TIROCINIO: IL PRATICANTE AVVOCATO POTRÀ PER 12 MESI FARE PRATICA PRESSO UN UFFICIO DEL GIUDICE
TIROCINIO AVVOCATI | 03 Maggio 2016
Una auspicata ed invocata opportunità per quanti, giovani laureati in giurisprudenza, attendevano questo provvedimenti che consentirà loro di svolgere il tirocinio anche in Tribunale accanto ad un giudice. Come fare la domanda ed i requisiti necessari e l’attività, si trovano pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 3 maggio scorso il decreto n. 58 del 17 marzo 2016 (pubblicata anche nel nostro sito), concernente il regolamento recante disciplina dell’attività di praticantato del praticante avvocato presso gli uffici giudiziari.
La pratica potrà durare 12 mesi e non oltre, non esclude la pratica parallela presso uno studio legale, con gli ovvi obblighi legati al riserbo professionale ed al dovere di correttezza e segretezza connessi con entrambe le professioni.
Bisognerà essere iscritti presso il registro dei praticanti nel distretto in cui si esercita e si chiede di fare pratica, essere degno ed onorabile.
ContinuaGIUDIZIALECONSULENZA S.U. – ART. 2621 C.C. – IL FALSO IN BILANCIO “VALUTATIVO” NON È STATO ABROGATO.
S.U. – Art. 2621 c.c. – Il falso in bilancio “valutativo” non è stato abrogato. Fondamentale – per non incorrere nel delitto – applicare i criteri di valutazione del codice civile, dell’Organismo italiano di contabilità (Oic) e dei principi internazionali (Ias/Irfs) recepiti in Europa.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte dopo una lunga camera di consiglio, nella seduta del 31.03.16, a pochi giorni dalla rimessione della questione da parte della V sez. penale della S.C. (appena il 3 marzo u.s.), hanno emesso un verdetto, che finalmente fa chiarezza rispetto alle contrastanti pronunce dei mesi scorsi sulla controversa questione dell’intervenuta abrogazione o meno del “falso valutativo” previsto dall’art. 2621 c.c., a seguito della riforma voluta dal legislatore con la legge n. 69/15.
Il quesito posto alle S.U. da parte della V sez. verteva sulla seguente questione: “Se la modifica dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 L. n. 69/15 nella parte in cui, disciplinando “le false comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.
In sostanza due pronunce della S.C. (la n. 33774/15 e la n. 6916/15) avevano optato per l’ipotesi parzialmente abrogativa, fondando il ragionamento principalmente sul dato letterale della norma riformata; mentre altre due pronunce (la 890/15 ed un’altra depositata il 30 marzo) avevano optato per l’ipotesi oggi sposata dalle S.U., secondo la quale permane il “falso valutativo” ma a determinate condizioni e quindi, ancorandolo non al mero arbitrio judicis, bensì a dati certi riscontabili nelle norme e nei regolamenti che governano il bilancio.
Sarà certamente interessante leggere le motivazioni integrali della pronuncia delle S.U. ma dall’informazione provvisoria N. 7 diffusa dalla S.C., si traggono importanti elementi in grado di definire i contenuti del – si spera – definitivo orientamento intrapreso dal giudice di legittimità.
Questo in sintesi il ragionamento svolto dalle S.U.:
– Il redattore del bilancio non può discostarsi consapevolmente dai principi di legge i dai principi contabili. In altri termini le valutazioni delle poste annuali di bilancio non possono essere lasciate alla libera “valutazione” dei redattori dello stesso, bensì’ vanno rigorosamente ancorati a criteri legislativi e normativo-regolamentari che governano la materia. Se si discosta dai suddetti criteri deve darne adeguata informazione e motivazione;
– I criteri ispiratori sono il principio di “rilevanza”, di “significatività” o “materialità”. Sono previsti dall’art. 2423 c.c. introdotto con il D.Lgs 139/15; dal principio n. 8 Oic; dagli artt. 1 e 8 Ias ed attiene ad un obbligo di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio; esso è destinato alle società “chiuse” ossia alle società che non fanno ricorso al mercato del credito. Non c’è menzione alcuna all’art. 2622 c.c. destinato alle società aperte (quindi che fanno ricorso al mercato del credito e che possono anche essere valutate in borsa), presupposto questo che non può essere assurto a fondamento dell’ipotesi abrogativa del “falso valutativo”
– Quanto al principio di “rilevanza” nella relazione all’art. 2423 c.c. (introdotta con il D.lgs 127/91), il legislatore – con un gesto di onestà intellettuale – ha riconosciuto la oggettiva non veridicità “assoluta” del bilancio, considerato che esso è intriso di valutazioni, che ontologicamente possono variare da soggetto a soggetto, da criterio interpretativo a criterio interpretativo, da giurisprudenza a giurisprudenza di riferimento al momento della compilazione del bilancio stesso. Quindi i rilievi che le S.U. muovono all’orientamento soccombente (ossia che aveva sancito il de profundis del falso valutativo) è che ogni discostamento da quelli che sono i criteri e principi contabili va comunicato e motivato, altrimenti si cela mala fede e non rispondenza al vero sia esso materiale che valutativo e quindi si versa in ipotesi delittuosa.
Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE, SENTENZA 5 NOVEMBRE 2014-DEP. 11 FEBBRAIO 2015, N. 6184
“Non è possibile per il sostituto del difensore, procuratore speciale del danneggiato dal reato, operare in udienza la costituzione di parte civile in assenza della procura speciale o della parte delegante”. La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 6184 dell’11 febbraio 2015, avalla l’interpretazione più restrittiva del combinato disposto degli artt. 76, 78, 100 e 122 c.p.p., escludendo con tono perentorio che il difensore munito di procura speciale, da lui stesso autenticata, possa delegare al proprio sostituto processuale il potere di costituirsi nel giudizio penale in rappresentanza della parte civile. Tale orientamento si pone in netto contrasto con altre pronunce della Suprema Corte che hanno invero sancito il principio opposto, consentendo la sostituzione processuale, anche ai fini del deposito dell’atto di costituzione di parte civile, allorché la procura speciale conferita al difensore riconosca espressamente la facoltà di subdelega (fra tutte, Cass. pen., sez. V, 27 maggio 2014-dep. 11 luglio 2014, n. 30793). Nel vivace contrasto giurisprudenziale, la sentenza n. 6184/2015 spicca dunque per l’estremo rigore che ha indotto il giudice delle leggi a stabilire che, in ambito penale, «l’azione civile può essere esercitata soltanto da un procuratore speciale abilitato a costituirsi in nome e per conto del rappresentato, secondo le prescrizioni modali degli artt. 76, 78 e 122 cod.proc.pen., e non anche dal sostituto processuale (privo di procura speciale), il quale opera in maniera vicaria rispetto al difensore e non al procuratore speciale» e ciò in quanto “sono delegabili le attività defensionali e non i poteri di natura sostanziale”. Cosa fare allora in caso di insuperabile impedimento del difensore-procuratore speciale a partecipare all’udienza di costituzione delle parti? Al riguardo, la sentenza in esame fornisce una sorta di vademecum: a) la costituzione di parte civile può essere presentata dal difensore-procuratore speciale prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 78, comma 2, c.p.p., ma in tal caso l’atto deve essere notificato alle altre parti processuali; b) sembra rimanere valida la costituzione di parte civile anche a mezzo di sostituto processuale, se avvenuta in presenza della persona offesa, nel qual caso deve ritenersi effettuata direttamente dal titolare del relativo diritto (in tal senso la sentenza de qua fa richiamo a Cass.pen., sez. III, 27.1.2006, n. 13699 e Cass.pen., sez. V, 3.2.2010, n. 19548. Contra Cass.pen., sez. V, 23.10.2009, n. 6680); c) il mandatario può procedere alla nomina di piùprocuratori speciali (dato che l’unicità del mandato al difensore è imposta, ex art. 100 c.p.p., ai soli fini processuali, e non limita, a fini sostanziali, la nomina di più procuratori speciali). La procura speciale rilasciata a più persone va però redatta, inderogabilmente, con atto di notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato ai sensi dell’art. 2703 c.c., dato che il difensore non può autenticare la procura speciale rilasciata ad altri oltre che a se stesso (art. 122, comma 1, c.p.p.). Ad ogni buon conto, ci sentiamo di consigliare sempre, ai fini della costituzione di parte civile, la presenza in aula del difensore-procuratore speciale della persona offesa, la cui legittimazione formale e sostanziale per gli adempimenti di cui agli artt. 76, 78 e 100 c.p.p. rimane l’unica certezza che l’altalenante giurisprudenza della Suprema Corte non ha mai osato mettere in discussione.
Avv. Angelo Sutera
ContinuaGIUDIZIALECONSULENZA L’ANTIRACKET STA FRENANDO, LE INCHIESTE LA DANNEGGIANO
Intervista al Mensile S – Live Sicilia n. 87
Da un quarto di secolo difende vittime del racket. Decine di imprenditori sostenuti, incoraggiati a ribellarsi alle estorsioni da Palermo ad Agrigento, da Trapani a Gela. Adesso Giuseppe Scozzari, un passato da parlamentare della Rete e poi del Ppi (diventando segretario regionale di entrambi i partiti), vede però una “stagnazione” nelle denunce. Effetto, secondo lo Scozzari-pensiero, del “momento difficile per il fronte antimafia”, colpito da inchieste che, “a prescindere dal merito”, hanno portato l’effetto di “delegittimare le persone che hanno avuto un ruolo in questo percorso”. Un percorso iniziato, appunto, oltre 25 anni fa: “Era il 1990 – ricorda – e si stava celebrando il processo ‘Bronx 1’, a Gela. Difesi il primo testimone di giustizia, Nino Miceli”.
Proprio Gela sta vivendo un momento di ribellione. Appena un mese fa le denunce degli imprenditori taglieggiati hanno portato a una retata…
“Sì, ma mi faccia partire dal 1990. Voglio raccontarle una sensazione per farle capire cosa intendo”.
Nino Miceli, diceva.
“Dopo l’uccisione, a Gela, di un gioielliere anti-racket Giordano , Nino Miceli decise di collaborare. Il mio nome gli fu segnalato da Leoluca Orlando ed Alfredo Galasso e così, giovanissimo, mi trovai alla Dda di Caltanissetta. Miceli aveva un autosalone e la cosa che mi colpì di più nella sua storia fu il doppio incendio che la sua azienda subì. Aveva subito il primo, poi aveva iniziato a pagare, poi era arrivato il secondo”.
Cosa era successo?
“Il primo era stato appiccato dalla mafia, il secondo dalla stidda. Gli dissero che doveva rivolgersi anche a loro. Vivere in quel modo, schiavi di una richiesta dopo l’altra, è impossibile. A quel punto decise di denunciare e si trasferì”.
In quel momento storico non era facile.
“No, non lo era. Eppure si stava creando un’attenzione crescente su Gela: il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e il ministro degli Interni Vincenzo Scotti si erano battuti perché anche a Gela ci fosse un tribunale, e le forze dell’ordine inviarono i migliori uomini, ad esempio l’allora colonnello Domenico Tucci. Il clima era difficile, ma era l’inizio di una fase”.
E oggi? Oggi a che punto è quella fase?
“Oggi le istituzioni sono più rodate, le sacche di resistenza si riducono e lo Stato è più attento. È più facile”.
Davvero è più facile?
“Sulla carta sì, ma adesso sono di nuovo giorni complicati. Ci sono fasi di crescita e di regressione dei fenomeni sociali. Dopo l’exploit degli anni scorsi siamo tornati alla stagnazione”.
Perché, secondo lei?
“Oggi assistiamo a un momento difficile per il fronte antimafia. Io ho partecipato alla nascita di molti dei protocolli di legalità di Confindustria, ho assistito in molti processi i suoi associati che hanno denunciato le estorsioni. Vedere oggi quello che sta accadendo a tre figure come Antonello Montante, Roberto Helg e Silvana Saguto è triste”.
Si spieghi.
“Non entro nel merito, perché non conosco le carte. Però questi momenti creano sfiducia, portano alla delegittimazione dei protagonisti di una fase, indeboliscono con le polemiche collegate il percorso degli imprenditori. Destabilizzano la convinzione di chi si approccia a un mondo così difficile. Un mondo che nasconde grandi timori”.
Già. Mi racconti questo aspetto, questi timori.
“Un imprenditore che denuncia si pone essenzialmente due domande: una riguarda la famiglia, l’altra l’azienda. ‘Che succederà adesso a mio figlio?’. ‘Potrò continuare a lavorare?’. Ovviamente l’avvocato è lo sfogo di queste domande”.
Come risponde?
“Rispondo che la mafia non torcerà un capello alla famiglia”.
Facile dire così, senza che ci siano i propri figli di mezzo.
“Ma è vero. Non sono mai stato smentito: la mafia non ha interesse a colpire il parente di un testimone, perché peggiorerebbe la propria posizione. Un delitto sarebbe il riscontro definitivo alle denunce. È cinico, ma è vero”.
All’altra domanda cosa risponde? Cosa accadrà alle aziende?
“È ovvio che l’attività va avanti se sei bravo. A Palermo si dice ‘se sei tu ad aiutarti’: è chiaro che a quel punto bisogna cautelarsi con un antifurto, con un impianto di videosorveglianza, eccetera”.
Faccio l’avvocato del diavolo: è un costo, c’è la crisi.
“Chi decide di collaborare sa che questa decisione avrà un costo. Le dico di più: avrà tanti costi. Non bisogna nascondersi: è un percorso complicato. Questo, però, è il prezzo della libertà. Quanto vale la nostra libertà?”.
Chiaro. Torniamo al punto di partenza: come si inverte la stagnazione?
“Bella domanda. Le istituzioni devono fare la loro parte”.
Come?
“Gli enti locali devono condurre un’attività capillare, creando sinergie con le prefetture, con i sindaci e le associazioni di categoria per dare sicurezza”.
Mi faccia un esempio specifico, altrimenti non la seguo.
“Istituire comitati di sorveglianza e sicurezza, avviare sportelli antiracket per spiegare agli imprenditori in che modo lo Stato può assisterli dopo la denuncia, ad esempio attraverso le agevolazioni per l’accesso al credito. Bisogna far sentire la forza di uno Stato credibile. E poi ci sono le iniziative più specifiche, ad esempio quella dell’area industriale di Agrigento”.
Cosa è successo?
“Ad Agrigento Confindustria ha organizzato un sistema di videosorveglianza nell’area industriale. Per farlo, bisogna dire, ha trovato porte spalancate nel mondo delle istituzioni, come è giusto che accada. Sta di fatto che da allora nell’area industriale non ci sono stati fatti riconducibili al racket. Se lo Stato dimostra di essere in grado di tutelare la famiglia e l’azienda è fatta: tutte le paure dell’imprenditore svaniscono. Lo dobbiamo a chi crede nello Stato. Lo dobbiamo, se vogliamo invertire questa tendenza”.
SCHEDA
Prima la suggestione della magistratura. Poi la politica. Infine il ritorno al primo amore, la professione di avvocato che esercita ad Agrigento, Palermo, Milano e Verona dove ha studio con altri soci. Giuseppe Scozzari è tornato nel suo studio subito dopo la fine dell’esperienza politica: nel 1993 divenne consigliere comunale ad Agrigento e subito dopo segretario regionale della Rete, approdando alla Camera a ventinove anni, nel 1994. Rieletto nella legislatura successiva, non fu invece riconfermato nel 2001 (anno del 61 a 0), quando si presentò alle elezioni Politiche da segretario regionale del Ppi, perse il seggio per meno di 300 voti. Poi, dopo un breve passaggio alla presidenza dell’Udeur in Sicilia, il ritorno alla professione: “A quel punto – racconta adesso – ho deciso di abbandonare la politica. Me l’ha insegnato Orlando: quando vieni ‘silurato’ è meglio farsi da parte. Avevo, e ho, una professione che amo. Sono tornato a quella”.
Ecco l’articolo completo:
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