cittadino, a causa del fatto illecito commesso dal funzionario del Comune.
La vicenda trae origine dalla richiesta, da parte di un cittadino, di rilascio del certificato di destinazione urbanistica di un immobile che lo stesso intendeva acquistare. L’ingegnere capo del Comune, pertanto, rilasciava il suddetto certificato, dal quale risultava che il terreno fosse idoneo all’edificazione in ossequio al PRG dello stesso Comune.
Sicché il cittadino, facendo affidamento sulla certificazione rilasciata dall’ente, procedeva all’acquisto del terreno, sul quale intendeva costruire un fabbricato. Tuttavia, al momento del rilascio della concessione edilizia, un altro funzionario dello stesso Comune rilevava l’improcedibilità dell’istanza, poiché l’immobile risultava insistente su un’area inedificabile.
Pertanto, l’acquirente adiva l’autorità giudiziaria al fine di ristorare il danno subìto dalla condotta illecita del funzionario, che aveva rilasciato il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile.
Il Tribunale, investito della questione, ha osservato che, la condotta del funzionario, che aveva rilasciato un documento attestante una situazione urbanistica non rispondente al P.R.G., costituisce fatto illecito colposo, con conseguente violazione dell’affidamento ingenerato nel privato dall’atto amministrativo.
Ciò posto, dal fatto illecito commesso dal funzionario del comune, e per l’effetto riconducibile all’ente di appartenenza, ne sarebbe derivato al privato un danno, riconducibile alla categoria del c.d. danno conseguenza.
Pertanto, il Tribunale di Frosinone ha condannato il Comune al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa, subìti dal cittadino a causa delle spese sostenute per l’avvio della procedura amministrativa connessa all’edificazione del fabbricato.
Dott. Gaspare Tesè
ContinuaAmministrativo ambientale: Il responsabile dell’inquinamento risponde anche alla sola presenza di indizi.
In materia ambientale, com’è noto, uno dei principi che governa il settore è quello del “chi inquina paga”, sancito dalla normativa nazionale, europea ed internazionale.
Tuttavia, spesso risulta estremamente difficoltoso procedere all’individuazione del responsabile dell’inquinamento, come nell’ipotesi, finita sui banchi del Consiglio di Stato e decisa con la sentenza n. 7121 del 16.12.2018, di cessione di un ramo di azienda.
Ed è proprio quando non è possibile individuare con certezza il responsabile dell’inquinamento che il principio “chi inquina paga” rischia di essere vanificato.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7121/2018 ha risolto un contrasto giurisprudenziale in merito all’applicabilità del suddetto principio. Secondo un primo orientamento, fatto proprio dalla difesa, in base al principio “chi inquina paga” sarebbe responsabile solo colui che “abbia … in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità” (Cfr. Cons. di Stato, VI, 5 ottobre 2016, n. 4119).
Per un secondo orientamento, invece, al fine di accertare la sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area ed inquinamento dell’area medesima trova applicazione il canone civilistico del “più probabile che non” (Cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5668/2017).
Il Consiglio di Stato ha, pertanto, aderito a tale orientamento precisando che, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, la giurisprudenza amministrativa, suffragata anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esclude l’applicazione dei canoni penalistici dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che, al fine di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, tra la produzione del rischio ed il verificarsi dell’evento, occorre che vi siano indizi plausibili in grado di dar fondamento alla presunzione di responsabilità del soggetto individuato, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato, nonché la corrispondenza delle sostanze inquinanti ritrovate con quelle prodotte.
In conclusione, il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha notevolmente alleggerito l’onus probandi” in capo all’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale.
Continua