WHISTLEBLOWING ESLUSIONE DELLA TUTELA IN CASO DI IMPROPRIA O ILLECITA MODALITÀ DI TRASMISSIONE DELLA SEGNALAZIONE
In materia di segnalazione di condotte illecite, il cd Decreto Whistleblowing mira a tutelare colui che, testimone di irregolarità sul luogo di lavoro, decide di fare una comunicazione al riguardo.
La Corte di Cassazione, con un’interessante sentenza, la n.17715/20224, ha però chiarito che la tutela non trova applicazione qualora il segnalante, per la trasmissione della segnalazione, si avvalga di procedure diverse da quelle previste dall’azienda.
In tali ipotesi, il licenziamento del lavoratore autore della segnalazione, è considerato per giusta causa e non ritorsivo.
Infatti, come verificatosi nel caso in esame, modalità di trasmissione della segnalazione tramite registrazione di conversazioni private e loro divulgazione sui social network, devono considerarsi lesive dell’immagine dell’ente e delle persone coinvolte, anche quando si tratti di segnalazione di condotte illecite.
In questo modo, infatti, viene violato uno dei principi cardine alla cui salvaguardia mira la disciplina del Whistleblowing, che è quello di garantire l’anonimato.
Condotte di una tale stregua da parte del segnalante non possono considerarsi rientranti nelle tutele di cui all’art.54-bis del D.lgs. 165/2001, in quanto “la normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso”.
#whistleblowing #segnalazionecondotteillecite #tutelasegnalante
Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaNuova riforma tributaria (Dlgs 87/24). Non punibile ci omette il versamento IVA in casi di crisi non transitoria di liquidità.
Finalmente una riforma tanto attesa in soccorso delle imprese in crisi per responsabilità riconducibile a terzi, o peggio ancora quando i “terzi” sono le pubbliche amministrazioni.
L’Art. 13 co 3 bis prevede che «… il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore, dovuta all’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte amministrazioni pubbliche o della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».
#omessoversamentoiva #iva #reatitributari #riformafiscale #crisiimprese
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaWHISTLEBLOWING ESLUSIONE DELLA TUTELA IN CASO DI IMPROPRIA O ILLECITA MODALITÀ DI TRASMISSIONE DELLA SEGNALAZIONE
In materia di segnalazione di condotte illecite, il cd Decreto Whistleblowing mira a tutelare colui che, testimone di irregolarità sul luogo di lavoro, decide di fare una comunicazione al riguardo.
La Corte di Cassazione, con un’interessante sentenza, la n.17715/20224, ha però chiarito che la tutela non trova applicazione qualora il segnalante, per la trasmissione della segnalazione, si avvalga di procedure diverse da quelle previste dall’azienda.
In tali ipotesi, il licenziamento del lavoratore autore della segnalazione, è considerato per giusta causa e non ritorsivo.
Infatti, come verificatosi nel caso in esame, modalità di trasmissione della segnalazione tramite registrazione di conversazioni private e loro divulgazione sui social network, devono considerarsi lesive dell’immagine dell’ente e delle persone coinvolte, anche quando si tratti di segnalazione di condotte illecite.
In questo modo, infatti, viene violato uno dei principi cardine alla cui salvaguardia mira la disciplina del Whistleblowing, che è quello di garantire l’anonimato.
Condotte di una tale stregua da parte del segnalante non possono considerarsi rientranti nelle tutele di cui all’art.54-bis del D.lgs. 165/2001, in quanto “la normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua
D.LGS.231/01 L’OMESSA FORMAZIONE DEI LAVORATORI CONFIGURA COLPA ORGANIZZATIVA DELL’ENTE
Con la sent. n.22586/2024, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di responsabilità amministrativa degli enti ex Decreto 231 per violazione della disciplina antinfortunistica.
La pronuncia in esame pone l’accento, in particolare, sull’omessa osservanza degli obblighi di una continua e adeguata formazione dei lavoratori in relazione ai rischi legati all’attività lavorativa e alla conseguente responsabilità penale e amministrativa gravante sull’azienda. La mancanza di una adeguata formazione dei lavoratori, infatti, concorre e configurare la colpa di organizzazione dell’ente che è idonea a fondarne la responsabilità in caso di infortuni.
Inoltre, la responsabilità dell’ente derivante dal reato di lesioni aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, secondo la Suprema Corte, sussiste anche quando il risparmio di spesa derivante dall’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza o dall’omessa formazione dei lavoratori sia esiguo.
Infatti, anche la mancata adozione di misure di sicurezza che comportino modesti risparmi di spesa può comportare il verificarsi di lesioni personali, anche gravi. Tra queste misure rientra senz’altro un’adeguata formazione del lavoratore in ordine ai rischi e ai pericoli legati allo svolgimento dell’attività lavorativa, posto che “l’attività di formazione e informazione del lavoratore non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenze del medesimo, formatosi per effetto di pregresse esperienze lavorative o per il trasferimento di conoscenze che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, atteso che questo tipo di apprendimento non può avere un valore surrogatorio delle attività di informazione e di formazione legislativamente previste”.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaOMESSO VERSAMENTO DEI TRIBUTI NON PUNIBILE L’IMPRESA INSOLVENTE
In materia di sanzioni tributarie, il D. Lgs.87/2024, ha introdotto un nuovo comma 3-bis all’art.13 del D. Lgs.74/2000 prevedendo una specifica causa di non punibilità in relazione ai reati previsti dagli artt. 10 bis e 10 ter del citato Decreto (omesso versamento di ritenute e Iva).
In particolare, la nuova disposizione recita che “i reati di cui agli articoli 10 bis e 10 ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”.
Per comprendere l’operatività della causa di non punibilità in questione è necessario fare riferimento al concetto di forza maggiore, in presenza della quale l’omesso versamento del tributo può considerarsi giustificato.
Sul tema è ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che si esprime nei termini seguenti “l’inadempimento dell’obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico” (cfr. da ultimo Cass. Pen. sent. n.15942/2024).
Secondo la Suprema Corte, ai fini dell’esclusione della colpevolezza, il debitore deve provare di avere adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo, anche attingendo al proprio patrimonio personale e l’impossibilità di ricorrere ad azioni idonee al superamento della crisi.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaINFORTUNI SUL LAVORO NON SUSSISTE RESPONSABILITÀ DEL DATORE SE IL LAVORATORE VIENE INFORMATO SULLA PERICOLOSITÀ DI DETERMINATE SOSTANZE
Con sent. n.23049/2024, la IV Sezione penale della Corte di Cassazione si è espressa in tema di infortuni sul lavoro.
Dopo aver ripercorso i due gradi di giudizio di merito, la Cassazione si è pronunciata, in particolare, sulla responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio.
E quindi, mentre il Tribunale aveva ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta colposa e l’evento delittuoso (essendo ascrivibile la lesione all’omessa adozione di misure e accorgimenti imposti dalla legge all’imprenditore), la Corte di Appello aveva adottato un diverso ragionamento, confermato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento.
In particolare, si affermava che, presso l’azienda il rischio di esposizione ad agenti chimici del tipo di quello che aveva provocato la lesione al lavoratore, era qualificabile basso, ed inoltre lo stesso lavoratore addetto all’uso di tali sostanze era stato regolarmente formato. Con riferimento agli altri lavoratori, occasionalmente esposti al rischio, sussisteva per il datore l’obbligo di informazione e addestramento che risultava regolarmente adempiuto.
Avallando il ragionamento della Corte di Appello, la Cassazione ha ritenuto che l’evento lesivo non fosse riconducibile alla responsabilità del datore di lavoro, in quanto verificatosi nel corso dell’espletamento di un’attività da sempre effettuata e per questo tale da poter essere qualificato come imprevedibile.
#infortunisullavoro #responsabilità #datoredilavoro #CortediCassazione
on. avv. Giuseppe Scozzari
dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaWHISTLEBLOWING GESTIONE DELLE SEGNALAZIONI E ODV OPPORTUNO ADEGUARE IL REGOLAMENTO
In tema di segnalazione di condotte illecite, uno degli aspetti centrali della nuova disciplina introdotta dal D. Lgs.24/2023, riguarda la gestione del canale di segnalazione.
Il cd “Decreto Whistleblowing” mira a tutelare coloro che, testimoni di irregolarità sul luogo di lavoro, decidono di fare una segnalazione al riguardo.
Circa i soggetti destinatari della segnalazione, chiamati a gestire il relativo canale, Confindustria, nelle sue Linee Guida, chiarisce che l’impresa può decidere di demandare tale funzione ad una persona fisica già presente nella sua organizzazione, come il responsabile anticorruzione o il responsabile delle funzioni di Internal Audit o compliance, a un ufficio interno all’impresa o ad un soggetto esterno, purché tali soggetti presentino requisiti di autonomia, imparzialità e indipendenza.
Inoltre, tra i possibili destinatari della segnalazione, viene individuato l’Odv, sia in considerazione del fatto che la disciplina del Whistleblowing è parte integrante del Modello Organizzativo sulla cui osservanza l’Odv è chiamato a vigilare, sia perché tale figura possiede già quei requisiti di indipendenza e di autonomia previsti dalla nuova normativa.
Ebbene, nel caso in cui il compito di gestire le segnalazioni venga affidato proprio all’Odv, appare senz’altro adeguato aggiornare il suo regolamento attraverso la disciplina di diversi aspetti, quali:
– gli obblighi di verifica della piattaforma per l’invio delle segnalazioni da parte dell’Odv;
– il coordinamento delle attività nella gestione delle segnalazioni e le modalità per le interlocuzioni con il segnalante;
– le modalità di tenuta del registro delle segnalazioni e di verbalizzazioni degli incontri;
– l’individuazione dei criteri per un eventuale ricorso a soggetti terzi specializzati.
#whistleblowing #segnalazioneilleciti #regolamento #OrganismodiVigilanza
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua
D.LGS.231/01 SOCIETÀ E APPALTI UN IDONEO MODELLO ORGANIZZATIVO PUÒ PREVENIRE LA COMMISSIONE DI REATI
Con Decreto del 6 giugno 2024, il Tribunale di Milano ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 D. Lgs. 159/2011 nei confronti di una società operante nel settore dell’alta moda all’esito delle indagini per il reato di caporalato riguardanti alcuni fornitori della stessa.
A fondamento del provvedimento vi è l’inadeguatezza dei modelli organizzativi e la conseguente difficoltà di verificare la catena di appalti e sub-appalti in relazione alle condizioni di lavoro del personale.
Si legge nel decreto, infatti, che i grandi marchi, tra cui anche quello della società destinataria del provvedimento, “mostrano una generalizzata carenza/efficacia di modelli organizzativi ai sensi del D.Lgs. 231/01 ed un sistema di internal audit fallace, con ciò integrando i presupposti di cuci all’art. 34 D.Lgs. 159/2011, atteso che tali carenze organizzative e tali mancati controlli agevolano (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di cui all’art. 603 bis c.p.”.
Tali carenze avrebbero avuto l’effetto di agevolare colposamente la condotta delittuosa di sfruttamento dei lavoratori in quanto la società non aveva verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici e non aveva in concreto verificato le condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro.
Il Tribunale ha quindi affidato all’Amministratore giudiziario il compito di adottare un Modello organizzativo e di gestione ex Decreto 231, “con particolare cura nella valutazione della idoneità del modello a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.
Emerge, dunque, la necessità dell’adozione di un adeguato Modello 231 al fine di prevenire una responsabilità diretta della società.
#responsabililtà #modelloorganizzativo #amministrazionegiudiziaria
Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaSICUREZZA SUL LAVORO IMPORTANTE LA DISTINZIONE TRA DELEGA DI FUNZIONI E DELEGA GESTORIA
La Corte di Cassazione, con sent. n. 8476/2022, si è pronunciata in tema di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile per la violazione dei relativi obblighi.
La Suprema Corte ha affermato che, in via generale, la posizione di garanzia in materia di sicurezza è rivestita dal datore di lavoro. Questa regola viene tuttavia derogata nel caso in cui in quest’ultimo abbia delegatoall’applicazione delle misure di sicurezza un altro soggetto.
La sentenza in esame è particolarmente importante in quanto mette in evidenza la cruciale distinzione tra delega di funzioni e delega gestoria, che si ripercuote sull’individuazione del soggetto responsabile in materia di sicurezza.
La delega di funzioni è prevista dal D.Lgs. 81/2008 all’art. 16 ed è lo strumento attraverso il quale il datore di lavoro trasferisce ad un altro soggetto i poteri e le responsabilità per legge connessi al proprio ruolo; resta fermo, in capo al delegante, l’obbligo di vigilanza sul corretto svolgimento delle funzioni affidate e, prima ancora, un preciso dovere di individuare quale destinatario dei poteri e delle attribuzioni un soggetto dotato delle necessarie competenze.
La delega gestoria, invece, trova la propria disciplina nel codice civile all’art. 2381 e, nel caso di strutture societarie complesse, consente di concentrare i poteri decisionali e di spesa connessi alla funzione datoriale in capo ad un comitato del consiglio di amministrazione o ad uno dei suoi componenti già investito della funzione datoriale e dei relativi poteri, ponendo in capo al delegante solo un dovere di verifica in relazione al flusso informativo e all’organizzazione generale.
Sottolinea la Suprema Corte che è di cruciale importanza la valutazione del tipo di delega che viene conferita, in quanto dall’esatta perimetrazione del ruolo del delegato discendono conseguenze anche in ordine al contenuto della sua posizione di garanzia (quale datore di lavoro che ha rilasciato una delega di funzioni ex art. 16 D. Lgs. 81/2002, ovvero quale datore di lavoro che ha adottato una delega gestoria ex art. 2381 c.c. con concentrazione dei poteri in capo ad un consigliere).
“Solo all’esito di tale operazione, che dovrà essere effettuata dal giudice di merito sulla base dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, sarà possibile operare la verifica della idoneità delle regole cautelari violate ad impedire l’evento”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaWHISTLEBLOWING IL LICENZIAMENTO IRROGATO A CAUSA DELLE SEGNALAZIONI DEVE CONSIDERARSI RITORSIVO E PRIVO DI GIUSTA CAUSA
In materia di segnalazione di condotte illecite sul luogo di lavoro, il D.lgs. 24/2023, cd Decreto “Whistleblowing”, si preoccupa di tutelare i soggetti che decidono di fare delle segnalazioni in relazione ad illeciti o irregolarità di cui siano a conoscenza.
La principale tutela offerta ai cd “segnalanti” è quella offerta dall’art. 17 del Decreto, che pone un divieto di ritorsione nei confronti di chi abbia segnalato irregolarità o illeciti sul luogo di lavoro. Tra le fattispecie che la norma considera ritorsive rientrano, tra le altre: il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti; la retrocessione di grado o la mancata promozione; la riduzione dello stipendio; la sospensione della formazione; le note di merito negative; la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole.
In tema di licenziamento appare molto interessante la recente sentenza della Corte di Cassazionen.12688/2024, con cui si è pronunciata sul ricorso presentato dal dirigente di una società il quale sosteneva di essere stato licenziato a causa delle varie denunce di presunte irregolarità riferibili ai vertici aziendali.
Nonostante i giudici di primo e secondo grado avessero ritenuto il licenziamento legittimo per “giusta causa”, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ritenendo che la Corte territoriale non avesse in realtà valutato correttamente l’intero contesto di irrogazione della sanzione.
Infatti, il licenziamento, aveva fatto seguito ad una serie di atti di ridimensionamento posti in essere proprio in ragione delle segnalazioni e denunce effettuate dal ricorrente e, secondo la Corte, i giudici di merito non avevano tenuto in debita considerazione questa circostanza.
Richiamando recenti pronunce, la Cassazione ha inoltre affermato che “in tema di licenziamento ritorsivo, l’accoglimento della domanda di accertamento della nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
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