Diritto penale: Nessuna esimente per il pediatra attendista che omette di effettuare i dovuti esami clinici ed impedisce che vengano fornite tutte le cure vitali necessarie al paziente.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo emessa dalla Corte di Appello di Milano nei confronti di una pediatra che si è mostrata indecisa ed “attendista” allorquando, prima, ha rinviato la visita domiciliare di un bambino che verteva in serie e difficili condizioni di salute e sottovalutando, dopo, i sintomi dello stesso, rivelatisi assai gravi, tali da far presagire un severo quadro clinico di polmonite in atto.
La IV Sezione della Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal difensore escludendo che la sentenza impugnata fosse intrisa da vizi giuridici, men che meno logico-giuridici, oltretutto ritenendo che sussistesse “colpa grave” nella condotta della pediatra medesima.
La difesa ha posto in rilievo il fatto che la dottoressa non assunse alcuna decisione sul piano terapeutico e, di conseguenza, si è limitata a dare solo qualche precauzionale prescrizione medica al bambino, in attesa dell’evolversi delle condizioni di salute del piccolo paziente. In particolare, il difensore della pediatra ha dedotto la contraddittorietà del percorso logico motivazionale dei giudici di Appello, poiché non hanno dato rilievo alle conclusioni difensive e non hanno debitamente spiegato il nesso causale fra le omissioni contestate e l’evento finale (la morte del bambino).
In punto di diritto, dal legale della ricorrente è stato invocato, l’art. 3 della legge n. 189 del 2012 (decreto di riforma dell’allora legge Balduzzi) che concerne l’applicazione di generali linee-guida da parte della comunità medico-scientifica e che prevede: “l’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”; la difesa ha insistito, dunque, su tali disposizioni sostenendo che il comportamento della pediatra, condannata in entrambi i gradi di giudizio, avrebbe dovuto ritenersi “scusabile”, proprio perché avrebbe agito con “colpa lieve” nel rispetto delle linee guida medico-scientifiche.
Tuttavia, è stato appurato dalla Corte che appare corretto addebitare alla pediatra una condotta rivelatasi (e qualificabile come) “ingiustificatamente attendista e di generale sottovalutazione del quadro clinico del paziente”, nonostante i sintomi manifestati avrebbero dovuto indurla ad adottare un approccio medico-diagnostico ben differente, in primis, effettuando la visita domiciliare del bambino (a seguito della telefonata ricevuta dai genitori del piccolo) ed in secundis, in vista del peggioramento delle condizioni di salute, orientando i genitori del paziente stesso a recarsi al più presto in ospedale.
Per i giudici della Corte dunque non è apllicabile nessuna esimente a favore della pediatra, condannata nei gradi di giudizio precedenti dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Milano, poiché è inescusabile che non siano state fornite dalla stessa le cure vitali necessarie per la sopravvivenza (o quantomeno per il miglioramento dello stato di salute) del paziente. D’altra parte, in punto di giudizio, non può nemmeno prescindersi dalla evidente negligenza e dall’imperizia di cui, nel caso in specie, si è connotata la condotta della pediatra.
Pare facile intuire che la Corte di ultima istanza, rigettando il ricorso, è giunta a concludere che “le condotte omissive contestate alla ricorrente abbiano determinato le condizioni dell’evento fatale con alto ed elevato grado di probabilità logica e credibilità razionale”, considerato che, d’altronde, i complessivi sintomi del piccolo paziente, erano stati (prima) descritti telefonicamente dai genitori e (successivamente) le stesse condizioni di salute del bambino, sottoposto a visita, risultarono abbastanza “eloquenti”, tali da dover far presagire un situazione clinica tormentata e complicata.
Un medico, dunque, che omette di effettuare una visita accurata dei parametri vitali di un paziente, che con negligenza e imperizia non formula una corretta diagnosi nonostante il riscontro evidente di gravi sintomi della malattia in atto, è da ritenersi, fuori da ogni ragionevole dubbio, colpevole di omicidio colposo (ai sensi dell’art 589 c.p.). Nel caso in esame, la Corte ha rimarcato “la sussistenza di un consistente allontanamento del comportamento della pediatra da una appropriata condotta medica, certamente qualificabile in termini di colpa grave” ed ha condannando la stessa al pagamento delle spese processuali.
Dott.ssa Anna Maria Signorino Gelo