#Dirittopenale #Esercizioabusivodellaprofessione #ConsulenteTributario
L’art. 348 c.p. disciplina il reato di “esercizio abusivo di una professione” che si configura quando un soggetto svolge, senza averne i requisiti, qualcuna delle professioni che godono di riserve professionali ex lege.
Con la recente sentenza n.12282 /2020, VI sez. pen., depositata il 20 aprile scorso, la Suprema Corte ha confermato la condanna per il reato ex art. 348 c.p., sottolineando che il mancato utilizzo del titolo di commercialista in fattura ed anche la consapevolezza dei clienti circa la mancanza di abilitazione professionale non escludono il reato se le prestazioni invadono concretamente la sfera riservata agli iscritti all’Albo.
In particolare, nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione la ricorrente, non abilitata all’esercizio della professione di commercialista, era stata condannata in primo e secondo grado a causa delle diverse attività che la consulente svolgeva per due società: tenuta della contabilità, redazione delle dichiarazioni fiscali, predisposizione dei modelli per l’effettuazione dei pagamenti delle imposte, gestione dei dati contabili e fiscali, controllo e verificazione delle imposte patrimoniali ed economiche e, infine, anche un compito di rappresentanza nei rapporti con Equitalia e Agenzia delle Entrate mediante prestazione di assistenza fiscale e tributaria.
Ebbene la Corte, nel respingere la tesi difensiva, ha specificato che integra il reato de quo “il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva ad una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela”.
La Corte ha inoltre sottolineato che l’esplicitazione della mancanza di abilitazione e l’indicazione in fattura che si trattava di compenso per prestazioni di “consulenza di direzione-legale rappresentante iscritto all’Ancot”, non erano tali da poter configurare la scriminante del consenso del singolo destinatario della prestazione abusiva perché l’interesse protetto dalla norma si pone su un piano generale ed oggettivo che esula dai singoli rapporti interpersonali.
Dott.ssa Daniela Cappello