Se fra colleghi vi è scambio di file protetti, si configura il reato di “accesso abusivo in un sistema informatico” di cui all’art. 615-ter del codice penale.
La V Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 565/2019, ha rigettato il ricorso proposto, per tramite del proprio difensore, da un impiegato di banca che aveva chiesto a un collega di lavoro l’invio di dati a cui, per policy aziendale, non aveva accesso ed ha condannato il ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali. Questi, condannato dalla Corte di Appello di Milano per il reato di “accesso abusivo in un sistema informatico” (art. 615-ter c.p.), aveva impugnato la decisione della Corte milanese sostenendo che il semplice invio di una mail tra colleghi non può integrare il profilo oggettivo del reato contestato (“accesso abusivo al sistema”).
Con la sentenza n. 565/2019, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello di Milano che, in riforma della sentenza di primo grado, ha prosciolto l’imputato dal reato di cui all’ art. 615-ter del c.p, perché estinto per prescrizione, confermando le sole sanzioni civili in favore della persona offesa per i fatti di cui il soggetto imputato si è reso responsabile.
La responsabilità del condannato deriva dall’avere concorso con un altro collega, nel trattenersi abusivamente all’interno del sistema informatico protetto dalla banca.
Il punto nevralgico della decisione della Corte Suprema concerne la riconducibilità del fatto in contestazione all’alveo dell’art. 615-ter del c.p., il quale sancisce che “chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.”
La Cassazione ha pronunciato la sentenza in esame nel solco di due importanti precedenti delle S. U. (sentenza Casani, 4694/12; sentenza Savarese, 41210/17), ed ha precisato che “colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risulanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamete motivato l’ingresso nel sistema” integra il delitto previsto dall’art. 615-ter c.p..
Pertanto, la V Sezione ha considerato il ricorso infondato ed ha confermato quanto i giudici di merito avevano ricostruito, ovvero la “responsabilità concorsuale in termini di partecipazione psichica a mezzo istigazione” del ricorrente. Il riscontro oggettivo di tale forma di responsabilità è ravvisabile nel contenuto della mail inviata al collega di lavoro, con la quale, il ricorrente aveva chiesto a quest’ultimo “di ritrasmettergli la mail sul proprio indirizzo di posta privata”, il che conferma inoltre la richiesta e l’invio di mail precedenti.
Nella specie, la condotta in rassegna è consistita nel fatto che il collega “si fosse trattenuto (nel sistema informatico bancario) per compiere un’attività vietata, ossia la trasmissione della lista a soggetto non autorizzato (il ricorrente) a prenderne cognizione, in ciò violando i limiti di autorizzazione che egli aveva ad accedere e a permanere in quel sistema informatico protetto”.
Tutto ciò considerato, con la Sentenza n. 565/19, la Suprema Corte ha deciso che i rispettivi ruoli svolti dai due bancari, senza ragionevole dubbio, configurano il reato di “accesso abusivo in un sistema informatico” ex art. 615-ter del codice penale.
La decisione in esame, inoltre, richiama alcune delle previsioni del titolo XII (delitti contro la persona), capo II (delitti contro la libertà individuale), sezione IV (delitti contro la inviolabilità del domicilio) del codice penale; deve infatti ravvisarsi che i sistemi informatici o telematici costituiscono un’espansione ideale di alcuni dei diritti fondamentali dell’individuo, quale la riservatezza o la segretezza della corrispondenza ed altri diritti concernenti la personalità dell’individuo, garantiti dalla Costituzione e tutelati penalmente nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali.
Dott.ssa Anna Maria Signorino Gelo