VARICOCELE SX DI TERZO GRADO E ART. 590 C.P. – IL CHIRURGO È RESPONSABILE DI LESIONI PERSONALI COLPOSE SE CON L’INTERVENTO HA DETERMINATO UNA PERFORAZIONE INTESTINALE CON CONSEGUENTE PERITONITE STERCORACEA DIFFUSA
Corte di Appello Ancona, 23/10/2020 n.1379. Il processo ha ad oggetto il reato di lesioni colpose a carico di un chirurgo e del medico di guardia responsabile del decorso post-operatorio perché, durante un intervento per varicocele sx di terzo grado, si determinava una lesione che esitava in una peritonite stercoracea diffusa.
➔ I FATTI. Nel corso del processo veniva sentito come teste un chirurgo, con 38 anni di esperienza e almeno cinquemila interventi per varicocele, il quale dichiarava di aver partecipato all’intervento chirurgico in aiuto all’imputato. Riferiva che: “… la finalità dell’intervento è quella di prendere le vene spermatiche, il taglio è un taglio trasverso inguinale alto, è un taglio estremamente piccolo – tre o quattro centimetri – che è una finestra estremamente precisa che cade esattamente a livello della vena, cioè la vena al di sotto e al di sopra di quelle finestre praticamente non si vede … la vena giace al di dietro della prima plica peritoneale che però è dell’intestino tenue … quindi si va là, si isola la vena, si prende con una pinza, si chiude a destra e a sinistra, si taglia al centro e si legano i due capi … per la legatura vien utilizzato un filo riassorbibile in 60-90 giorni…”. Tuttavia, il ragazzo dopo l’operazione accusava dolori alla parte bassa dell’addome e gli venne somministrato un antidolorifico da un’infermiera. Il ragazzo, dopo l’intervento e sino alle dimissioni, non venne visitato da alcun medico, ma ricevette solo l’antidolorifico dall’infermiera, gli venne detto anche che poteva riprendere a mangiare.
➔ L’OPINIONE DEI CTU. I ctu accertavano che alla persona offesa era stato diagnosticato un “varicocele sx III grado. Si richiede spermiogramma. Seguirà legatura del varicocele presso la Casa di Cura …”. L’intervento consisteva nella legatura retroperitoneale alta dei vasi spermatici: “… nell’intervento di Palomo, che richiede un’incisione sulla parete anteriore dell’addome, è necessario spostare il sacco peritoneale con il suo contenuto, in particolare il colon sinistro, per arrivare ai vasi spermatici … lo spostamento mediale del sacco peritoneale è una manovra facile. Raramente può risultare più indaginosa in presenza di aderenze … è eseguito con un tamponcino di garza montato su un ferro chirurgico o con uno strumento smusso”. Nelle successive 12 ore dopo l’intervento la persona offesa veniva trattata due volte con terapia antidolorifica per “dolore alla ferita”. Hanno ritenuto i CTU che se il dolore serale poteva essere interpretato come secondario al recente trauma della ferita, quello della mattina successiva avrebbe dovuto indurre una valutazione clinica più approfondita. Infatti, la TAC successivamente effettuata rivelava “la presenza di un aspetto pinzato del colon al passaggio discendente-sigma che mostra oltremodo una breve porzione stirata verso il canale inguinale: tali reperti potrebbero essere suggestivi per trauma iatrogeno del sigma con conseguente perforazione”. La lesione riscontrata (perforazione iatrogena del colon sin) veniva posta quale conseguenza diretta della peritonite fecale e veniva ascritta all’intervento effettuato dall’imputato.
➔ IL RITARDO DIAGNOSTICO. In aggiunta, veniva individuato un ritardo diagnostico di circa 10-12 ore: sebbene la persona offesa avesse riferito dolori durante la notte e lamentasse dolore alle ore 7, non risultava dalla cartella clinica alcun accertamento clinico-strumentale che valutasse la regolarità del post-operatorio (nella cartella era indicato: “dolore alla ferita chirurgica. Praticato antidolorifico. Dimesso”. La precocità della diagnosi avrebbe ridotto la gravità della peritonite ed avrebbe probabilmente permesso la chiusura diretta della perforazione, evitato la confezione della colostomia e reso non necessario il secondo intervento chirurgico di ricanalizzazione intestinale. 2 I ctu ritenevano che le cause erano riconducibili ad un errore tecnico provocato da una manovra chirurgica non adeguata in corso di intervento.
➔ IL DIRITTO. In tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Persiste pertanto la responsabilità anche del primo medico in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata (Cass. pen. n. 46824/2011).
➔ LA DECISIONE DELLA CORTE DI APPELLO. Il medico non avrebbe dovuto disporre le dimissioni il giorno stesso dell’intervento senza valutare il decorso clinico. In tal modo ha dimostrato di disinteressarsi del decorso post-operatorio. La condotta colposa del chirurgo, non consente di attribuire in via esclusiva al medico di guardia, successivamente intervenuto, la responsabilità delle lesioni. Conferma la sentenza di primo grado e ritiene responsabili del reato di lesioni colpose il chirurgo che ha cagionato la lesione ed il medico di guardia che non ha visitato il paziente.
AVV. DANILO CONTI