WHISTLEBLOWING SÌ AL RISARCIMENTO DEL DANNO IN FAVORE DEL SEGNALANTE VITTIMA DI RITORSIONI
Con la sentenza n.951/2025 del Tribunale di Bergamo, per la prima volta, è stata rafforzata ulteriormente la tutela del soggetto autore di segnalazione di condotte illecite sul luogo di lavoro, cd whistleblower.
La sentenza in commento, infatti, ha riconosciuto alla ricorrente, autrice di alcune segnalazioni di condotte illecite, un risarcimento per danno morale per essere stata vittima di comportamenti ritorsivi a seguito delle segnalazioni.
A seguito di tali segnalazioni, l’identità della lavoratrice era rivelata in evidente violazione dei principi di segretezza e riservatezza previsti dal D. Lgs. 24/2023 a tutela dei soggetti segnalanti, rendendola, quindi, bersaglio di pesanti ritorsioni da parte dei colleghi e dei superiori.
Il Tribunale di Bergamo, oltre ad aver dichiarato la nullità dei provvedimenti ritorsivi (procedimenti disciplinari, demansionamento), ha riconosciuto la responsabilità dell’ente per aver consentito il mantenersi di un “ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori” e ha altresì riconosciuto la sussistenza del danno morale inteso come sofferenza patita dal soggetto in conseguenza dell’illecito (paura, disperazione, distima di sé, vergogna), quantificandolo in via equitativa.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaWHISTLEBLOWING LE NUOVE DIRETTIVE DEL GARANTE DELLA PRIVACY IN TEMA DI SEGNALAZIONI
Con il D. Lgs.24/2023, l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva UE n.1937/2019, nota come “Direttiva Whistleblowing”, riguardante la protezione delle persone che segnalano le violazioni del diritto dell’Unione. Uno dei punti cardine della nuova disciplina è l’equilibrio tra la necessità di denunciare gli illeciti aziendali e l’esigenza di tutelare l’identità degli autori delle segnalazioni.
In questo contesto si inserisce il provvedimento n.581 del 9 ottobre 2025 del Garante per la protezione dei dati personali, il quale è intervenuto sugli schemi di Linee guida predisposti da ANAC, richiamando alcune cautele tecniche per garantire la piena protezione dei dati personali nel processo di gestione delle segnalazioni.
In particolare, il Garante sottolinea i rischi collegati all’utilizzo della posta elettronica come canale di segnalazione. Infatti, la posta elettronica, per sua natura, è un sistema che inevitabilmente lascia delle tracce, registrando metadati e log attraverso i quali è possibile risalire all’identità del segnalante.
È per questo motivo che il Garante ribadisce l’importanza di scegliere un sistema che sia sicuro e in grado di minimizzare la raccolta di dati tecnici evitando ogni forma di tracciabilità della persona.
Ciò diventa possibile grazie ad una valutazione di impatto sulla protezione dei dati che spetta ai soggetti pubblici e privati in qualità di titolari del trattamento.
Infine, ulteriore aspetto su cui si è soffermato il Garante nel provvedimento, riguarda il termine di conservazione delle segnalazioni, che viene fissato in cinque anni e trascorso il quale i dati devono essere cancellati o resi anonimi.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 NECESSARIO NESSO DI DERIVAZIONE CAUSALE TRA IL REATO E IL PROFITTO AI FINI DELLA CONFISCA
Con la sentenza n.37631/2025, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di confisca obbligatoria del profitto del reato disciplinata all’art.19 del D. Lgs.231/01.
La Suprema Corte ha stabilito il principio per cui non è possibile procedere alla confisca nei confronti dell’ente sulla sola base di una mera perizia contabile, in mancanza di prove certe circa la derivazione causale tra il reato e il profitto che è derivato dallo stesso.
Infatti, la quantificazione dell’utilità conseguita dall’ente derivante dalla sola perizia non può sopperire alla mancanza della prova e di dati notori precisi.
Richiamando le Sezioni Unite n.26654/2008, inoltre, i giudici di legittimità hanno ribadito che “il profitto del reato oggetto della confisca di cui all’art.19 del D. Lgs.231 del 2001 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto”.
Pertanto nell’ipotesi di impossibilità di dimostrare il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione dal reato presupposto, l’applicabilità della confisca deve ritenersi esclusa.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 L’ENTE È CHIAMATO A RISPONDERE IN CASO DI DEFICIT ORGANIZZATIVO NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
In tema di gestione illecita di rifiuti, la Suprema Corte, nella sentenza n.33791/2025, ha sottolineato che la asserita presenza di figure qualificate o di procedure standardizzate non esclude la responsabilità dell’ente quando tali elementi non si traducano in un effettivo modello organizzativo idoneo a prevenire il reato.
Nel caso in esame, infatti, la Cassazione ha sottolineato come il deficit organizzativo dell’ente abbia reso possibile l’ingresso di rifiuti pericolosi nello stabilimento della società e come tale carenza organizzativa integri perfettamente il criterio di imputazione della responsabilità dell’ente secondo l’impostazione tipica del D. Lgs.231/01.
Inoltre, la Corte ha evidenziato che il mero richiamo alla presenza di un ingegnere ambientale e all’esistenza di procedure standardizzate non sia sufficiente al fine di escludere la responsabilità dell’ente, dal momento che la mera presenza di figure qualificate non integra, di per sé, un modello organizzativo.
Ciò che rileva ai fini del Decreto 231 è la predisposizione e la effettiva applicazione di protocolli che impediscano la commissione di reati; in caso contrario, la responsabilità dell’ente permane.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 LEGITTIMA LA CONFISCA NEI CONFRONTI DELL’ENTE ANCHE IN CASO DI ASSOLUZIONE DELL’AMMINISTRATORE DI DIRITTO
Con la sentenza n.36683/2025, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la confisca disposta ai sensi del D. Lgs.231/01 nei confronti dell’ente, nell’ipotesi in cui l’amministratore di diritto dell’ente stesso venga assolto e il reato sia ascritto agli amministratori di fatto.
Questo perché, precisa la Suprema Corte, nonostante tra l’ente e l’amministratore di fatto non ci sia un rapporto di immedesimazione organica, il reato commesso da quest’ultimo può produrre quale conseguenza un beneficio per la società, la quale pertanto non può considerarsi del tutto estranea.
Infatti, come sottolineato in sentenza, il reato “è comunque stato commesso, oltre che nell’interesse della società, da soggetti che erano legati alla società da un rapporto gestorio, di stabilirà, continuità e pregnanza tale da farli considerare amministratori di fatto della stessa, con la conseguenza che il reato non è stato commesso da soggetti estranei alla società, delle cui condotte questa non deve rispondere, bensì da soggetti che in via di fatto la amministravano e che hanno realizzato le condotte costituenti reato allo scopo di far conseguire alla società un profitto, sotto la forma di risparmio di spesa derivante dall’evasione d’imposta”.
Fondamentale è, per concludere, che l’ente consegua un vantaggio dalla commissione del reato, anche se questo sia posto in essere da soggetti che, pur non essendo rappresentanti di diritto, abbiano un ruolo centrale nella gestione della società.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaNON SI APPLICANO I TERMINI DI DECADENZA NEI CONFRONTI DEL TERZO IN BUONA FEDE IN CASO DI CONFISCA EX D.LGS.231/01
Con la sent. n.34079/2025, la terza Sezione penale della Corte di Cassazione si è espressa in tema di termini di decadenza per la richiesta di restituzione in caso di confisca ai sensi dell’art.19 del Decreto 231.
In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato che nelle ipotesi di confisca disposta nei confronti dell’ente, non può trovare applicazione la disciplina temporale di cui all’art.58 del Codice delle leggi antimafia che stabilisce un termine di decadenza per la richiesta di restituzione delle somme avanzate dal terzo creditore ipotecario di buona fede, né le altre norme che prevedono limiti temporali.
Richiamando la sent. 11170/2014 delle Sezioni Unite, la Cassazione ha infatti ribadito che la disposizione di cui all’art.19 del D.lgs.231/01 “nel disporre che in caso di confisca debbano essere salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede, non pone alcun limite temporale alla prova della acquisizione del diritto, nel senso che non è vero che la titolarità del diritto al terzo debba essere riconosciuta prima che venga disposta la confisca; può benissimo accadere, infatti, che al terzo venga riconosciuta l’acquisizione in buona fede del diritto dopo che sia stata disposta la confisca; anche in siffatta situazione deve essere salvaguardato il diritto del terzo”.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 NUOVI REATI PRESUPPOSTO E NUOVE SANZIONI IN CASO DI ILLECITI AMBIENTALI
Il decreto legge 116/2025, come modificato dalla legge di conversione n.147 del 3 ottobre 2025 ha introdotto importanti novità in materia di responsabilità degli enti per illeciti ambientali.
Tale novità normativa si è resa necessaria in risposta alla sentenza della Corte EDU con cui l’Italia era stata considerata responsabile della violazione dell’art.2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la grave condizione di inquinamento ambientale in Campania.
La Legge 147/2025 ha innanzitutto introdotto nuove ipotesi di reato presupposto che danno luogo a responsabilità dell’ente ex D.lgs. 231/01, tra cui: l’abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari; la combustione illecita di rifiuti; l’omessa bonifica; il traffico organizzato di rifiuti; l’inquinamento ambientale.
Inoltre, è intervenuta sul sistema sanzionatorio, inasprendo sia le sanzioni pecuniarie per reati come discarica abusiva e traffico o abbandono di rifiuti radioattivi, che le sanzioni interdittive per le imprese, prevedendone l’applicazione obbligatoria e non più facoltativa per i casi più gravi.
Infine, la citata legge ha esteso altresì l’operatività delle misure di prevenzione patrimoniali e personali previste dal Codice delle leggi antimafia alle ipotesi più gravi di reati ambientali.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E SEQUESTRO PREVENTIVO ESSENZIALE LA PERTINENZIALITÀ DEL BENE AL FATTO DI REATO
Con la sentenza n.32941/2025 la prima Sezione Penale della Corte di Cassazione si è espressa in merito ai criteri che devono sussistere affinché possa considerarsi legittimo il sequestro preventivo applicato all’ente.
Preliminarmente, la Suprema Corte ha chiarito che, in ragione del rinvio generale operato dall’art.34 del D. Lgs.231/01 alle norme del codice di procedura penale, anche nei confronti dell’ente deve ritenersi ammissibile il sequestro impeditivo, proprio per la richiamata applicabilità alle disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili.
In secondo luogo, i Giudici di legittimità hanno rimarcato la centralità del criterio della pertinenzialità dei beni sottoposti a sequestro rispetto al fatto di reato, in quanto “è proprio in ragione di tale rapporto strutturale fra la res sequestranda e il reato commesso che si realizza lo scopo preventivo della misura, che consiste nell’evitare che vengano protratte o aggravate le conseguenza del reato, ovvero che la libera disponibilità di quel bene possa portare alla commissione di ulteriori reati”.
Pertanto, il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res ed il reato commesso.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ IN CAPO AI SOGGETTI SUBORDINATI E AI SOGGETTI APICALI
Con la sent. n.30602/2025, la Suprema Corte ha chiarito i limiti e le condizioni del modello di imputazione della responsabilità amministrativa dell’ente previsto dal Decreto 231.
In particolare, nella sentenza in commento, la Cassazione ha tracciato una linea di distinzione tra i criteri di imputazione riferiti ai soggetti apicali e quelli riguardanti i soggetti subordinati.
Per questi ultimi, ribadisce la Corte, in caso di reato si pone la necessità di provare che lo stesso sia stato reso possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza e, pertanto, che sussista una colpa di organizzazione in capo all’ente.
Ciò è espressamente stabilito dall’art.7 del D. Lgs.231/01 laddove afferma che “l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza” e tale circostanza deve essere adeguatamente dimostrata dall’accusa.
Con riferimento, invece, ai soggetti in posizione apicale, trova applicazione il criterio di imputazione previsto dall’art.6 del citato Decreto, in base al quale l’ente risponde salvo che provi di avere adottato e attuato in maniera efficace un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Pertanto, in questo secondo, caso la responsabilità è presunta, gravando sull’ente l’onere di fornire la prova liberatoria di aver adottato un modello organizzativo idoneo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 REATI AMBIENTALI. IL VANTAGGIO DA CUI DIPENDE L’ESISTENZA DEL REATO CONSISTE NEL RISPARMIO ILLECITO DEI COSTI
Con la sentenza n.27669/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di responsabilità dell’ente ex Decreto 231, nell’ipotesi specifica di commissione di reato di gestione di discarica non autorizzata di cui all’art.256, comma 3, del D. Lgs.152/2006.
Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno infatti chiarito ulteriormente i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità amministrativa dell’ente, richiamando l’art.5 del D. Lgs.231/01 ai sensi del quale l’ente è responsabile per i reati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio” da soggetti posti in posizione apicale.
Orbene, nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, riguardante la tematica dei reati ambientali, al fine di individuare il vantaggio quale criterio di imputazione del reato all’ente, occorre fare riferimento non tanto al valore commerciale del materiale indiscriminatamente accumulato, quanto al costo di smaltimento evitato (come la mancata dotazione di uno specifico sistema di raccolta dei reflui).
In definitiva, la sentenza in commento si pone nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale il vantaggio patrimoniale da cui dipende l’esistenza dell’illecito si qualifica non solo in termini di utile effettivamente conseguito dall’ente ma anche in termini di risparmio di spesa.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari