D.LGS.231/01 L’ADEGUATEZZA DEL MODELLO ORGANIZZATIVO E LA CONTINUA ED INTENSA FORMAZIONE ESCLUDONO LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE
In materia di responsabilità degli enti ex Decreto 231 appare significativa la recentissima sentenza del Tribunale di Milano n. 1070/2024.
Si tratta di una pronuncia di particolare rilevanza in quanto nella stessa il Tribunale ha escluso la responsabilità dell’ente, nonostante la condanna delle persone fisiche imputate per la commissione del reato-presupposto.
I Giudici hanno osservato che, nonostante la condanna dei dirigenti, la società aveva adottato un efficace e adeguato Modello organizzativo che, di fatto, l’ha esonerata dalla responsabilità.
Va infatti ricordato che il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo disciplinato dal d.lgs.231/01, rappresenta uno strumento fondamentale per prevenire la responsabilità amministrativa degli enti, e che, ai fini di una sua totale efficacia esso deve essere accompagnato da un’adeguata formazione del personale e dall’adozione di un adeguato sistema sanzionatorio.
Risulta infatti indispensabile un impegno formativo “continuo ed intenso”, organizzato attraverso la predisposizione di sessioni periodiche di formazione, al fine di consentire alla popolazione aziendale di comprendere pienamente le conseguenze legali delle proprie azioni e ridurre, di conseguenza, il rischio di violazioni.
Infatti, come espressamente statuito nella sentenza in commento, “un modello idoneo ed efficace, oltre a prevedere una puntuale configurazione degli assetti interni e dei relativi meccanismi di controllo endoaziendali, deve essere accompagnato da un’intensa attività di informazione e formazione del personale attuata sia attraverso una diffusione e comunicazione a tutto il personale del Modello e del Codice etico, sia attraverso delle qualificate iniziative di formazione finalizzate a divulgare ed implementare la comprensione delle procedure e delle regole comportamentali adottate; iniziative che non devono risolversi in attività formative impartite occasionalmente, ma devono piuttosto ispirarsi ai criteri di continuità e di intensità”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCONVERSAZIONI WHATSAPP. HANNO VALORE PROBATORIO SOLO GLI “SCREENSHOT”.
WhatsApp è uno dei principali canali di comunicazione, i cui messaggi spesso vengono portati come prova innanzi gli organi giudiziari.
Sul tema si è recentemente espresso il Tribunale di Napoli con la sent. n.3236/2024, stabilendo, in particolare, l’irrilevanza probatoria della semplice trascrizione “word” delle conversazioni di WhatsApp e degli sms estratti dall’utenza telefonica.
Richiamando la giurisprudenza di legittimità, il Giudice partenopeo ha ribadito che la registrazione di tali conversazioni operata da uno degli interlocutori costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico e pertanto perfettamente utilizzabile ai fini probatori, come espressamente stabilito dallo stesso art.234 c.p.p. in materia di prova documentale.
Tuttavia, va altresì specificato che ai fini della sua utilizzabilità è necessario acquisire il supporto contenente tale registrazione in quanto in questo modo sarebbe garantita l’attendibilità e la paternità della stessa.
La mera trascrizione “word” delle conversazioni WhatsApp, invece, non fornisce alcuna garanzia di affidabilità in quanto facilmente modificabile nel contenuto.
Diverso è il discorso per quanto riguarda il valore giuridico dello “screenshot”, ovvero la fotografia istantanea dello schermo di un dispositivo elettronico nella quale è rappresentata una conversazione o una pagina social.
A tale riguardo è chiara la posizione della Cassazione che ritiene pienamente utilizzabili gli “screenshot” di messaggi sms in quanto “non è imposto alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza soltanto per il suo oggetto, costituito appunto da uno schermo sul quale sia visibile un testo o un’immagine, non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto” (Cass. Pen. sez. V, sent.n.24600/2022).
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 IMPOSSIBILE EMENDARE LA MANCANZA DI MOTIVAZIONE DEL SEQUESTRO PREVENTIVO IN SEDE DI RIESAME
Con la sentenza n.8664/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di misure cautelari nei procedimenti inerenti la responsabilità amministrativa derivante da reato ex Decreto 231.
Dopo aver ribadito, con la recente sentenza n. 14047/2024, la necessità di un’adeguata motivazione in relazione alle esigenze cautelari del decreto di sequestro preventivo disposto a carico di una società, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha escluso la possibilità di “sanare” l’assenza di motivazioni in sede di riesame.
Sottolinea la Corte che è necessario che il provvedimento genetico di applicazione o di convalida della misura presenti una motivazione che dia conto degli elementi posti a fondamento, fin dal momento della sua emissione, al fine di consentire al Tribunale del riesame la funzione di controllo. In quest’ultima sede, pertanto, non sarà possibile integrare, sanandolo eventualmente, il provvedimento cautelare non motivato.
Dal momento che nel sistema punitivo previsto dal D. Lgs.231/01 il sequestro preventivo finalizzato alla confisca si presenta come un’anticipazione della sanzione, e che, inoltre, può avere un’incidenza tale da produrre effetti irreversibili per la sopravvivenza dell’ente, il provvedimento deve necessariamente contenere un’adeguata motivazione anche del “periculum in mora” da rapportare alle ragioni che lo rendono necessario.
Di conseguenza, il vizio della totale assenza della motivazione in relazione al pericolo di dispersione dei beni da confiscare, non può trovare rimedio in sede di riesame non trattandosi di “errata interpretazione di norme di legge, suscettibili di correzione in sede di riesame, bensì a una violazione dell’obbligo di motivazione posto a carico del giudice della cautela, con riferimento al pericolo di dispersione o sottrazione dei beni da sottoporre a sequestro preventivo finalizzato alla loro confisca”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 LA PROPOSTA DELLA REGIONE PUGLIA: OBBLIGO DI ADOZIONE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO PER ESIMERSI DA RESPONSABILITÀ
La settima Commissione del Consiglio Regionale della Puglia, lo scorso 10 aprile, ha dato parere favorevole alla proposta di legge “Interventi regionali per la promozione e l’adozione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231”.
Tale proposta mira a rafforzare l’adozione dei Modelli 231 da parte delle società, rendendola una condizione necessaria per esimersi da responsabilità amministrativa in caso di illeciti, nonché per la partecipazione a gare pubbliche e per l’ottenimento di erogazioni pubbliche.
In caso di approvazione della proposta, entro il termine di sei mesi dalla sua entrata in vigore, i soggetti interessati avranno l’obbligo di adottare Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo e di provvedere, inoltre, alla nomina dell’Organismo di Vigilanza.
In questo modo, verrebbe introdotto, a livello regionale, un obbligo che non vige a livello nazionale. Infatti, il D. Lgs.231/01, lascia alle singole società la scelta di dotarsi o meno di Modelli 231.
L’obiettivo della proposta è quello di rafforzare l’adozione di strumenti che si rivelano fondamentali per assicurare una gestione e un controllo aziendale efficaci e per promuovere la legalità e la trasparenza.
Per questo motivo, proposte come quella in commento, devono essere accolte positivamente, in quanto in grado di animare il dibattito in tema di responsabilità amministrativa degli enti e condurre ad un risvolto significativo in termini di rafforzamento e diffusione degli strumenti previsti dal Decreto 231.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaINFORTUNI SUL LAVORO. OBBLIGO DI DILIGENZA RAFFORZATA SUL DATORE PER ESIMERSI DA RESPONSABILITÀ
La IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12326/2024, si è espressa sulla delicata questione degli infortuni sul lavoro e sulla responsabilità del datore.
Nella pronuncia in esame, infatti, viene messo in evidenza che non basta la mera negligenza del lavoratore per escludere la responsabilità dell’azienda in caso di incidenti sul lavoro.
Fermo restando che grava sull’imprenditore-datore di lavoro l’obbligo di approntare tutte le necessarie misure di sicurezza, volte ad impedire il verificarsi di sinistri, tra cui rientra anche l’obbligo di formare adeguatamente i lavoratori e di predisporre adeguati strumenti di salvaguardia, il datore non è liberato da responsabilità se non si accerti anche del loro concreto rispetto da parte del lavoratore e non preveda la possibilità di un suo comportamento negligente.
Al datore di lavoro viene quindi richiesto di prevedere le possibili distrazioni e imperizie del lavoratore.
Al fine di interrompere il nesso causale tra la responsabilità del datore e l’evento dannoso è necessario che il lavoratore ponga in essere una condotta negligente, imprudente e che presenti i caratteri “dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute”.
Il comportamento del lavoratore, insomma, deve essere particolarmente sconsiderato per costituire un’esimente della responsabilità datoriale.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS. 231/01 IL SEQUESTRO PREVENTIVO FINALIZZATO ALLA CONFISCA DEVE ESSERE ADEGUATAMENTE MOTIVATO
La Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sent. n. 14047/2024, ha sottolineato che anche nei processi riguardanti la responsabilità degli enti ex Decreto 231, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve necessariamente essere motivato in merito alle esigenze cautelari.
Anzi, tale obbligo motivazionale, secondo la Suprema Corte, sussiste a fortiori nelle ipotesi di sequestro preventivo avente ad oggetto il patrimonio dell’ente, in quanto tale misura sarebbe potenzialmente in grado di provocare effetti irreversibili rispetto alla sopravvivenza dell’ente stesso.
Tale situazione si verifica tutte le volte in cui il sequestro abbia ad oggetto beni e risorse necessari per la prosecuzione dell’attività aziendale.
Proprio in ragione della peculiarità della responsabilità ex D. Lgs.231/01, l’incidenza del sequestro finalizzato alla confisca, è tale da richiedere garanzie rafforzate e non certo inferiori rispetto a quanto previsto dalla normativa generale in tema di sequestro preventivo contenuta nell’art. 321 c.p.p.
L’esigenza di un’adeguata motivazione, precisa la Corte, non viene meno neanche qualora la capienza del patrimonio dell’ente risulti priva di particolare significato, in quanto il decreto di sequestro preventivo “richiede una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione, potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, tenendo conto della tipologia dei beni presenti nel patrimonio del destinatario della confisca, senza che, tuttavia, le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall’incapienza del patrimonio rispetto al presumibile ammontare della confisca”.
Infatti, è la stessa natura delle misure cautelari che richiede la ricorrenza dei requisiti del fumus e del periculum e non vi è alcuna ragione, conclude la Cassazione, “per ritenere che il decreto di sequestro, adottato ai sensi dell’art.53 d.lgs. n. 231 del 2001, non debba contenere la sia pur sintetica motivazione in ordine alle esigenze cautelari che il sequestro mira a tutelare”.
Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 PER LA CASSAZIONE INAMMISSIBILE LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE CONTRO L’ENTE
La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sent. n.3211/2024, ha riaffermato l’inammissibilità dell’istituto della costituzione di parte civile nei processi inerenti la responsabilità da reato dell’ente. Si tratta di un principio che la Suprema Corte aveva già sostenuto in numerose precedenti pronunce e che si basa, fondamentalmente, nella mancata previsione dello stesso all’interno del D. Lgs.231/01.
Già nel 2011, con la sent. n. 2251, la Cassazione aveva espressamente stabilito l’impossibilità di operare un’interpretazione analogica o estensiva delle norme del codice di procedura penale al fine di ammettere la costituzione di parte civile nei processi contro l’ente.
Sulla stessa scia si pone la sentenza in commento, che ribadisce che la mancata previsione dell’istituto non è da ricondurre ad una lacuna normativa ma ad una consapevole scelta del legislatore.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, “nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità da reato dell’ente non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l’istituto non è previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001 che in ogni sua parte non fa mai riferimento alla parte civile o alla persona offesa”.
La mancata previsione dell’istituto, sarebbe riconducibile ad una “scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica” in quanto “l’illecito amministrativo ascrivibile all’ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende, sicché deve escludersi che possa farsi un’applicazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., che invece contengono un espresso ed esclusivo riferimento al reato in senso tecnico”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS.231/01 RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E CRITERI DI IMPUTAZIONE IN CASO DI INFORTUNI SUL LAVORO
La terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.4210/2024, ha stabilito che si configura la responsabilità da reato dell’ente ex d.lgs.231/01 in caso di violazione della normativa cautelare perpetrata allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente.
In particolare, la Suprema Corte ha chiarito quali sono i criteri di imputazione in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.
Tali criteri sono previsti dall’art.5 del Decreto 231 e sono rappresentati dall’“interesse” o “vantaggio” derivanti all’ente dalla commissione del reato presupposto.
In particolare, sostiene la Corte che detti criteri ricorrono, rispettivamente, “il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un vantaggio per l’ente, sotto forma di un risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso”.
Inoltre, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, non rileva l’esiguità del vantaggio o la scarsa consistenza dell’interesse perseguito, dal momento che anche la mancata adozione di cautele che comportino anche il minimo risparmio di spesa può comportare la commissione di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaD.LGS. 231/01 L’ENTE RISPONDE PER “FATTO PROPRIO” SE NON VENGONO ADOTTATI ACCORGIMENTI IDONEI AD EVITARE LA COMMISSIONE DI REATI
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.1971/2024, ha ulteriormente rafforzato un principio già consolidato in tema di responsabilità da reato dell’ente.
Ai fini della configurabilità di detta responsabilità, sostiene la Suprema Corte, non basta la mancanza o l’inidoneità di modelli di organizzazione, essendo altresì necessaria la cd “colpa di organizzazione”.
Il concetto di “colpa di organizzazione”, più volte richiamato dalla Cassazione nelle pronunce riguardanti la responsabilità dell’ente, deve essere tenuta distinta dalla colpa degli autori del reato.
La struttura dell’illecito addebitabile all’ente è infatti incentrata sul reato presupposto e permette di escludere che possa essere attribuito all’ente un reato commesso sì da soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi di questa. Il legislatore, infatti, all’art. 5 d.lgs.231/01, ha richiesto quale presupposto di imputazione della responsabilità all’ente, che il reato sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.
La “colpa di organizzazione” richiesta ai fini dell’affermazione della responsabilità in capo all’ente è da intendere in senso “normativo”, ricollegata cioè al rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità dell’ente.
Ciò consente di affermare che “l’ente risponde per “fatto proprio” e che – per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata una “colpa di organizzazione” dell’ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaCORTE COSTITUZIONALE Sent. N. 41/24. Affermato un principio di grande civiltà giuridica. Il decreto di archiviazione non deve contenere motivazioni incriminanti. Pena gravi responsabilità del magistrato richiedente o emittente.
Secondo la Consulta il provvedimento e\o il decreto di archiviazione che contiene elementi che fanno presupporre la colpevolezza dell’indagato viola «in maniera eclatante», sia la presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2° Cost.), che il diritto di difesa.
La Consulta è durissima laddove precisa che nell’ipotesi in cui l’archiviazione dovesse contenere elementi incriminanti che «sono in concreto suscettibili di produrre, ove per qualsiasi ragione arrivino a conoscenza dei terzi, come spesso accade, gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate. Ciò che, in ipotesi, potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato» che ha richiesto o emesso il provvedimento.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
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