Diritto penale: possibile la revisione della sentenza di condanna per i soli effetti civili.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 6141 del 2019, hanno risolto il contrasto interpretativo in ordine all’ammissibilità dell’istanza di revisione proposta dall’imputato, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non doversi procedere perché il reato si è estinto per prescrizione, con conferma, tuttavia, della condanna al risarcimento dei danni in favore della sola parte civile costituita.
I Giudici della Suprema Corte, in particolare, hanno riportato i due orientamenti in contrasto secondo i quali:
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in siffatte ipotesi l’istituto della revisione non sarebbe ammissibile, poiché il codice di procedura penale configura tale istituto quale mezzo di impugnazione straordinario nei confronti di sentenze penali di condanna limitatamente ai soli effetti penali (cfr. ex plurimis Cass. sez. I, n. 1672/1992);
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mentre, secondo un orientamento minoritario, la revisione sarebbe ammissibile poiché dal dato letterale dell’art. 629 c.p.p. si evince che, l’istituto della revisione opera genericamente per le “sentenze di condanna” senza precisarne l’oggetto, ovvero se limitatamente ai soli effetti penali o civili (cfr. Cass., sez. V, n. 46707/2016).
La Suprema Corte, nel corposo excursus in ordine al contrasto giurisprudenziale sorto sul tema, non tralascia quanto affermato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 129/2008 secondo cui “… l’avvenuta dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, non [n.d.r. costituisce] affatto sentenza penale di condanna suscettibile di essere impugnata con lo straordinario rimedio della revisione”.
Tuttavia, osserva la Suprema Corte che, accogliendo l’orientamento tradizionale, seppur suffragato dalla pronuncia del Giudice delle Leggi, si creerebbe un vulnus di tutela nei confronti dell’imputato prosciolto per estinzione del reato, ma condannato ai soli effetti civili.
Le Sezioni Unite, quindi, dopo aver sintetizzato i termini del contrasto giurisprudenziale, hanno posto al centro della disamina la questione relativa all’interpretazione della locuzione “condannato” ossia il soggetto esclusivamente legittimato a proporre richiesta di revisione.
Infatti, lo status di condannato, necessario per la richiesta di revisione, viene acquistato dal “soggetto che ha esaurito tutti i gradi del sistema delle impugnazioni ordinarie e rispetto al quale si è formato il giudicato in ordine alla decisione che lo riguarda” (cfr. Cass. SS.UU., n. 13199/2016).
Peraltro, la Suprema Corte, argomentando sulla ratio dell’istituto della revisione richiama la nozione attribuita alla stessa dalla tradizionale dottrina, secondo cui la revisione costituisce il rimedio contro “il pericolo che al rigore delle forme siano sacrificate le esigenze della verità e della giustizia reale”.
Sulla scorta di una di un così nobile fondamento, l’istituto della revisione trova riconoscimento agli artt. 24 e 27 della Carta Costituzionale, all’art. 4, VII Protocollo alla Convezione EDU, nonché all’art 14, §6, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
Pertanto, la Suprema Corte, rifacendosi all’orientamento minoritario, ha rilevato come la lettera dell’art. 629 c.p.p. indichi genericamente, tra i provvedimenti soggetti a revisione, le sentenze di condanna, nonché come il successivo art. 632 c.p.p. indichi quale soggetto legittimato a proporre istanza di revisione il “condannato”.
Orbene, non v’è dubbio alcuno che la sentenza che accoglie l’azione civile nel processo penale costituisca una pronuncia di condanna, atteso che la stessa presuppone indirettamente l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato contestato, seppur limitatamente agli effetti civili.
In conclusione, le Sezioni Unite, dirimendo il contrasto giurisprudenziale sorto sul tema, hanno affermato il seguente principio di diritto: “è ammissibile, sia agli effetti penali che agli effetti civili, la revisione, richiesta ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., della sentenza del giudice di appello che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 578 cod. proc. pen., abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato, e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile”.