D.LGS.231/01 RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E SANZIONI INTERDITTIVE QUANDO IL PROFITTO PUÒ CONSIDERARSI DI RILEVANTE ENTITÀ
Con la sentenza n.23329, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio ai fini dell’applicazione delle sanzioni interdittive nei confronti dell’ente.
In particolare, con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha censurato la sentenza con cui il giudice di merito, nell’applicare la sanzione interdittiva nei confronti della società, non aveva adeguatamente motivato il profilo relativo alla rilevante entità del profitto conseguito, limitandosi a definire lo stesso “rilevantissimo”.
La Corte ha invece affermato che per poter applicare tali tipologie di sanzioni il giudice deve verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 13 comma 1, lett. a) e b) del D. Lgs.231/01, cioè che l’ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti ovvero, alternativamente, che l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità.
Con riferimento a questa seconda condizione, precisa la Suprema Corte, grava un onere motivazionale specifico, non potendosi limitare il giudice ad asserire la mera sussistenza del profitto, sia pure “rilevantissimo”.
In particolare, per valutare se il profitto è rilevante, non basta fare riferimento al dato oggettivo della consistenza del vantaggio conseguito (es. una consistenza autoevidente, che può di per sé assumere decisiva valenza), ma occorre altresì fare riferimento al dato soggettivo, “in ragione delle caratteristiche dell’ente, dell’impatto, della incidenza del profitto illecito – e, quindi, dell’arricchimento indebito – rispetto alla specifica attività dell’ente, al suo volume di affari, alla struttura dell’impresa, alla sua posizione sul mercato”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaINTERDITTIVA ANTIMAFIA. LA CORTE ESTENDE GLI EFFETTI DELLA SOSPENSIONE FINO ALL’INTERVENTO DEL PREFETTO
Con la sentenza n.109/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva si protragga, in caso di esito positivo del controllo giudiziario, fino alla definizione del procedimento.
In particolare, il giudice delle leggi ha ritenuto che la disciplina vigente, che prevede la cessazione della sospensione al termine del controllo giudiziario, a prescindere dal suo esito, sia del tutto irragionevole e contraddittoria.
Tale disciplina, infatti, comporta uno sproporzionato sacrificio della libertà di impresa, nella misura in cui anche in caso di esito positivo del controllo giudiziario “non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso”.
Ed invero, simile meccanismo rischia non solo di condurre ad una crisi irreversibile dell’impresa, ma può anche determinare un possibile riavvicinamento dell’operatore economico in difficoltà alla criminalità, vanificando di conseguenza l’intervento dello Stato.
La Corte valorizza pertanto la continuità aziendale attraverso la previsione di una protrazione degli effetti della sospensione fino all’intervento del prefetto qualora il controllo giudiziario abbia avuto esito positivo.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
On. Avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS. 231/01 LE NUOVE SFIDE POSTE DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELL’ENTE
La rapida e tumultuosa innovazione tecnologica dell’ultimo decennio pone, oggi, inedite sfide anche alla disciplina della responsabilità dell’ente ex Decreto 231.
Infatti, l’intelligenza artificiale, nonostante rappresenti un importante strumento di sviluppo ed efficienza per le imprese, rischia di diventare un mezzo con cui le imprese commettono illeciti se non viene utilizzato in modo responsabile.
Le violazioni che l’IA può commettere facendo sorgere la responsabilità dell’ente sono le più disparate; un algoritmo può, ad esempio, generare bilanci falsi, può automatizzare richieste mendaci alla pubblica amministrazione o, ancora, manipolare il mercato. Potrebbe anche accadere che un robot industriale non programmato correttamente cagioni la morte di un lavoratore.
Ebbene, tutte queste situazioni fanno scattare la responsabilità dell’ente quando non vengono adottati specifici protocolli idonei a prevenire tali modalità di commissione dei reati.
Si pone pertanto l’esigenza di aggiornare i Modelli 231 attraverso mappature del rischio tecnologico, sistemi di segnalazione automatici sulle anomalie, tracciabilità delle decisioni algoritmiche, al fine di non incorrere in colpa di organizzazione.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE NON PUÒ FARSI DISCENDERE IN AUTOMATICO DALL’AFFERMAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DELL’IMPUTATO PERSONA FISICA
In tema di responsabilità ex Decreto 231, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.19333/2025, ha categoricamente escluso che dalla semplice affermazione della responsabilità dell’imputato possa discendere in automatico l’affermazione della responsabilità dell’ente.
In particolare, con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno censurato la motivazione del Tribunale nella parte in cui desumeva la responsabilità amministrativa dell’ente esclusivamente dall’affermazione di responsabilità dell’imputato, senza fare alcun riferimento all’interesse o vantaggio conseguito dall’ente dalla commissione del reato.
Ed infatti, come sottolineato dalla Suprema Corte, l’art.5 del D. Lgs.231/01 prevede che la sussistenza della responsabilità dell’ente richiede che il reato sia posto in essere “nel suo interesse o a suo vantaggio”, consistendo l’interesse nella prospettazione finalistica da parte del reo di giovare all’ente mediante la commissione del reato e il vantaggio nell’effettivo godimento del concreto beneficio apportato all’ente dal reato stesso.
La motivazione che non contiene alcun riferimento all’interesse o al vantaggio, né ad una eventuale colpa di organizzazione è da ritenersi assolutamente insufficiente e, pertanto, non è idonea a giustificare l’affermazione della responsabilità dell’ente.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 NECESSARIO RAPPORTO “QUALIFICATO” PER DARE LUOGO A RESPONSABILITÀ DELL’ENTE. NON È TALE IL RAPPORTO DI CONSULENZA.
Con l’interessante sentenza n.19096/2025, la Suprema Corte ha delineato i criteri di imputazione soggettiva della responsabilità degli enti.
Partendo dal dettato normativo di cui all’art.5 del D. Lgs.231/01, che richiede, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, oltre al compimento del reato nell’interesse o a vantaggio dello stesso, l’ulteriore elemento del rapporto qualificato tra l’autore del reato presupposto e l’ente, la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di fondare detta responsabilità sulla base del mero rapporto di consulenza intrattenuto tra l’autore del reato e la società.
Infatti, il fondamento della responsabilità amministrativa dell’ente ex Decreto 231, si rinviene nella cd. “colpa di organizzazione”, che richiede che la società non abbia adottato tutte le misure idonee a prevenire la commissione di reati e presuppone, quindi, che l’illecito sia posto in essere da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o persone sottoposte alla loro vigilanza.
“La relazione funzionale sussistente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso sì da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo”.
Al fine di poter ritenere configurata la responsabilità della società, pertanto, non è sufficiente un mero rapporto di consulenza, richiedendosi invece un rapporto qualificato tra l’autore del reato e la società, profilandosi altrimenti il rischio di sfociare in una forma di responsabilità oggettiva.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 ANCORA CONTRASTI SULLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEI PROCESSI PER ILLECITO 231
Il testo di riforma messo a punto dal Ministero della Giustizia riguardante la responsabilità degli enti sembra tacere sull’importante questione riguardante le diverse posizioni che l’ente può assumere nell’ambito dei “processi 231”.
In particolare, ci si riferisce alla possibilità di costituirsi parte civile contro l’ente, quella di citare l’ente in qualità di responsabile civile, nonché alla possibilità per lo stesso ente di costituirsi parte civile nei confronti degli imputati persone fisiche del reato presupposto.
Invero, tale “silenzio” non fa altro che alimentare i contrasti giurisprudenziali già esistenti sul punto.
Infatti, se da un lato una parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la costituzione di parte civile dell’ente nel procedimento a carico dell’imputato persona fisica, dall’altro, numerose pronunce della Suprema Corte hanno stabilito il contrario evidenziando, in particolare, il carattere unitario del reato come fatto riferibile sia alla persona fisica che alla persona giuridica.
Circa la costituzione di parte civile del danneggiato nei confronti dell’ente, la Cassazione sembrerebbe non ammetterla, in considerazione del fatto che la responsabilità dell’ente non deriverebbe dal reato ma dalla cd “colpa di organizzazione”. Di conseguenza, secondo tale orientamento, non vi sarebbe alcun danno derivante da reato risarcibile da parte dell’ente.
Secondo un ulteriore tesi, inoltre, nell’ambito dei processi 231 il danneggiato sarebbe garantito da altri strumenti, potendo adire il giudice civile oppure citare l’ente quale responsabile civile.
Tale situazione incerta sull’ammissibilità o meno dell’istituto della costituzione di parte civile dell’ente e nei confronti dell’ente solleva una serie di perplessità e lacune che richiederebbero un urgente intervento da parte del legislatore, visto il silenzio sul punto del D. Lgs.231/01.
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dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DI SOCIETÀ COLLEGATE
Con la sentenza n.14343 depositata l’11 aprile scorso, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità amministrativa dipendente da reato ex D. Lgs.231/01 in caso di illecito commesso nell’ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese.
In particolare, la Suprema Corte, con riferimenti ai criteri di imputazione della responsabilità nei gruppi societari, ha stabilito che quest’ultima può estendersi alle società collegate solo “a condizione che all’interesse o vantaggio di una società si accompagni anche quello concorrente di altra società e la persona fisica autrice del reato presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva necessaria ai sensi dell’art.5 del D. Lgs.231/01”.
Pertanto, per attribuire la responsabilità alla capogruppo o ad una controllata, non è sufficiente la mera presunzione che l’interesse del gruppo coincida con quello delle singole società, essendo invece indispensabile dimostrare, caso per caso, che la holding o un’altra società del gruppo abbia tratto un effettivo beneficio o perseguito un proprio interesse dalla commissione del reato.
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dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 IN ARRIVO RIFORMA SULLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI
Il Ministero della Giustizia ha messo a punto un testo di riforma della normativa riguardante la responsabilità degli enti che, se approvato, potrebbe determinare profondi cambiamenti della disciplina.
La novità principale riguarda i casi di estinzione dell’illecito amministrativo attraverso l’introduzione di un meccanismo che consente all’ente di chiedere al giudice un termine per eliminare le carenze del modello organizzativo che hanno determinato o agevolato la commissione del reato, a condizione che l’ente abbia adottato e attuato un modello organizzativo prima della commissione dell’illecito e che non si tratti di un caso di reiterazione.
Tale richiesta potrà essere avanzata entro il termine di 30 giorni dall’avviso di conclusione delle indagini e dovrà contenere la descrizione dettagliata delle rettifiche approntate al modello e la disponibilità dell’ente ad eliminare le conseguenze del reato.
Altre rilevanti novità della riforma riguardano il sistema dei controlli, attraverso la valorizzazione del sistema di controllo interno ed il principio del ne bis in idem, volto ad evitare la duplicazione delle sanzioni quando la soggettività dell’ente non è distinguibile dalla persona fisica autore del reato.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01 CITAZIONE DIRETTA PER GLI ENTI QUANDO PREVISTA PER IL REATO PRESUPPOSTO
Con la sentenza n.8369/2025, la V Sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che trova applicazione anche nei procedimenti nei confronti degli enti per responsabilità ex D.lgs. 231/01 la citazione diretta a giudizio, quando questa è prevista per il reato presupposto.
Tale decisione si pone in contrasto con un’altra recentissima pronuncia della Suprema Corte, la n.40724/2024, secondo la quale, invece, nei procedimenti nei confronti degli enti è sempre necessario lo svolgimento dell’udienza preliminare sulla base del tenore letterale dell’art.59 D.lgs. 231/01 che, rinviando all’art. 407-bis c.p.p., non contiene un riferimento diretto alla modalità di esercizio dell’azione penale mediante citazione diretta.
Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno invece sottolineato come il Decreto 231, con riferimento alle forme di contestazione degli illeciti amministrativi, sia ispirato al principio di trattazione unitaria dei procedimenti e al principio di economia processuale.
Coerentemente al principio generale della trattazione unitaria – nell’ambito dello stesso procedimento – dell’accertamento della responsabilità penale per l’imputato e di quella amministrativa per l’ente, la Suprema Corte ha quindi affermato che il rito da seguire per l’ente è lo stesso cui è soggetto l’imputato persona fisica e l’udienza preliminare va celebrata solo quando prevista per il reato presupposto.
Infatti, aderendo all’opposto orientamento che richiede la necessità dell’udienza preliminare, si opererebbe una sistematica ed irragionevole separazione dei procedimenti in caso di reato per il quale è richiesta la citazione diretta.
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dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaREATI TRIBUTARI SOLIDARIETÀ TRA GLI INDAGATI SOLO IN CASO DI IMPOSSIBILITÀ DI RICOSTRUIRE I SINGOLI PROFITTI
La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sent. n.9973/2025, ha confermato un importante principio già affermato dalle Sezioni Unite in tema di sequestri e confische nei reati tributari.
Il principio ribadito dalla Suprema Corte è quello della proporzionalità tra quanto confiscato ad ogni indagato e l’effettiva quota di profitto dallo stesso conseguita a seguito della commissione del reato.
In caso di concorso di persone nel reato tributario, infatti, il regime di solidarietà tra gli indagati opera esclusivamente nell’ipotesi di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo.
Nella sentenza in commento, pertanto, la Corte ha accolto un’interpretazione già largamente diffusa, secondo cui, “solo nel caso in cui la natura della fattispecie concreta ed i rapporti economici ad essa sottostanti non consentano di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti” (Cfr. Cass. Pen. sent. n.33757/2022).
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
On. Avv. Giuseppe Scozzari
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