D.LGS.231/01 RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E SEQUESTRO PREVENTIVO ESSENZIALE LA PERTINENZIALITÀ DEL BENE AL FATTO DI REATO
Con la sentenza n.32941/2025 la prima Sezione Penale della Corte di Cassazione si è espressa in merito ai criteri che devono sussistere affinché possa considerarsi legittimo il sequestro preventivo applicato all’ente.
Preliminarmente, la Suprema Corte ha chiarito che, in ragione del rinvio generale operato dall’art.34 del D. Lgs.231/01 alle norme del codice di procedura penale, anche nei confronti dell’ente deve ritenersi ammissibile il sequestro impeditivo, proprio per la richiamata applicabilità alle disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili.
In secondo luogo, i Giudici di legittimità hanno rimarcato la centralità del criterio della pertinenzialità dei beni sottoposti a sequestro rispetto al fatto di reato, in quanto “è proprio in ragione di tale rapporto strutturale fra la res sequestranda e il reato commesso che si realizza lo scopo preventivo della misura, che consiste nell’evitare che vengano protratte o aggravate le conseguenza del reato, ovvero che la libera disponibilità di quel bene possa portare alla commissione di ulteriori reati”.
Pertanto, il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res ed il reato commesso.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ IN CAPO AI SOGGETTI SUBORDINATI E AI SOGGETTI APICALI
Con la sent. n.30602/2025, la Suprema Corte ha chiarito i limiti e le condizioni del modello di imputazione della responsabilità amministrativa dell’ente previsto dal Decreto 231.
In particolare, nella sentenza in commento, la Cassazione ha tracciato una linea di distinzione tra i criteri di imputazione riferiti ai soggetti apicali e quelli riguardanti i soggetti subordinati.
Per questi ultimi, ribadisce la Corte, in caso di reato si pone la necessità di provare che lo stesso sia stato reso possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza e, pertanto, che sussista una colpa di organizzazione in capo all’ente.
Ciò è espressamente stabilito dall’art.7 del D. Lgs.231/01 laddove afferma che “l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza” e tale circostanza deve essere adeguatamente dimostrata dall’accusa.
Con riferimento, invece, ai soggetti in posizione apicale, trova applicazione il criterio di imputazione previsto dall’art.6 del citato Decreto, in base al quale l’ente risponde salvo che provi di avere adottato e attuato in maniera efficace un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Pertanto, in questo secondo, caso la responsabilità è presunta, gravando sull’ente l’onere di fornire la prova liberatoria di aver adottato un modello organizzativo idoneo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 REATI AMBIENTALI. IL VANTAGGIO DA CUI DIPENDE L’ESISTENZA DEL REATO CONSISTE NEL RISPARMIO ILLECITO DEI COSTI
Con la sentenza n.27669/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di responsabilità dell’ente ex Decreto 231, nell’ipotesi specifica di commissione di reato di gestione di discarica non autorizzata di cui all’art.256, comma 3, del D. Lgs.152/2006.
Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno infatti chiarito ulteriormente i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità amministrativa dell’ente, richiamando l’art.5 del D. Lgs.231/01 ai sensi del quale l’ente è responsabile per i reati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio” da soggetti posti in posizione apicale.
Orbene, nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, riguardante la tematica dei reati ambientali, al fine di individuare il vantaggio quale criterio di imputazione del reato all’ente, occorre fare riferimento non tanto al valore commerciale del materiale indiscriminatamente accumulato, quanto al costo di smaltimento evitato (come la mancata dotazione di uno specifico sistema di raccolta dei reflui).
In definitiva, la sentenza in commento si pone nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale il vantaggio patrimoniale da cui dipende l’esistenza dell’illecito si qualifica non solo in termini di utile effettivamente conseguito dall’ente ma anche in termini di risparmio di spesa.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
D.LGS.231/01 L’IMPORTANZA DI UN ADEGUATO MODELLO 231 PER LE IMPRESE COLPITE DA INFORMAZIONE ANTIMAFIA INTERDITTIVA
Con la sent.n.29450/2025, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha sottolineato la rilevanza dell’adozione di un adeguato Modello organizzativo al fine di dimostrare la volontà di un’impresa attinta da informazione antimafia interdittiva di affrancarsi da ogni forma di inquinamento mafioso.
Nello specifico, la Suprema Corte ha evidenziato che, nella valutazione degli elementi che possono aprire la strada ad un controllo giudiziario volontario ex art.34-bis, comma 6 del D. Lgs. 159/2011, il giudice debba tenere conto delle concrete possibilità dell’impresa di riallinearsi ad un contesto economico sano, facendo riferimento anche all’adozione da parte dell’ente di un idoneo Modello organizzativo.
La società, infatti, al fine di poter accedere al suddetto controllo, oltre a dover dimostrare l’occasionalità della presenza di infiltrazioni mafiose e il netto distacco da altre imprese ritenute colpite da infiltrazioni mafiose, deve altresì provare di avere adottato un modello organizzativo ex Decreto 231 e di aver istituito un organismo di vigilanza deputato al controllo sulla corretta attuazione del modello.
Solo in questo modo si potrà dimostrare la seria intenzione dell’impresa di volersi dissociare da ogni ambiente criminoso e di voler operare in un contesto economico sano.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 I GIUDICI CENSURANO I MODELLI ORGANIZZATIVI NON ADERENTI ALLA REALTÀ E AI RISCHI DELLA SINGOLA IMPRESA
Non di rado, nella realtà di molte piccole e medie imprese, vengono adottati Modelli di organizzazione, gestione e controllo che potrebbero definirsi un “copia e incolla”, in quanto vengono formati sulla base di Modelli di altri settori o sulla base di documenti rinvenuti sul web.
Tali Modelli non prendono in considerazione gli aspetti peculiari e gli specifici rischi della singola impresa, discostandosi pertanto dalla ratio e dalla funzione ad essi attribuite dal Decreto 231, ovvero prevenire i reati attraverso una valutazione dei rischi, dell’attività e della struttura specifica del singolo ente.
Inoltre, siffatti Modelli finiscono per rappresentare altresì un pericolo per l’azienda, in quanto ingenerano confusione e disorganizzazione tra i dipendenti.
La giurisprudenza di legittimità e di merito, pronunciandosi sul punto, ha rimarcato la necessità che il Modello Organizzativo sia formato avendo riguardo alla realtà concreta dell’ente e che sia personalizzato su rischi specifici (Cfr. Cass. Sent. n.21704/2023).
Ha inoltre sottolineato l’importanza di un’adeguata formazione del personale volta a favorire la comprensione delle procedure e delle regole adottate con il Modello (Cfr. Trib. Milano Sent. n.1070/2024), nonché la centralità di un Organismo di Vigilanza con risorse non irrisorie e con evidenze tangibili di monitoraggio (Cfr. Cass. Pen. Sent. n.4535/2025).
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E SANZIONI INTERDITTIVE QUANDO IL PROFITTO PUÒ CONSIDERARSI DI RILEVANTE ENTITÀ
Con la sentenza n.23329, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio ai fini dell’applicazione delle sanzioni interdittive nei confronti dell’ente.
In particolare, con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha censurato la sentenza con cui il giudice di merito, nell’applicare la sanzione interdittiva nei confronti della società, non aveva adeguatamente motivato il profilo relativo alla rilevante entità del profitto conseguito, limitandosi a definire lo stesso “rilevantissimo”.
La Corte ha invece affermato che per poter applicare tali tipologie di sanzioni il giudice deve verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 13 comma 1, lett. a) e b) del D. Lgs.231/01, cioè che l’ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti ovvero, alternativamente, che l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità.
Con riferimento a questa seconda condizione, precisa la Suprema Corte, grava un onere motivazionale specifico, non potendosi limitare il giudice ad asserire la mera sussistenza del profitto, sia pure “rilevantissimo”.
In particolare, per valutare se il profitto è rilevante, non basta fare riferimento al dato oggettivo della consistenza del vantaggio conseguito (es. una consistenza autoevidente, che può di per sé assumere decisiva valenza), ma occorre altresì fare riferimento al dato soggettivo, “in ragione delle caratteristiche dell’ente, dell’impatto, della incidenza del profitto illecito – e, quindi, dell’arricchimento indebito – rispetto alla specifica attività dell’ente, al suo volume di affari, alla struttura dell’impresa, alla sua posizione sul mercato”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaINTERDITTIVA ANTIMAFIA. LA CORTE ESTENDE GLI EFFETTI DELLA SOSPENSIONE FINO ALL’INTERVENTO DEL PREFETTO
Con la sentenza n.109/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva si protragga, in caso di esito positivo del controllo giudiziario, fino alla definizione del procedimento.
In particolare, il giudice delle leggi ha ritenuto che la disciplina vigente, che prevede la cessazione della sospensione al termine del controllo giudiziario, a prescindere dal suo esito, sia del tutto irragionevole e contraddittoria.
Tale disciplina, infatti, comporta uno sproporzionato sacrificio della libertà di impresa, nella misura in cui anche in caso di esito positivo del controllo giudiziario “non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso”.
Ed invero, simile meccanismo rischia non solo di condurre ad una crisi irreversibile dell’impresa, ma può anche determinare un possibile riavvicinamento dell’operatore economico in difficoltà alla criminalità, vanificando di conseguenza l’intervento dello Stato.
La Corte valorizza pertanto la continuità aziendale attraverso la previsione di una protrazione degli effetti della sospensione fino all’intervento del prefetto qualora il controllo giudiziario abbia avuto esito positivo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS. 231/01 LE NUOVE SFIDE POSTE DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELL’ENTE
La rapida e tumultuosa innovazione tecnologica dell’ultimo decennio pone, oggi, inedite sfide anche alla disciplina della responsabilità dell’ente ex Decreto 231.
Infatti, l’intelligenza artificiale, nonostante rappresenti un importante strumento di sviluppo ed efficienza per le imprese, rischia di diventare un mezzo con cui le imprese commettono illeciti se non viene utilizzato in modo responsabile.
Le violazioni che l’IA può commettere facendo sorgere la responsabilità dell’ente sono le più disparate; un algoritmo può, ad esempio, generare bilanci falsi, può automatizzare richieste mendaci alla pubblica amministrazione o, ancora, manipolare il mercato. Potrebbe anche accadere che un robot industriale non programmato correttamente cagioni la morte di un lavoratore.
Ebbene, tutte queste situazioni fanno scattare la responsabilità dell’ente quando non vengono adottati specifici protocolli idonei a prevenire tali modalità di commissione dei reati.
Si pone pertanto l’esigenza di aggiornare i Modelli 231 attraverso mappature del rischio tecnologico, sistemi di segnalazione automatici sulle anomalie, tracciabilità delle decisioni algoritmiche, al fine di non incorrere in colpa di organizzazione.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE NON PUÒ FARSI DISCENDERE IN AUTOMATICO DALL’AFFERMAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DELL’IMPUTATO PERSONA FISICA
In tema di responsabilità ex Decreto 231, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.19333/2025, ha categoricamente escluso che dalla semplice affermazione della responsabilità dell’imputato possa discendere in automatico l’affermazione della responsabilità dell’ente.
In particolare, con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno censurato la motivazione del Tribunale nella parte in cui desumeva la responsabilità amministrativa dell’ente esclusivamente dall’affermazione di responsabilità dell’imputato, senza fare alcun riferimento all’interesse o vantaggio conseguito dall’ente dalla commissione del reato.
Ed infatti, come sottolineato dalla Suprema Corte, l’art.5 del D. Lgs.231/01 prevede che la sussistenza della responsabilità dell’ente richiede che il reato sia posto in essere “nel suo interesse o a suo vantaggio”, consistendo l’interesse nella prospettazione finalistica da parte del reo di giovare all’ente mediante la commissione del reato e il vantaggio nell’effettivo godimento del concreto beneficio apportato all’ente dal reato stesso.
La motivazione che non contiene alcun riferimento all’interesse o al vantaggio, né ad una eventuale colpa di organizzazione è da ritenersi assolutamente insufficiente e, pertanto, non è idonea a giustificare l’affermazione della responsabilità dell’ente.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 NECESSARIO RAPPORTO “QUALIFICATO” PER DARE LUOGO A RESPONSABILITÀ DELL’ENTE. NON È TALE IL RAPPORTO DI CONSULENZA.
Con l’interessante sentenza n.19096/2025, la Suprema Corte ha delineato i criteri di imputazione soggettiva della responsabilità degli enti.
Partendo dal dettato normativo di cui all’art.5 del D. Lgs.231/01, che richiede, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, oltre al compimento del reato nell’interesse o a vantaggio dello stesso, l’ulteriore elemento del rapporto qualificato tra l’autore del reato presupposto e l’ente, la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di fondare detta responsabilità sulla base del mero rapporto di consulenza intrattenuto tra l’autore del reato e la società.
Infatti, il fondamento della responsabilità amministrativa dell’ente ex Decreto 231, si rinviene nella cd. “colpa di organizzazione”, che richiede che la società non abbia adottato tutte le misure idonee a prevenire la commissione di reati e presuppone, quindi, che l’illecito sia posto in essere da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o persone sottoposte alla loro vigilanza.
“La relazione funzionale sussistente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso sì da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo”.
Al fine di poter ritenere configurata la responsabilità della società, pertanto, non è sufficiente un mero rapporto di consulenza, richiedendosi invece un rapporto qualificato tra l’autore del reato e la società, profilandosi altrimenti il rischio di sfociare in una forma di responsabilità oggettiva.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
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