WHISTLEBLOWING AVVOCATI IN PRIMA LINEA NELLA GESTIONE DELLE SEGNALAZIONI DI CONDOTTE ILLECITE
Dal 17 dicembre 2023 l’obbligo di istituire un canale interno per le segnalazioni di condotte illecite diventa obbligatorio anche per le imprese con almeno 50 dipendenti e per quelle che abbiano adottato il Modello Organizzativo previsto dal D.Lgs. 231/01, a prescindere dal numero dei dipendenti.
La grande platea dei destinatari della nuova disciplina ha comportato l’apertura di un “nuovo mercato” soprattutto per gli studi legali.
Al fine di gestire le segnalazioni si rende necessario aprire uno spazio di consulenza per le investigazioni interne.
Chi ha il compito di gestire le segnalazioni è chiamato a svolgere un lavoro molto delicato, in quanto deve svolgere un’attività istruttoria che può consistere nell’effettuare colloqui con i soggetti coinvolti e nell’analisi di documenti, mantenendo al contempo la riservatezza del soggetto segnalante coerentemente alla ratio di tutela che ispira la nuova disciplina.
Il professionista può anche avere la necessità di avvalersi di tecnici esterni al fine di valutare la fondatezza o meno della segnalazione, come esperti di cybersecurity o di risk management.
Altro fondamentale compito del professionista chiamato a gestire le segnalazioni è quello di informazione e formazione della popolazione aziendale, al fine di rendere effettiva la disciplina rendendo ogni soggetto della compagine aziendale consapevole della possibilità di effettuare segnalazioni nella piena tutela della sua riservatezza.
È chiaro che un simile ruolo richieda dei requisiti specifici.
Si richiede innanzitutto l’autonomia della persona deputata a gestire le segnalazioni, autonomia intesa come imparzialità (mancanza di condizionamenti e di pregiudizi nei confronti delle parti coinvolte nelle segnalazioni) e indipendenza (autonomia e libertà da influenze o interferenze da parte del management).
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaWHISTLEBLOWING IL TERMINE QUINQUENNALE PER LA CONSERVAZIONE DELLE SEGNALAZIONI È INCOMPATIBILE CON LA GESTIONE DI EVENTUALI CONTESTAZIONI
Il D.Lgs. 24/2023, cd “Decreto Whistleblowing”, nel disciplinare la gestione delle segnalazioni di condotte illecite, prevede un termine massimo di conservazione delle stesse pari a cinque anni.
L’art. 14 dello stesso recita infatti che “le segnalazioni, interne ed esterne, e la relativa documentazione sono conservate per il tempo necessario al trattamento della segnalazione e comunque non oltre cinque anni a decorrere dalla data della comunicazione dell’esito finale della procedura di segnalazione”.
La ratio di tale previsione temporale è da ravvisare nell’esigenza di garantire la riservatezza del soggetto segnalante coerentemente al disegno complessivo del Decreto in commento, che è, appunto, quello di tutelare la privacy di coloro che segnalano condotte illecite al fine di evitare conseguenze ritorsive ai loro danni.
Tale limite temporale, però, si dimostra poco coerente con l’esigenza di dover gestire eventuali contestazioni che potrebbero sorgere all’esito dell’istruttoria sugli illeciti segnalati.
Una possibile soluzione per ovviare a tale problema può essere individuata nell’opportunità espressa dal Garante della Privacy con provvedimento n. 304 del 6 luglio 2023 di conservare i documenti inerenti la segnalazione per un periodo di cinque anni decorso il quale la segnalazione può essere resa anonima al fine di far venire meno “la possibilità di risalire all’identità del segnalante”.
Resta fermo che anche prima del decorso di tale termine, la riservatezza del soggetto segnalante deve essere sempre adeguatamente tutelata.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS. 231/01. REATI TRIBUTARI. ELENCO FORNITORI. UN MODELLO ORGANIZZATIVO VALIDO PUÓ AVERE EFFICACIA ESIMENTE
Il D.lgs. 231/01 ha introdotto un’importante novità per le imprese, in quanto ha permesso alle stesse di sottrarsi alla responsabilità amministrativa/penale per i reati presupposto commessi da propri amministratori, dirigenti, dipendenti, qualora realizzati nell’interesse o a vantaggio dell’impresa stessa, attraverso l’adozione di un modello organizzativo dotato di tutte le caratteristiche richieste dal Decreto.
In tema di reati tributari, una società che voglia prevenire la propria responsabilità nel caso in cui, ad esempio, contabilizzi consapevolmente fatture per operazioni inesistenti, deve, quindi, adottare un efficace modello 231.
Affinché tale modello possa avere effettivamente efficacia esimente assumono rilevanza alcuni fattori comprovanti la buona fede della società:
1) La consapevolezza: è necessario dimostrare che, al momento dell’acquisto di beni o servizi, il contribuente era in buona fede;
2) Gli indicatori: vi sono alcuni elementi che possono portare a ritenere anomala l’operazione (assenza di una sede effettiva del fornitore, mancanza di documenti che dimostrino il trasporto della merce, contratti commerciali con soggetti estranei all’impresa fornitrice, pagamenti effettuati in contanti e non tracciabili);
3) Gli elementi a favore della buona fede: stipula di contratti idonei o esibizione di ordini di acquisto, pagamento effettuato tramite regolare bonifico bancario, presenza di documenti idonei a dimostrare che il fornitore paga le imposte (bilanci di esercizio, visure camerali, dichiarazioni dei redditi).
Una valutazione di tali fattori che conduca a ritenere sussistente la buona fede della società sarà, quindi, idonea a far scattare l’esimente qualora la società sia dotata di idoneo modello di organizzazione e gestione e abbia affidato il compito di vigilare sull’osservanza dello stesso ad un organismo di vigilanza.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaDLGS 231/01. WHISTLEBLOWING. IL RUOLO DEI SINDACATI NELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE SEGNALAZIONI DI ILLECITI
A partire dal 17 dicembre 2023 le aziende private che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati fino a 249 unità, avranno l’obbligo di istituire un canale interno di segnalazione di possibili illeciti che sia in grado di garantire l’anonimato del soggetto segnalante, al fine di evitare ritorsioni.
L’art.4 del D.Lgs. 24/2023, cd “Decreto Whistleblowing”, nell’implementare il canale di segnalazione interno, prevede che l’impresa sia tenuta a “sentire le rappresentanze o le organizzazioni sindacali di cui all’art. 51 del D.Lgs. 81/2015”, ovvero le rappresentanze sindacali aziendali o le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Tale previsione ha generato dei dubbi tra i datori di lavoro circa le modalità di confronto con gli organismi sindacali.
Come emerge anche dalle linee guida fornite da ANAC, il tenore letterale della norma porta a ritenere che il coinvolgimento del sindacato da parte dell’impresa abbia un carattere meramente informativo, in quanto non si parla dell’obbligo di esperire un “esame congiunto”, o della necessità di una “previa intesa” con le organizzazioni sindacali, ma dell’obbligo di “sentire” i rappresentanti dei lavoratori.
Tale obbligo si concretizza, pertanto, in un primo momento di comunicazione preventiva al sindacato dell’intenzione di attivare un canale di whistleblowing attraverso un’informativa che descriva gli elementi essenziali del canale di segnalazione e in un secondo momento di eventuale incontro di approfondimento, se richiesto dal sindacato.
Ferma restando la piena autonomia decisionale e organizzativa dell’ente nella disciplina del canale interno, appare di particolare importanza il momento di confronto con il sindacato, in quanto rappresenterebbe senz’altro una condotta antisindacale il mancato coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaDIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO DI CRONACA ALLA LUCE DELLA RIFORMA CARTABIA
(Garante per la Protezione dei Dati Personali – provvedimento n.426 del 28/09/2023)
Con l’entrata in vigore del D. Lgs. del 10/10/2022 n. 150 (meglio conosciuto come “Riforma Cartabia”) è stato modificato l’art. 64 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale che prevede la facoltà della persona, nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere o un decreto di archiviazione, di richiedere al Giudice procedente di ordinare, attraverso l’annotazione in calce al provvedimento, l’inibizione o la cancellazione della notizia relativa alla vicenda giudiziaria conclusa e pubblicata in precedenza sul web, attivando cosi il diritto all’oblio dell’interessato.
Tuttavia, come emerge dall’indirizzo interpretativo del Garante in commento, la cancellazione non è automatica ed assoluta poiché deve essere effettuato un bilanciamento fra diritto all’oblio e libertà di espressione e di informazione ovvero diritto di cronaca, così come sancito dall’art. 17 del Regolamento UE 2016/6799 richiamato dallo stesso art. 64 ter disp. att. c.p.p.
Nel caso concreto era stata data notizia sul web della vicenda giudiziaria riguardante un personaggio di rilievo pubblico; quest’ultimo, ottenuta l’archiviazione delle indagini e alla luce delle nuove disposizioni, aveva richiesto e ottenuto dal Giudice l’ordine di cancellazione della notizia dal web.
L’interessato aveva inoltrato reclamo a Google intimando al motore di ricerca di cancellare tutte le notizie riguardanti lo stesso; Google eliminava alcuni indirizzi (cc.dd. “URL”) datati e relativi alla vicenda giudiziaria originaria ma lasciava contenuti di recentissima pubblicazione che davano atto dell’avvenuta archiviazione delle indagini.
Il caso approdava al Garante per la Protezione dei Dati Personali il quale respingeva le richieste dell’interessato e accoglieva le ragioni di Google osservando che: “i contenuti recenti non cancellati da Google riguardavano notizie esatte e attuali la cui conoscenza appariva funzionale a dare conto all’opinione pubblica degli esiti favorevoli della vicenda che ha interessato la persona originariamente indagata”; continuava il Garante: “la notizia dell’archiviazione delle indagini assumeva ancora rilevanza, attualità e interesse pubblico proprio in relazione al ruolo ricoperto dall’interessato e, per tale ragione, non appariva idonea a pregiudicarlo”.
Avv. Biagio Cimò
ContinuaGARANTE DELLA PRIVACY. DIRITTO DI ACCESSO AI DATI DEL LAVORATORE. IMPORTANTI INDICAZIONI ALLE AZIENDE
In tema di diritto di accesso ai dati personali del lavoratore, il Garante della Privacy, con due recenti provvedimenti, ha fornito importanti indicazioni ai fini di una sua concreta effettività.
Il lavoratore, infatti, ha diritto di accedere ai dati personali trattati dal datore di lavoro attraverso un riscontro completo ed effettivo.
Nei provvedimenti in commento, il Garante ha sottolineato come tale diritto venga violato sia quando tali dati non sono forniti, potendo tale diniego limitare, ad esempio, l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore nell’ambito di un procedimento disciplinare o di un licenziamento, sia quando tali dati vengono forniti in maniera del tutto generica.
A fronte di una richiesta di accesso del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto a fornire le informazioni, con iscritto o con altri mezzi, entro il termine di un mese, prorogabile di altri due in caso di particolare complessità o tenuto conto del numero delle richieste.
Il rifiuto del datore di lavoro è consentito solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, tra cui, ad esempio, quando dalla comunicazione dei dati possa discendere un pregiudizio effettivo e concreto allo svolgimento di investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria.
Al di fuori dei casi tassativamente previsti, il rifiuto del datore di lavoro di fornire i dati personali richiesti può determinare l’applicazione di sanzioni amministrative e accessorie.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
Continua“WHISTLEBLOWING” DA CONFINDUSTRIA LA GUIDA OPERATIVA PER GLI ENTI PRIVATI IN MATERIA DI SEGNALAZIONE DI CONDOTTE ILLECITE
Il D.Lgs. 24/2023, cd Decreto Whistleblowing, ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva UE 2019/1937 riguardante la “protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione”.
La nuova disciplina mira a stabilire norme comuni per favorire l’emersione di condotte illecite, garantendo, al contempo, adeguata tutela al cd “segnalante”, ovvero colui che decide di fare delle segnalazioni di violazioni di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito del contesto lavorativo.
Nel mese di ottobre Confindustria ha fornito dei chiarimenti circa la concreta gestione di tali segnalazioni, predisponendo a tal fine una guida operativa con l’indicazione puntuale delle procedure da seguire per adeguarsi alla nuova normativa.
La guida operativa disciplina, infatti, ogni aspetto della disciplina delle segnalazioni, dall’ambito di applicazione, ai canali di segnalazioni e i soggetti legittimati, alla tutela del segnalante e il sistema sanzionatorio.
Confindustria chiarisce che l’impresa può decidere di demandare la gestione del canale di segnalazione ad una persona fisica già presente nella sua organizzazione, come il responsabile anticorruzione o il responsabile delle funzioni di Internal Audit o compliance, a un ufficio interno all’impresa o a un soggetto esterno, purché tali soggetti presentino requisiti di autonomia, imparzialità e indipendenza.
Inoltre, nelle imprese dotate di Modello Organizzativo 231 e con Organismo di Vigilanza, si può valutare di affidare a quest’ultimo il ruolo di gestore delle segnalazioni, dal momento che l’OdV possiede già quei requisiti di autonomia e indipendenza richiesti dalla disciplina in esame ed inoltre lo stesso è chiamato a vigilare sul Modello Organizzativo di cui la disciplina whistleblowing è parte integrante.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
ContinuaD.LGS.231/01. DEI REATI COLPOSI POSTI IN ESSERE DALL’AMMINISTRATORE DI FATTO RISPONDE ANCHE L’AMMINISTRATORE DI DIRITTOD.LGS.231/01. DEI REATI COLPOSI POSTI IN ESSERE DALL’AMMINISTRATORE DI FATTO RISPONDE ANCHE L’AMMINISTRATORE DI DIRITTO
La Corte di Cassazione con sent. n. 42236/2023 ha definito la portata di un importante principio in tema di responsabilità da reato dell’ente.
A venire in rilievo, nella pronuncia della Suprema Corte, è la commissione di reati da parte di quei soggetti in posizione apicale (persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione) cui ha riguardo l’art. 5 del D.Lgs. 231/01 e che è idonea a fondare la responsabilità dell’ente se tali soggetti non esercitino efficacemente un’attività di controllo sulle persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza.
La questione sottoposta al vaglio della Corte riguarda l’affermazione di responsabilità del “mero” amministratore di diritto di una società per un reato posto in essere dall’amministratore di fatto.
Lungi dal configurarsi una forma di responsabilità oggettiva nei riguardi dell’amministratore di diritto, la Corte ha precisato che, con riguardo a tutte le fattispecie punibili a titolo di colpa, “risponde del reato contravvenzionale posto in essere dall’amministratore di fatto di una società anche l’amministratore di diritto della stessa qualora abbia omesso, sia pure per colpa, di esercitare il necessario controllo sull’attività del primo”.
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Dott.ssa Concetta Sferrazza
on. avv. Giuseppe Scozzari
ContinuaCONDOMINIO: IL COMUNE NON PUO’ MULTARE IL CONDOMINIO PER INFRAZIONI ALLA RACCOLTA DIFFERENZIATA (Cass. Sez. Civile, sent. n. 29427/2023)
La Cassazione, con la sentenza in commento, ha annullato la delibera emessa dal Comune di Roma con la quale venivano irrogate sanzioni (da 50 a 300 euro) ai condomini e agli amministratori condominiali (in solido) per violazione del regolamento comunale sull’irregolare conferimento dei rifiuti nei cassonetti posti all’interno di una proprietà privata (condominio).
Nel caso, il Comune di Roma aveva multato l’amministratore di un condominio, con quattro multe per complessivi 1.000,00 euro ed in ragione della delibera e del regolamento comunale richiamati, poiché era stato rilevato l’erroneo inserimento dei rifiuti nei cassonetti condominiali della raccolta differenziata.
Il Collegio di legittimità, annullando la sanzione irrogata, ha precisato che l’amministratore e i privati non potevano essere sanzionati in virtù di un regolamento comunale o di una delibera perché queste sono fonti normative secondarie e non supportate da una fonte normativa primaria che attribuisca il potere di emettere sanzioni, nel caso né dal testo unico degli Enti locali, né della legge sulla gestione dei rifiuti (D. Lgs 22/1997 che ha recepito la direttiva comunitaria in materia); pertanto nessuna delle due norme richiamate, né direttamente né indirettamente, autorizzano e prevedono “in capo a soggetti privati, quali gli utenti e gli amministratori di condominio, l’obbligo di custodia e corretto utilizzo dei contenitori in luoghi di proprietà privata”.
Alla luce di quanto deciso dalla Suprema Corte, si ricorda che vige il principio di legalità anche per le sanzioni amministrative che non possono essere comminate direttamente dal regolamento dell’Ente (fonte normativa subordinata), questo va quindi disapplicato se la legge che attribuisce al Comune il potere regolamentare sull’igiene urbana non prevede in modo diretto o indiretto la possibilità di sanzionare l’uso improprio dei cassonetti.
Avv. Biagio Cimò
ContinuaInterdittiva Antimafia: si agli aiuti alle aziende in crisi in caso di informativa antimafia.
Con una importante sentenza (n. 43266/23) la Cassazione ha statuito che un’azienda in crisi che ha ricevuto una informativa antimafia, non perde il diritto agli aiuti statali. Secondo la S.C., infatti, l’informativa antimafia non essendo un provvedimento definitivo, visto che può essere revocato, non determina la preclusione all’accesso agli aiuti statali. Secondo la Corte sia l’informativa che la comunicazione antimafia non rientrano tra le misure di prevenzione indicate dal codice penale e quindi determinerebbe una incapacità parziale a contrarre nei confronti della Pubblica Amministrazione.
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on. avv. Giuseppe Scozzari
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